TRATTATO DEI MIRACOLI
DI SAN
FRANCESCO
DI
TOMMASO DA CELANO
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Benche' possa
essere considerato come un complemento della Vita seconda il Trattato
dei miracoli che -- dietro pressioni soprattutto di Giovanni da Parma --
Tommaso da Celano portò a termine verso il 1252 1253, ha pure dei precisi
valori e significati autonomi e nuovi.
Un valore e un significato,
anzitutto, di glorificazione, non solo di Francesco "stimmatizzato" ma del
movimento religioso da lui suscitato. Calata in un contesto pregnante di
misteriosi "presagi", la glorificazione dei <<
due ordini >> religiosi fondati dal Santo ( ma con omissione forse
non casuale del << terzo
>>) è protesa verso la
rivendicazione di una loro << tanto celebrata che famosa missione >>
nella Chiesa e nella società cristiana. Questi accenti palesano probabilmente
l'immanenza, nel Trattato, di
alcune attenzioni e preoccupazioni di Giovanni da Parma, ministro generale.
Un valore e un significato, inoltre, documentario:
di costatazione della diffusione del culto di Francesco, attorno alla metà del
secolo XIII, in tutta Europa e nel vicino Oriente; di chiese francescane
costruite o in costruzione; di immagini di Francesco stimmatizzato: "il
tutto in riquadri che richiamano da vicino le tavolette votive dei santuari,
ripiene di accidentata, sofferta, talvolta polemica presenza, in scene di
lavoro febbrile e di invocazioni devote".
Scomparso di circolazione in
seguito al decreto capitolare del 1266 -- e dubitato perfino della sua
esistenza --, il Trattato dei
miracoli ci è stato restituito, fortuitamente, soltanto nel 1899, in un
unico manoscritto (c. 1300) che, edito dapprima dal bollandista F. van Ortroy,
servì agli editori di Quaracchi per la loro edizione (in AF, X, pagine
269 - 331, e si veda anche, ivi, M. Bihl, pp. XXXVI - XLII ). Su questa stessa
edizione è stato ricavato anche il nostro volgarizzamento.
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Incomincia il
trattato dei miracoli
di San
Francesco
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CAPITOLO I
LA MIRABILE
ORIGINE DELLA SUA RELIGIONE
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1. Nel primo capitolo di questa narrazione, nella
quale ci siamo sobbarcati a scrivere i miracoli del santissimo padre nostro
Francesco, abbiamo ritenuto bene collocare, primo di ogni altro, quel prodigio
solenne dal quale il mondo fu come avvertito, scosso e terrorizzato. Tale fu
appunto la nascita della Religione, fecondità della donna sterile,
generazione di una discendenza con tante ramificazioni.
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822
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Guardava con preoccupazione il vecchio mondo imbrattato
nel sudiciume dei vizi, gli ordini (sacri) insensibili agli esempi degli
apostoli e, mentre la notte dei peccati era a metà del suo corso,
era imposto il silenzio alle sacre discipline; quand'ecco, all'improvviso, emerse
sulla terra un uomo nuovo, e all'apparire subitaneo di un nuovo
esercito, i popoli furono ripieni di stupore davanti ai segni della
rinnovata età apostolica. È ora d'un tratto portata alla luce la
perfezione già sepolta della Chiesa primitiva, di cui il mondo leggeva sì le
meraviglie, ma non vedeva l'esempio. Perché dunque non si potrà dire che gli
ultimi saranno i primi, quando ormai si sono, mirabilmente, trasformati
i cuori dei padri nei figli, e quelli dei figli nei padri? O si potrà forse
misconoscere il compito così celebre e famoso dei due Ordini, e non
ritenerlo come presagio di qualcosa di grande che debba accadere tra breve? Di
fatto, dal tempo degli apostoli non fu mai proposto al mondo insegnamento così
autorevole, così mirabile.
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823
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È da ammirare, inoltre, la fecondità della
donna sterile. Sterile, ripeto e arida questa Religione poverella, perché
ben lontana dal terreni umidi. Sterile davvero, perché non miete non ammassa
nei granai non porta sulla strada del .Signore una bisaccia ricolma. E
tuttavia, contro ogni speranza, questo Santo credette nella speranza
che sarebbe diventato erede del mondo e non considerò privo di virilità il suo
corpo né sterile il seno di Sara, certo che la divina potenza poteva
generare da essa il popolo ebreo.
Questa
Religione infatti non si sostiene con cantine ricolme, dispense
abbondantemente fornite, amplissimi poderi, ma dalla stessa povertà per la
quale si rende degna del cielo, viene meravigliosamente alimentata nel mondo O
debolezza di Dio, più forte dell'umana fortezza, che porta gloria alla
nostra croce e somministra abbondanza alla povertà!
