San Francesco d'Assisi


Diacono - Fondatore dei Tre Ordini
Patrono d'Italia
Solennità 4 ottobre

Francesco nacque ad Assisi alla fine del 1181 o all'inizio del 1182 da una famiglia borghese; nacque come Giovanni Bernardone, uno dei tanti figli di Pietro di Bernardone, ricco mercante di stoffa, che aveva relazioni d’affari con la Provenza. Sua madre, Pica de Bourlemont, era una ragazza francese di nobili origini che Pietro aveva conosciuto proprio in Provenza. Pietro si trovava in Francia per affari quando Francesco venne al mondo, e Pica lo fece battezzare come Giovanni. Al suo ritorno ad Assisi, Pietro comincio a chiamare suo figlio Francesco ("il francese"), in onore della moglie, o forse in onore del suo successo commerciale e del suo entusiasmo per tutto ciò che era francese.

Da giovane Francesco era brillante, popolare e atletico, anche se di tanto in tanto mostrava precoci segni del suo amore per la carità e il disprezzo per il mondo. Imparò l’italiano e il francese dai genitori e il latino dal prete della parrocchia; la sua istruzione regolare non si spinse più in là ed egli entrò presto negli affari del padre.

Ser Pietro scopri con rammarico che a Francesco riusciva più facile spendere il denaro che guadagnarlo. Era uno dei giovani più ricchi della città (se non il più ricco) e il più generoso; aveva numerosi amici con cui mangiava, beveva e cantava i canti dei trovatori; Francesco a volte indossava un vestito da menestrello a molti colori. Era un bel ragazzo con gli occhi e i capelli neri, l’espressione gentile e una voce melodiosa. I suoi primi biografi assicurano che egli non ebbe relazioni con l’altro sesso, e che conobbe due donne sole e soltanto di vista. 

Quando si parla di San Francesco molti si chiedono dove sia potuto nascere in lui il seme della rivoluzione spirituale che si apprestava a compiere. Tra le tante ipotesi è possibile che nei suoi anni giovanili, per lui formativi, Francesco abbia udito dal padre i racconti sugli eretici albigesi e valdesi della Francia del Sud e su come essi avessero fatto rivivere l’antico vangelo della povertà apostolica.

Nel 1202 combatté nell’esercito di Assisi contro Perugia  e, dopo la sconfitta nella Battaglia di Collestrada, fu fatto prigioniero e passò in meditazione l’anno della sua prigionia.  L'esperienza bellica e la sua cattura lo scosse nel profondo e cambiò la sua vita; quando la guerra finì, gravemente malato, fu liberato. Nel 1204 entrò come volontario nell’esercito di papa Innocenzo III. A Spoleto, mentre si trovava a letto febbricitante, gli sembrò di udire una voce che gli chiedeva: "Perché abbandoni il Signore per il servo, il principe per il vassallo?". "Signore" rispose "che cosa mi chiedete di fare?" e la voce; "Ritorna a casa, là ti verrà detto quello che devi fare". Per servo si intese il "denaro".

Lasciò quindi l’esercito e ritornò ad Assisi, dove mostrò di interessarsi sempre meno agli affari del padre e sempre più di religione. Vicino ad Assisi sorgeva una povera cappella dedicata a San Damiano. Mentre Francesco vi si trovava immerso in preghiera, nel febbraio del 1207, gli sembrò di udire la voce di Cristo che gli parlava dall’altare e accettava in offerta la vita e l’anima di Francesco. 

Quello fu il culmine della sua conversione. A San Damiano un crocifisso appeso gli parlò esortandolo a "riparare la sua casa che stava per crollare". Diede al prete della cappella tutto il denaro che aveva con sé e ritornò a casa. Un giorno incontrò un lebbroso e se ne allontanò con un senso di repulsione. Rimproverandosi questa infedeltà a Cristo tornò indietro, vuotò la sua borsa nelle mani del lebbroso e gli baciò la mano; e quest’atto, Francesco stesso disse in seguito, segnò una nuova era nella sua vita spirituale. Da allora in poi egli visitò spesso gli ospizi dei lebbrosi e vi portò elemosine. Cominciò a vendere i tessuti del padre con l'obiettivo di raccogliere denaro per il restauro della piccola Chiesa di San Damiano; suo padre, furioso, lo citò in giudizio. Durante il processo, il giovane diede via tutta la sua proprietà, spogliandosi, letteralmente, di tutti i suoi averi per dimostrare che il suo scopo e la sua missione erano sinceri. Così iniziò la sua nuova vita.