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824
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Abbiamo infine contemplato questa vigna che,
cresciuta in pochissimo tempo, ha esteso da mare a mare i suoi tralci
fruttiferi. Da ogni parte sono accorse moltitudine di uomini si riversarono
a frotte e, d'un tratto si radunarono le pietre vive per la perfetta struttura
di questo meraviglioso tempio. E non soltanto la vediamo in breve tempo
moltiplicata nel numero dei figli, ma anche glorificata, poiché parecchi di
quelli che ha generato, sappiamo che hanno conseguito la palma del martirio, e
veneriamo nell'albo dei santi molti dl essi, a motivo della perfetta pratica
della virtù. Ma, detto questo, volgiamo ormai il discorso al Capo di tutti
costoro di lui ora intendiamo trattare.
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CAPITOLO II
IL MIRACOLO DELLE STIMMATE
E LA MANIERA IN CUI IL SERAFINO GLI APPARVE
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2. L'uomo nuovo Francesco si rese famoso
per un nuovo e stupendo miracolo, quando apparve insignito di un singolare
privilegio, mai concesso nei secoli precedenti, quando cioè fu decorato delle
sacre stimmate e reso somigliante in questo corpo mortale al corpo del
Crocifisso. Qualunque cosa si possa umanamente dire di lui sarà sempre
inferiore alla lode di cui è degno. Non c'è da chiedersi la ragione di tanto
evento, perché fu cosa miracolosa, né da ricercare altro esempio, perché unico.
Tutto lo zelo dell'uomo di Dio, sia verso gli altri che nel segreto
della sua vita interiore, era centrato attorno alla croce del Signore e, fin
dal primo istante in cui cominciò a militare sotto il Crocifisso, diversi
misteri della Croce risplendettero attorno a lui.
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Quando infatti, all'inizio della sua conversione,
aveva deciso di abbandonare ogni vanità di questa vita, Cristo dalla croce gli
parlò mentre era intento a pregare; e dalla bocca della stessa immagine
scendono a lui queste parole: " Va, Francesco, e ripara la mia casa che,
come vedi, va tutta in rovina ". Da allora gli fu impresso nel cuore, a
tratti profondi, il ricordo della passione del Signore, e, attuata in pieno la
sua conversione interiore, la sua anima cominciò a struggersi per le
parole del Diletto.
Proprio
perché si era racchiuso nella stessa croce, indossò anche un abito di penitenza
fatto a forma di croce. Quell'abito, se, in quanto lo rendeva più emulo della
povertà, era molto conveniente al suo proposito, tuttavia in esso il Santo
testimoniò soprattutto il mistero della croce, in quanto che, come la sua mente
si era rivestita del Signore crocifisso, così tutto il suo corpo si rivestiva
esteriormente della croce di Cristo, e, nel segno col quale Dio aveva debellato
le potestà ribelli, in quello stesso poteva militare al servizio di Dio il suo
esercito.
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3. Vide infatti frate Silvestro, uno dei suoi
primi frati, e uomo d'ogni virtù, uscire dalla sua bocca una croce dorata, che
abbracciava mirabilmente con l'estensione delle sue braccia tutto l'universo. È
stato scritto e provato da sicura fonte, come quel frate Monaldo, famoso
per i suoi costumi e le opere di pietà, vide con gli occhi del corpo il beato
Francesco crocifisso, mentre il beato Antonio predicava della croce. Era usanza
imposta con pio mandato ai primi figli, che ovunque scorgessero un'immagine
della croce, manifestassero con un segno la dovuta riverenza.
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Familiare gli era la lettera Tau, fra le
altre lettere, con la quale soltanto firmava i biglietti e decorava le pareti
delle celle. Infatti anche l'uomo di Dio, Pacifico, contemplatore di
celesti visioni, scorse con gli occhi della carne sulla fronte del beato padre,
una grande lettera Tau, che risplendeva di aureo fulgore. Per
convincimento razionale e per fede cattolica appare giusto che chi era così
preso da ammirabile amore della croce, sia divenuto anche mirabile per causa
della croce. Nulla pertanto è,più veramente consono a lui, quanto ciò che si
predica delle stimmate della croce.
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4. Or ecco come avvenne l'apparizione. Due anni
prima di rendere lo spirito al Cielo nell'eremo detto la Verna, in Toscana, ove
nel ritiro della devota contemplazione, ormai volgeva tutto se stesso verso la gloria
celeste, vide in visione sopra di sé un Serafino che aveva sei ali con le
mani e i piedi inchiodati alla croce. Due ali erano poste sul suo
capo, due erano distese come per il volo, due infine coprivano
interamente il corpo. A questa visione si meravigliò profondamente, ma non
comprendendo che cosa essa significasse per lui, fu pervaso nel cuore da gioia
mista a dolore. Si rallegrava per le manifestazioni di grazia con le quali il
Serafino lo guardava, ma nel medesimo tempo lo affliggeva l'affissione alla
croce. Cercò subito di comprendere che cosa potesse significare tale visione e
il suo spirito si tendeva ansioso alla ricerca di una spiegazione. Ma, mentre,
cercando fuori di sé, l'intelletto gli venne meno, subito nella sua stessa
persona gli si manifestò il senso.
D'un
tratto cominciarono infatti ad apparire nelle sue mani e nei piedi le ferite
dei chiodi, nella stessa maniera nella quale poco prima le aveva viste sopra di
sé nell'uomo crocifisso. Le sue mani e i suoi piedi apparivano trafitti nel
centro dai chiodi, con le teste dei chiodi sporgenti nel palmo delle mani e sul
dorso dei piedi, mentre le loro punte uscivano dall'altra parte. Le teste dei
chiodi nelle mani e nei piedi erano rotonde e nere, le loro punte erano lunghe
e ribattute in modo che sorgendo dalla stessa carne sporgevano dalla carne.
Anche il fianco destro, come trafitto da una lancia, era segnato da una rossa
cicatrice, che emettendo spesso sangue, inzuppava di quel sacro sangue la
tunica e la veste .
Infatti
l'uomo di Dio Rufino, che era di purezza angelica, mentre una volta con
filiale affetto curava il corpo del santo padre, sfuggendogli la mano toccò
sensibilmente quella ferita. Per questo il servo di Dio soffrì non poco e,
allontanando da sé la mano, pregò gemendo che il Signore gli perdonasse.
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5. Due anni dopo egli passò serenamente dalla
valle del pianto alla patria beata. Quando la mirabile notizia giunse alle
orecchie degli uomini, ci fu gran concorso di popolo, che lodava e
glorificava il nome di Dio. Accorsero tutti cittadini di Assisi e della
regione, desiderosi di vedere il nuovo miracolo, che Dio aveva operato in
questo mondo. La straordinarietà del miracolo mutava il pianto in giubilo e
rapiva gli occhi del corpo in stupore ed estasi. Contemplavano dunque il beato
corpo divenuto prezioso per le stimmate di Cristo, nelle mani e nei piedi
vedevano non già i fori dei chiodi, ma gli stessi chiodi formati per divina
virtù dalla sua stessa carne, anzi innati nella sua stessa carne, tanto che
premuti da qualsiasi parte, subito reagivano come nervi tutti d'un pezzo dalla
parte opposta. Contemplavano anche il fianco rosso di sangue.
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Abbiamo proprio visto queste cose che
narriamo, con le mani con cui scriviamo le abbiamo toccate, e ciò
che testimoniamo con le labbra l'abbiamo visto con commossi occhi, confermando
per ogni tempo ciò che una volta sola abbiamo giurato toccando i sacri oggetti.
Molti frati con noi, mentre viveva il Santo, videro la stessa cosa; alla sua
morte poi oltre cinquanta frati, con innumerevoli laici, l'hanno venerato. Non
vi sia alcuna incertezza, nessun dubbio sorga sul dono di questa eterna bontà!
E voglia Dio che per tale serafico amore molte membra aderiscano al capo,
Cristo, e che in tal guerra si trovino degne di tale armatura, e che nel Regno
siano elevate a simile ordine! Chi mai, sano d'intelletto, non direbbe che ciò
appartiene alla gloria di Cristo? Ma basti, comunque, la pena già inflitta agli
increduli a ripagare gli indevoti e renda dall'altra gli stessi devoti più
certi.
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6. Presso Potenza, città del regno di Puglia, vi
era un chierico di nome Ruggero, uomo di onore e canonico della Chiesa madre.
Costui essendo straziato da lunga infermità un giorno entrò a pregare per la
sua salute in una chiesa, in cui vi era dipinta l'effige del beato Francesco,
rappresentante le gloriose stimmate. E avvicinandosi per pregare presso
l'immagine, si inginocchia molto devotamente. Tuttavia, fissando le stimmate
del Santo, volge i pensieri a cose vane, e non respinge con la ragione l'aculeo
del dubbio che in lui sorgeva. Infatti, illuso dall'antico nemico, col cuore
turbato, cominciò a dire fra sé: "Sarà proprio vero che questo santo sia
stato glorificato con tale miracolo, o piuttosto non fu una pia illusione dei
suoi? Fu una falsa scoperta e forse un inganno inventato dai frati. Tale
prodigio sarebbe superiore ad ogni umano sentire e sarebbe lontano da ogni
giudizio della ragione". O stoltezza di uomo! Dovevi piuttosto venerare
con tanta maggiore umiltà quel miracolo, quanto più era meno inteso da te! Era tuo
dovere sapere, se eri ragionevole, che è cosa facilissima per Iddio rinnovare
di continuo il mondo con nuovi miracoli, ed operare sempre in noi per
la sua gloria cose che non ha operato in altri. Che altro mai? Mentre si
disperde in tali pensieri, viene colpito da Dio con una dura piaga, perché
impari dalla sofferenza a non bestemmiare. Viene colpito sulla palma della
mano sinistra, poiché era mancino, mentre ode un sibilo come di freccia
scoccata dalla balestra. Subito dopo, stupito sia dalla ferita che dal sibilo,
si toglie il guanto che portava. Dove non c'era prima alcuna ferita, scopre ora
nel mezzo della mano una piaga, come di un colpo di freccia, che gli procurava
tanto bruciore, che gli sembrava di venir meno dal dolore. Mirabile a dirsi!