Poco dopo questa esperienza Francesco passò parecchi giorni a San Damiano quasi senza toccare cibo; quando ricomparve in Assisi era cosi magro, emaciato e pallido, i suoi vestiti cosi logori, la sua mente cosi sconvolta che i bambini nella piazza gli gridavano: "Pazzo! Pazzo!". Suo padre lo trovò in quello stato nella piazza, lo chiamò idiota, lo trascinò a casa e lo rinchiuse in un sottoscala. Liberato dalla madre, Francesco si affrettò a ritornare a San Damiano. Il padre, adirato, lo raggiunse, lo rimproverò dicendo che tutta la famiglia sarebbe diventata la zimbello della città, e che Francesco lo ricompensava molto male del denaro speso e gli ordinò di lasciare la città. Francesco aveva venduto ciò che gli apparteneva personalmente per abbellire la cappella, diede il ricavato al padre (che lo accettò), ma si rifiutò di obbedire ai suoi ordini perché ora, gli disse, apparteneva a Cristo. Chiamato a comparire dinanzi al tribunale del vescovo nella Piazza Santa Maria Maggiore egli si presentò umilmente mentre una gran folla assisteva alla scena resa memorabile dal pennello di Giotto. Il vescovo lo prese in parola e gli comandò di rinunciare a tutti i suoi beni.

Francesco si ritirò in una camera del palazzo episcopale e poco dopo riapparve completamente nudo (la celebre Spoliazione di San Francesco); depose innanzi al Vescovo quello che restava dei suoi abiti e le poche monete che gli erano rimaste e disse: «Fino ad oggi io ho chiamato Pietro Bernardone mio padre, ma ora desidero servire Dio. Cosi gli restituisco questo denaro... e questi miei abiti e tutto ciò che ho avuto da lui; poiché d’ora in poi non desidero dire niente altro che Padre nostro che sei nei cieli». Bernardone portò via gli abiti mentre il vescovo copriva l’intirizzito Francesco con il suo mantello. Francesco ritornò a San Damiano, si fece una veste da eremita, andò di porta in porta mendicando il cibo e con le sue mani iniziò la ricostruzione della chiesa in disfacimento.

Abbandonò la vita mondana con l'obiettivo di far comprendere come la rinuncia ai valori materiali potesse portare a una "gioia perfetta". Per questo motivo, all'inizio fu considerato un sovversivo e persino uno stupido. Iniziò presto a predicare nella vicina zona di Assisi, dove altri giovani si unirono per aiutarlo nella ricostruzione della chiesa, cantando mentre lavoravano. Questo fu il primo nucleo della futura comunità dei frati. La sua predicazione era diretta e carismatica per le persone. Francesco si scopri di essere anche un grande oratore capace di incantare i suoi ascoltatori.

Nel febbraio 1209, mentre stava ascoltando la Messa, Francesco fu colpito dalle parole lette dal prete che contenevano le parole di Gesù agli apostoli: "Andando predicate e annunciate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, mondate i lebbrosi, scacciate i demoni; avete ricevuto gratuitamente, gratuitamente date. Non tenete nelle vostre cinture né oro né argento né denaro; non abbiate bisaccia, né due vesti, né calzari, né il bastone. (Matt. X, 7-10)".
A Francesco sembrò che Cristo stesse parlando direttamente a lui. Prece la decisione di obbedire alla lettera alle sue parole, di predicare il regno dei cieli e di non possedere più nulla.
Quella primavera, affrontando la derisione e l’avversione della gente, andò nelle piazze di Assisi e delle città vicine predicando il vangelo della povertà e di Cristo. Fu nauseato dalla bramosia dei suoi contemporanei e turbato dallo splendore e dal lusso di alcuni uomini della Chiesa, denunciò il denaro come un demonio e una maledizione, comandò ai suoi seguaci di disprezzarlo come sterco e indusse uomini e donne a vendere tutto ciò che avevano e a darlo ai più poveri. Alcuni lo ascoltavano meravigliati e ammirati, ma la maggior parte lo considerava uno a cui il Vangelo aveva fatto perdere il senno. Secondo la biografia di Francesco di San Bonaventura (Legenda Mayor) al vescovo di Assisi Guido che gli fece osservare: “Il vostro modo di vivere senza possedere niente mi sembra molto duro e difficile" Francesco rispose: “Mio signore, se possedessimo beni avremmo bisogno di armi per difenderli".