Nessun segno di rottura appariva sul guanto, perché alla segreta ferita del
cuore rispondesse anche il dolore di una piaga segreta.
7. Si lamenta quindi per due giorni e ruggisce
esacerbato dal dolore acutissimo, rivelando a tutti il mistero del suo
incredulo cuore; confessa di credere che in san Francesco vi furono davvero le
sacre stimmate e giura assicurando che era scomparso in lui ogni fantasma di
dubbio. Supplica quindi il Santo di Dio, di essere aiutato per merito delle
sacre stimmate, e pregando versa molte lacrime. Nuovo miracolo: svanita
l'incredulità, la guarigione del corpo segue alla guarigione dello spirito.
Sparisce ogni sofferenza, si calma il bruciore, scompare ogni segno della
ferita. Quell'uomo diviene umile davanti a Dio, devoto al Santo e legato all'Ordine
dei frati da perenne amicizia. Questo miracolo fu sottoscritto con giuramento e
controfirmato dal vescovo locale. Mirabile benedetta potenza di Dio, che nella
città di Potenza fece cose magnifiche!
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8. È costume delle nobili matrone romane, sia vedove
che sposate, soprattutto di quelle a cui la ricchezza consente il privilegio
della generosità e a cui Cristo infonde il suo amore, di avere nelle proprie
case delle camerette o un rifugio idoneo alla preghiera, in cui conservano
qualche immagine dipinta e l'effige di quel Santo che venerano in modo
particolare. Orbene, una signora nobile per purezza di costumi e per fama di
antenati, aveva scelto san Francesco come suo protettore. Teneva la sua
immagine dipinta nella cameretta appartata, dove in segreto pregava
il Padre. Un giorno mentre pregava devotamente e con grande attenzione
cercava i santi segni, non vedendoli raffigurati, si meravigliò e se ne
addolorò. Ma non c'era nessuna ragione di meravigliarsi, dal momento che non
c'era nel dipinto ciò che il pittore aveva tralasciato di raffigurare. Per più
giorni cela in cuor suo il fatto, né lo dice ad alcuno, pur guardando
frequentemente l'immagine e sempre con dolore. Ed ecco che un giorno,
d'improvviso, quei meravigliosi segni apparvero sulle mani, come di solito
appaiono dipinti nelle altre immagini, poiché la potenza divina aveva supplito
ciò che.era stato dimenticato dall'umana arte.
9. Tremante la donna chiama subito a sé la
figlia, che la seguiva nel suo santo proposito e indicandole ciò che era accaduto,
diligentemente le domanda se fino allora avesse visto l'immagine senza le
stimmate La fanciulla asserisce e giura che prima l'immagine era senza le
stimmate e che ora invece appariva chiaramente con le stimmate. Ma proprio
perché la mente umana spesso si confonde e cade, rimettendo in dubbio la verità
subentra di nuovo nel cuore della donna un dubbio ansioso, che fin dal
principio così fosse stata l'immagine. Ma la potenza di Dio, perché non venga
misconosciuto il primo miracolo, ne aggiunge un secondo. Sparirono infatti
immediatamente quei segni, e l'immagine rimase priva di quegli ornamenti, in
modo che attraverso un altro prodigio fosse reso evidente quello precedente. Io
stesso ho visto quella sposa piena di ogni virtù, ho visto ripeto, in abito
secolare un'anima consacrata a Dio.
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10. Sin dalla nascita, la ragione umana si lascia
così irretire da sensazioni grossolane e da fallaci fantasie che sopraffatta da
un'instabile immaginazione, è costretta qualche volta a mettere in dubbio ciò
che si deve credere. Perciò non soltanto andiamo soggetti a dubbi sui fatti
meravigliosi dei santi, ma spesse volte la stessa fede nelle cose della
salvezza diviene oggetto di molte obbiezioni.
Un frate dell'ordine
dei minori, predicatore per ufficio e di integra vita, era fermamente persuaso
del miracolo delle sacre stimmate; ma un giorno egli venne preso dal tormento
del dubbio intorno al miracolo del Santo. Puoi immaginare la guerra sorta nel
suo animo, mentre la ragione d'un lato difende la verità, e dall'altro la
fantasia suggerisce sempre il contrario. La ragione, sostenuta da molti
particolari, ammette che è proprio così come si dice, e, in mancanza di
ulteriori argomenti, si appoggia alla verità proposta dalla santa Chiesa.
Congiurano dall'altra parte contro la credibilità del miracolo le ombre dei
sensi, poiché sembra essere cosa totalmente contraria alle leggi della natura
e, oltre a ciò, mai verificatasi nei secoli precedenti. Una sera, affaticato da
tale ansietà, entra in cella, ormai aggrappato alla debolezza della ragione, e
quanto mai scosso dalla protervia del dubbio. Ora, mentre dormiva, gli apparve
san Francesco, coi piedi infangati, dal sembiante umilmente duro e
pazientemente sdegnato. "Perché questo contrasto e queste incertezze in
te? esclamò. Perché questi dubbi volgari? Guarda le mie mani e i miei piedi".
Ma egli poteva vedere le mani trafitte, non vedeva però le stimmate dei piedi
infangati. "Togli, aggiunse il Santo, il fango dai miei piedi e vedi i
posti dei chiodi! ". Prendendo quegli i piedi del Santo, gli sembrò di
togliere il fango e di toccar con le mani i posti dei chiodi. Subito dopo,
svegliandosi, si sciolse tutto in lacrime e purificò con una pubblica
confessione i sentimenti che in qualche modo gli avevano inzaccherato l'animo.
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11. Perché non si ritenga che quelle sacre
stimmate dell'invitto soldato di Cristo non avessero un eccezionale
potere, oltre a quello d'essere segno di un dono speciale e privilegio di
supremo amore,--ciò che costituisce la meraviglia di tutto il mondo; quanto
siano armi potenti presso Dio quei sacri segni, lo si può vedere attraverso un
fatto avvenuto in Spagna, nel regno di Castiglia, a motivo della novità di un
più evidente miracolo.
Due
uomini erano ferocemente divisi da una vecchia lite; essi non avevano tregua
nel loro animo esacerbato; e non poteva esserci né una pace durevole né un
rimedio temporaneo del loro furore se non quando l'uno o l'altro avesse
crudelmente ucciso il nemico. Ambedue armati e spalleggiati dai compagni si
tendevano l'un l'altro frequenti insidie, perché non si poteva compiere in
pubblico un delitto. Una volta sul tardi, a crepuscolo ormai inoltrato, accadde
che un uomo di chiara fama ed onestà dovesse passare per quella via, dove l'uno
aveva preparato una insidia mortale per l'altro. Costui si affrettava, come
d'abitudine, per andare a pregare dopo l'ora di Compieta alla chiesa dei frati,
essendo quanto mai devoto del beato Francesco; tutto ad un tratto i figli
delle tenebre si gettarono sul figlio della luce avendolo scambiato
per il loro avversario a lungo ricercato a morte. Avendolo trafitto mortalmente
da ogni parte, lo lasciarono mezzo morto. Alla fine colui che gli era nemico
più crudele gli conficcò profondamente la spada nel collo e, non potendola
ritrarre, la lasciò infissa nella ferita.
12. Si accorse da ogni parte, e mentre le grida
salivano fino al cielo, tutto il vicinato piangeva la morte delI'innocente.
Poiché c'era ancora un alito di vita in quell'uomo, i medici decisero di non
estrarre la spada dalla gola. Forse essi così agivano nella speranza di una
confessione, affinché la vittima almeno con un segno rivelasse qualche cosa.
Lavorarono quindi tutta la notte fino all'alba, a tergere il sangue e a curare
le ferite inflitte dai molti e profondi colpi; non ottenendo nessun risultato,
smisero di curarlo. Stavano attorno al letto con i medici anche i frati minori,
presi da immenso dolore, in attesa della fine delI'amico. Ed ecco, la campana
dei frati chiamò al mattutino. Al suono della campana, la moglie corse gemendo
vicino al letto: "Mio signore, esclama, alzati presto vai al
mattutino, perché la campana ti chiama! ". Subito colui che si credeva sul
punto di morire, dopo aver emesso un mormorio confuso dal petto, fece a fatica
qualche cenno. E, levando la mano verso la spada infitta nella gola, pareva
indicare a qualcuno di estrarla. Cosa davvero sorprendente! Improvvisamente la
spada fu come proiettata via dalla ferita e scagliata come dalla mano d'un uomo
robustissimo sino alla porta di casa, sotto gli occhi di tutti. Quell'uomo si
alzò e perfettamente guarito, come se si fosse risvegliato dal sonno, prese a raccontare
le meraviglie del Signore.