Alcuni uomini furono colpiti e trascinati dalla sua parola; dodici uomini (come gli apostoli di Cristo) si offrirono di seguirne la dottrina e la pratica di vita; Francesco li accolse a patto che seguissero le parole di Cristo citate sopra, come compito e regola. Si vestirono di tonache color marrone scuro e si costruirono capanne di frasche. Francesco e i suoi nuovi compagni, ogni giorno, rifiutando l’antico principio dell’isolamento monastico, andavano a predicare scalzi e senza un soldo. Capitava che restassero anche per giorni, trovando ospitalità improvvisata in granai, ospizi per lebbrosi o sotto il primo portico che capitava di una chiesa. Quando ritornavano, Francesco aveva l’abitudine di lavare loro i piedi e rifocillarli.

Cambiarono il codice di linguaggio della loro comunità religiosa. Salutavano i loro compagni e tutti quelli che incontravano per la strada con l’antica formula orientale "Il Signore ti dia pace". Non avevano ancora adottato il nome di Francescani. Chiamavano sé stessi Fratres Minores, frate come fratello, minori a indicare che essi erano i più umili fra i servi di Cristo e mai avrebbero esercitato autorità, ma sempre si sarebbero sottomessi a essa; essi dovevano considerarsi subordinati anche al più umile fra i preti e baciavano le mani a ogni sacerdote che incontravano.

Pochi fra i primi seguaci di Francesco, in questo periodo di formazione, avevano preso gli ordini religiosi; Francesco stesso non fu mai niente più che un diacono. All’interno della loro piccola comunità i "fratelli" si aiutavano a vicenda e lavoravano manualmente, i pigri non erano tollerati nella comunità. Lo studio intellettuale era sconsigliato; Francesco riteneva la scienza del mondo niente altro che un mezzo per accumulare ricchezze e raggiungere il potere: "i miei fratelli che sono spinti dal desiderio di conoscere si troveranno a mani vuote nel giorno della tribolazione". Secondo lo Specchio di perfezione o Speculum perfectionis un'opera di scrittore anonimo scritta intorno al 1318 sulla vita di San Francesco d'Assisi, anticipando la frase di Goethe che ogni conoscenza, se non si traduce in azione, è vana e dannosa, Francesco disse: "Tantum homo hahet de scientia, qmntum operatur (l’uomo possiede solo quel tanto di scienza che mette nelle sue opere)". I frati non dovevano possedere nessun libro, nemmeno i Salmi. Quando predicavano, oltre a parlare cantavano. Capitava che i frati frati fossero derisi, picchiati e derubati di tutto tranne che del loro l’abito; Francesco li esortava a "non opporre resistenza".

Le prove di privazione e umiltà assoluta convincevano sempre di più la gente di avere di fronte un santo.  Si sparse addirittura la voce che un giovane frate avesse visto Cristo e la Vergine intrattenersi con Francesco; gli vennero attribuiti miracoli e furono condotti a lui ammalati e "indemoniati" perché li guarisse. La sua carità divenne leggendaria; non sopportava di vedere qualcuno più povero di lui, cosi si toglieva spesso di dosso gli abiti per darli ai poveri che incontrava per le strade.

Il suo amore andava verso tutte le cose del creato, dagli uomini, agli animali, alle piante e persino a cose inanimate. La sua sensibilità che gli suggeriva fratellanza con ogni essere vivente. Intendeva chiedere e supplicare l’imperatore Federico II, di varare una legge speciale secondo cui nessuno potesse prendere o uccidere le “nostre sorelle? allodole o fare loro alcun male. Tante altre storie e leggende riguardarono il rapporto tra Francesco e gli animali.