13. Sì grande stupore prese il cuore di tutti che,
storditi, credevano che il fatto fosse frutto della fantasia. A questo punto
l'uomo guarito esclamò: " Non temete, non crediate illusione ciò
che vedete! Giacché san Francesco, cui sempre sono stato devoto, è appena
uscito di qui e mi ha sanato completamente da ogni piaga. A ogni mia ferita ha
sovrapposto quelle sue sacratissime stimmate; con la loro dolcezza ha alleviato
le mie piaghe; come vedete, al loro contatto, ogni ferita si è mirabilmente
rimarginata. Mentre infatti udivate i rantoli del mio petto, sembrava che il
santissimo padre dopo aver dolcemente rimarginato tutte le ferite volesse
allontanarsi lasciando la spada nella gola. Non riuscendo a parlare, gli facevo
debolmente cenno con la mano perché estraesse la spada, ormai sotto il pericolo
della morte imminente. Afferrandola subito, come tutti avete potuto constatare,
la scagliò via con forza. E così come prima aveva fatto, toccando e lenendo con
le sacre stimmate la gola ferita, la risanò completamente, senza che rimanesse
alcun segno". Al racconto di tali fatti nessuno potrà non stupirsi. Chi
dunque potrà mai dubitare che quanto è detto delle stimmate non sia opera
divina?
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CAPITOLO III
IL POTERE CHE EBBE SULLE CREATURE INSENSIBILI,
E SPECIALMENTE SUL FUOCO
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14. Nel tempo in cui era afflitto dalla malattia
degli occhi, i confratelli persuasero l'uomo di Dio ad accettare le cure;
perciò venne chiamato al luogo dei frati un chirurgo. Costui portò con sé lo
strumento di ferro per la cauterizzazione e ordinò di metterlo sul fuoco, fino
a che non fosse reso incandescente. Al che il beato Padre, confortando il proprio
corpo scosso dal timore, così si rivolse al fuoco: " Fratello mio fuoco,
l'Altissimo ti ha creato per emulare in bellezza le altre cose,
potente, bello e utile. Siimi favorevole in questo momento, siimi amico,
poiché già ti ho amato nel Signore! Prego il grande Iddio che ti ha creato,
che moderi il tuo calore in modo che ora io possa dolcemente sopportarlo
". Terminata l'orazione, benedisse con un segno di croce il fuoco e
quindi, pieno di coraggio, attese. Mentre il ferro rovente e scintillante
veniva afferrato dal chirurgo, i frati fuggirono vinti da umana paura e il
Santo lieto e senza esitazione si sottopose al ferro. Il ferro crepitando
penetrava nella morbida carne e venne fatta la cauterizzazione a tratti
dall'orecchio al sopracciglio. Quanto quel fuoco abbia provocato dolore, ne è
testimonianza la parola di colui che ne ebbe esperienza. Infatti, ritornati i
frati che erano fuggiti, il Padre sorridendo disse: "Paurosi e deboli di
cuore, perché mai siete fuggiti? In verità vi dico, non ho sentito né il
calore del fuoco né alcun dolore della carne". E rivolto al medico:
"Se la carne non è ben cotta, applica di nuovo il ferro!". Il medico,
che conosceva ben altre conseguenze di simili operazioni, magnificò tale
miracolo, esclamando: "Dico a voi, fratelli, ho visto oggi cose
mirabili ". Era forse tornato alla primitiva innocenza colui al volere
del quale si arrendevano ammansiti gli esseri indocili.
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15. Il beato Francesco, desiderando qualche volta
andare ad un eremo per attendere più liberamente alla contemplazione, poiché
era molto debole, ottenne da un povero uomo un asino da cavalcare. Costui
mentre saliva nella calura estiva per i viottoli montagnosi, seguendo l'uomo di
Dio, è preso dalla fatica del lungo cammino su una strada troppo aspra e lunga,
e, prima di arrivare alla meta, viene meno dalla sete. Si mette dunque a
supplicare con insistenza il Santo che abbia pietà di lui, dicendo che sarebbe
morto se non avesse bevuto qualche sorso d'acqua. Il santo di Dio, che sempre
era compassionevole verso gli afflitti, senza indugio discese dall'asino e,
piegate a terra le ginocchia, alzò le palme verso il cielo, non cessando di
pregare, finché si sentì esaudito. "Affrettati, disse al contadino, e
troverai acqua viva, che in questo istante Cristo misericordioso ha fatto
sgorgare dalla pietra". Stupenda degnazione di Dio, che si china verso i
suoi servi così facilmente!