Dopo avere scoperto che per costituire un nuovo ordine religioso, si doveva avere il permesso del papa, Francesco ed i suoi discepoli andarono a Roma nel 1210 e sottoposero a Innocenzo III la loro richiesta e lo informarono sulla loro regola. Dopo un’iniziale titubanza alla fine il papa approvò la Regola dell’Ordine Francescano. I frati ebbero la tonsura, si sottomisero alla gerarchia ecclesiastica e, dopo essere stati per un po’ di tempo in una piccola baracca per animali a Rivorto (il Sacro Tugurio, dove oggi si trova il Santuario di Rivotorno) ricevettero dai Benedettini del Monte Subasio, vicino ad Assisi, la cappella di Santa Maria degli Angeli. Quest’ultima era così piccola (circa dieci metri in lunghezza) che la chiamarono Porziuncola “piccola parte?. I frati si costruirono capanne intorno ad essa e queste capanne costituirono il primo monastero del primitivo Ordine di San Francesco. La chiesetta è ancora visibile all'interno della Basilica di Santa Maria degli Angeli.

Non passò molto tempo che il nuovo Ordine Francescano acquisì nuovi membri, tra i quali una ragazza di diciotto anni, Chiara Scifi, che raccolse a sé altre ragazze e gli chiese il permesso di fondare un nuovo Ordine Francescano per le donne (1212), le Clarisse. Abbandonata la casa paterna anche Chiara fece votò di povertà, castità e obbedienza e divenne badessa di un convento francescano costruito intorno alla cappella di San Damiano. Nel 1221 alcuni laici fondarono un terzo Ordine di San Francesco: i Terziari. Questi non erano completamente vincolati alla regola francescana, ma desideravano conformarvisi per quanto era loro possibile vivendo "nel mondo" e aiutando il primo e il secondo Ordine nel loro lavoro e nelle loro opere di carità.

I Francescani, sempre più numerosi, si espansero portando le loro idee nelle città dell’Umbria e più tardi in altre province italiane. Nei Fioretti di San Francesco, un elenco di miracoli attribuiti e Francesco scritti nel XVI secolo da auto ignoto, a Siena Francesco trovò la città impegnata in una guerra civile e la sua parola fece sì che entrambe le fazioni si inchinassero a lui e la lotta fu, per qualche tempo, sospesa. Durante questo giro di missioni in Italia contrasse la malaria, che in seguito l’avrebbe portato a morte prematura.

Nel corso del tempo, il numero di frati francescani crebbe notevolmente e la rivoluzione pacifica di Francesco cominciò ad espandersi verso Germania, Francia, Spagna e quasi tutti i paesi europei. Nel 1219 Francesco salpò in Egitto e Palestina, dove era in corso la quinta Crociata. Riuscì ad ottenere un incontro con il Sultano Al-Malik al-K'mil, il nipote di Saladino, in un campo saraceno assediato dai crociati. Francesco suscitò grande ammirazione, fu trattato con grande rispetto e gli furono offerti doni sontuosi. Non è chiaro se il santo appoggiasse i crociati o se fosse lì come detrattore; in realtà, fonti sia cristiane che arabe testimoniano che fu il primo a dialogare con l'Islam.

Francesco restò inorridito dal massacro compiuto dai Crociati sulla popolazione di Damietta quando questa si arrese e se ne ritornò in Italia malato e triste. In Egitto, sarebbe poi stato colpito da un’infezione agli occhi che doveva più tardi togliergli quasi completamente la vista. In sua assenza il numero di seguaci del "poverello" si moltiplicarono. Molti di questi non erano tuttavia pronti e lamentavano l’eccessiva severità della regola. Anche se Francesco fece alcune concessioni, l’amministrazione di un’Ordine, diviso in tante case sparse per tutta l’Umbria era difficile da conciliare con la spiritualità e il misticismo richiesti.