Beve
il contadino l'acqua sgorgata dalla pietra per virtù della preghiera del Santo
e gustò una bevanda tratta dalla durissima roccia. Polla d'acqua in quel luogo
non c'era mai stata, né in seguito si è mai potuta ritrovare, come dimostrano
le ricerche diligentemente fatte.
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16. Gagliano è un paese popoloso e illustre in
diocesi di Sulmona. In esso viveva una donna di nome Maria che, giunta alla
conversione attraverso le difficili vie del mondo, si era dedicata totalmente
al servizio di san Francesco.
Era
salita un giorno su un monte, riarso per la totale mancanza d'acqua, con
l'intenzione di potare gli aceri verdeggianti; aveva dimenticato di portare con
sé l'acqua e, per il calore eccessivo, cominciò a venir meno per l'arsura della
sete. Non potendo ormai far nulla e giacendo per terra esaurita, cominciò a
invocare il suo patrono san Francesco. Affaticata si assopì. Ed ecco
sopraggiungere san Francesco, che la chiamò col suo nome: "Alzati e bevi
l'acqua che a te e a molti altri viene offerta quale dono di Dio".
Sbadigliò la donna a tale voce e vinta dal sonno tornò a riposare. Chiamata
ancora una volta, ancor molto stanca, rimase a terra sdraiata. La terza volta
però, confortata al comando del Santo si alzò. E afferrando una felce vicina la
estrasse dal terreno. Avendo allora scorto che la sua radice era tutta intrisa
d'acqua, con le dita e con un piccolo ramoscello cominciò a scavare tutt'attorno.
Subito la fossa si riempì d'acqua e la piccola goccia crebbe fino a divenire
fonte. Bevve la donna e dissetata, si lavò gli occhi che, gravemente indeboliti
da una lunga malattia, non potevano vedere nulla con chiarezza. Si
illuminarono i suoi occhi e, sparita la rugosa vecchiezza si riempirono
come di nuova luce. La donna si affrettò verso casa, per annunciare a tutti
tale stupendo miracolo a gloria di san Francesco. Si diffuse la notizia del
miracolo in altre regioni, giungendo alle orecchie di tutti. Accorsero da ogni
parte molti colpiti da varie malattie che, fatta anzitutto la
confessione per la salvezza dell'anima, vennero qui liberati dalle loro
infermità. Infatti i ciechi riaquistarono la vista, gli zoppi ripresero a
camminare, anche gli obesi divennero più snelli, e ad ogni infermità viene
offerto il giusto rimedio. Ancora oggi dalla fonte prodigiosa l'acqua continua
a sgorgare; è stato qui costruito un oratorio in onore di san Francesco.
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17. Nel periodo in cui era presso l'eremo di Sant'Urbano,
il beato Francesco gravemente ammalato, con labbra aride, domandò un po' di
vino, gli risposero che non ce n'era. Chiese allora che gli portassero
dell'acqua e quando gliela ebbero portata la benedisse con un segno di croce.
Subito l'acqua perse il proprio sapore, e ne acquistò un altro. Diventò ottimo
vino quella che prima era acqua pura, e ciò che non poté la povertà, lo
provvide la santità. Dopo averlo bevuto, quell'uomo di Dio si ristabilì molto
in fretta e come la miracolosa conversione dell'acqua in vino fu la causa della
guarigione, così la miracolosa guarigione testimoniava quella conversione.
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840
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18. Nella provincia di Rieti era scoppiata una
pestilenza molto grave che contagiava i bovini, tanto che solo qualche bue
poteva sopravvivere. A un uomo timorato di Dio, di notte attraverso un sogno
venne fatto sapere di recarsi con sollecitudine ad un eremo di frati per
prendere l'acqua con cui si lavavano le mani e i piedi del beato Francesco, che
allora là si trovava, per aspergere con essa tutti i bovini. Alla mattina
levatosi quell'uomo, ben ansioso di ottenere il beneficio, venne al luogo
indicato, e, all'insaputa del Santo, poté ottenere dagli altri frati
quell'acqua, che poi asperse su tutti i bovini, come gli era stato comandato.
Da quel momento cessò per grazia di Dio il pestilenziale contagio, né più
riapparve in quella zona.
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841
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19. In regioni diverse molte genti offrivano
molto spesso a san Francesco con fervida devozione pane ed altri cibi perché li
benedicesse.
Conservandosi
questi per lungo tempo senza corrompersi, grazie all'intervento divino, se
presi come cibo risanavano i corpi affetti da malattia. E stato anche provato
infatti che per loro virtù furono allontanate violente tempeste di grandine e
tuoni. Affermano alcuni di aver constatato che, per virtù del cordone che egli
cingeva e delle pezzuole scucite dai suoi abiti, sono stati scacciati i morbi e
fugate le febbri, recuperando così la tanto desiderata salute.