Nel 1220 Francesco fiaccato dalla malaria, decise di ritirarsi dalla sua carica e chiese ai suoi seguaci di eleggere un altro priore generale. Da allora si considerò un semplice monaco. Un anno più tardi, tuttavia, contrariato dal progressivo rilassarsi della Regola primitiva (1210), scrisse una nuova Regola, il suo famoso testamento, mirante a ristabilire la piena osservanza del voto di povertà e a proibire ai monaci di allontanarsi dalle loro capanne presso la Porziuncola per andare a stabilirsi nelle migliori dimore che i cittadini avevano costruito per essi. Sottopose la nuova Regola all’approvazione di papa Onorio III, questi la passò a un consiglio di prelati perché la verificasse; quando usci dalle loro mani, per metà gli articoli erano intatti e per il resto erano stati modificati e mitigati perché ritenuti troppo duri. Francesco, suo malgrado, ubbidì. Ma da quel momento la sua vita fu dedicata quasi esclusivamente alla contemplazione e alla preghiera.

Impressione delle Stimmate
di San Francesco
Festa 17 settembre

Nel 1224 lasciò Assisi con tre discepoli, attraversò pianure e colline e raggiunse il romitorio sul monte Verna, vicino a Chiusi. Il 14 settembre, dopo un lungo digiuno e una notte passata vegliando in preghiera, credette di vedere un Serafino scendere dal cielo verso di lui portando un’immagine di Cristo crocifisso. Quando la visione svanì sentì strani dolori e scoprì che sulle mani, sui piedi, e sul corpo erano apparsi dei tumori che richiamavano per il luogo e il colore le ferite (stigmata) di Gesù sulla croce. Francesco quindi ritornò ad Assisi. Un anno dopo la comparsa delle stigmate durante una visita al convento della futura Santa Chiara la vista improvvisamente gli mancò del tutto. Chiara lo assistette, lo ospitò un mese a San Damiano, cosa che lo fece migliorare. Mentre si trovava là compose in prosa poetica italiana il suo Cantico del Sole, meglio conosciuto come "Cantico delle Creature".

Nel 1225 alcuni medici di Rieti, spinti da buoni propositi unsero gli occhi del santo con "orina di fanciullo casto", quindi ricorsero a un altro rimedio che consisteva nel passargli sulla fronte un piccolo bastone di ferro incandescente che Francesco subì apparentemente senza sentire dolore. In qualche modo "miracoloso" il rimedio funzionò e il "poverello" riacquistata un po’ di vista parti per un nuovo giro di predicazione. Ma ben presto i disagi del viaggio lo stremarono ancora di più, la malaria e l’idropisia (accumulo di liquidi che gonfia il corpo) ne fiaccarono le forze, per cui dovette essere riportato ad Assisi.

Nonostante le sue proteste fu ricoverato nel palazzo episcopale e quando chiese al medico di dirgli la verità e venne a sapere che probabilmente non avrebbe superato l’autunno, tra la meraviglia di tutti cominciò a cantare.

Approfittando del fatto che il vescovo fu chiamato altrove, Francesco persuase i suoi monaci a riportarlo alla Porziuncola. Qui dettò le sue volontà al tempo stesso umili e autoritarie; comandò ai suoi seguaci di accontentarsi di “chiese povere e abbandonate? e di non accettare dimore che contrastassero con i loro voti di povertà; di consegnare al vescovo i monaci eretici o abiuri e di non mutare mai la Regola.

Mori il 3 di ottobre del 1226, cantando un salmo, aveva tra i 44 e i 45 anni. Il suo corpo venne trasportato in tutta la città passando salutato un’ultima volta dalla popolazione e dai suoi confratelli, e passando poi per la chiesa di San Damiano dove Chiara e le sue consorelle lo salutarono a loro volta; venne sepolto nella Chiesa di San Giorgio. Nel 1230 il suo corpo venne spostato nella chiesa inferiore della basilica intitolata a lui, il suo luogo di riposo fino ad oggi .

Due anni più tardi la Chiesa lo santificò.  L’Ordine da lui fondato contava alla sua morte circa 5000 membri e si era diffuso in paesi quali Ungheria, Germania, Inghilterra, Francia e Spagna.  

Papa Pio XII nel 1939 lo proclamò, insieme con santa Caterina da Siena, Patrono d'Italia.