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842
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Celebrando il Santo, il giorno della Natività del
Signore, la memoria del presepio del bambino di Betlemme, e rievocando
misticamente tutti i particolari dell'ambiente nel quale nacque il bambino
Gesù, molti prodigi si manifestarono per intervento divino. Fra questi vi è
quello del fieno sottratto a quella mangiatoia, che divenne rimedio alle
infermità di molti e che fu utile particolarmente alle partorienti in
difficoltà e a tutti gli animali contagiati da epidemie.
Avendo
narrato tutto ciò delle creature insensibili, aggiungiamo ora qualcosa
sull'obbedienza prestata dalle creature sensibili.
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CAPITOLO IV
IL POTERE CHE EBBE SULLE CREATURE SENSIBILI
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20. Le stesse creature si sentivano spinte a
rispondere con amore a san Francesco e a ricambiare con gratitudine quanto era
loro dato.
Una
volta, facendo viaggio attraverso la valle Spoletana, nelle vicinanze di
Bevagna, arrivò ad un luogo ove si era radunata una grandissima quantità di
uccelli di varie specie.. Avendoli scorti il santo di Dio per il
particolare amore del Creatore, con cui amava tutte le creature, accorse
sollecitamente a quel luogo, salutandoli col modo consueto, come se fossero
dotati di ragione. Poiché gli uccelli non volavano via, egli si avvicinò e
andando e venendo in mezzo a loro, toccava col lembo della sua tonaca il loro
capo e il loro corpo. Pieno di gioia e di ammirazione, li invitò ad ascoltare
volentieri la parola di Dio, e così disse: "Fratelli miei uccelli! Dovete
lodare molto il vostro Creatore e sempre amarlo perché vi ha rivestito di piume
e vi ha donato le penne per volare. Infatti tra tutte le creature vi ha fatti
liberi, donandovi la trasparenza dell'aria. Voi non seminate né mietete, eppure
Egli vi mantiene senza alcuno vostro sforzo!".
A
tali parole, gli uccelli, facendo festa, cominciarono ad allungare il collo,
spalancare le ali, aprire il becco, fissandolo attentamente. Né si
allontanarono da là, finché, fatto un segno di croce, non diede loro il
permesso e la benedizione.
Tornato
dai frati, cominciò ad accusarsi di negligenza, perché prima non aveva mai
predicato agli uccelli. Perciò da quel giorno esortava gli uccelli, gli animali
ed anche le creature insensibili, alla lode e all'amore verso il Creatore.
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844
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21. S'avvicinò una volta ad un paese di nome
Alviano, per predicarvi. Radunato il popolo e chiesto il silenzio, quasi non
poteva essere udito per il garrire delle molte rondini che nidificavano in quel
luogo. Mentre tutti lo ascoltavano, si rivolse ad esse dicendo: "Sorelle
mie rondini, ormai è ora che parli anch'io, giacché voi fino ad ora
avete detto abbastanza! Ascoltate la parola di Dio standovene zitte, finché
il discorso d l Signore sarà terminato ".
E
quelle, come fossero dotate di ragione, subito tacquero, né si mossero dal loro
luogo, finché tutta la predica fu finita. Tutti coloro che assistettero, pieni
di stupore, dettero gloria a Dio.
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22. Nella città di Parma, uno studente era
talmente infastidito dall'insistente garrire di una rondine, da non poter in
alcun modo meditare. Costui piuttosto eccitato, cominciò a dire: "Questa
rondine è stata una di quelle, che, come si legge, una volta non permetteva a
san Francesco di predicare, finché egli non le impose il silenzio ".
E rivolto alla rondine esclamò: "In nome di san Francesco ti ordino che tu
permetta di essere da me presa". Essa tosto volò tra le sue mani.
Stupefatto lo studente le restituì la libertà, e in seguito non sentì più il
suo garrire.
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846
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23. Mentre un giorno il beato Francesco
attraversava, su di una piccola barca, il lago di Rieti diretto verso l'eremo
di Greccio, un pescatore gli offrì un uccello fluviale, con cui rallegrarsi
davanti al Signore. Il beato padre lo prese con gioia e lo invitò con dolcezza
a volare via liberamente. Esso non voleva andarsene e si rannicchiava come in
un nido nelle sue mani, il Santo allora, alzati gli occhi al cielo, rimase a
lungo in preghiera. Dopo una lunga pausa, come ritornato in sé da un'estasi,
comandò dolcemente all'uccello di ritornare senza timore alla libertà di prima.
Ricevuto dunque il permesso con la sua benedizione, lietamente, con un battito
d'ali l'uccello volò via liberamente.
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24. Un'altra volta, sullo stesso lago, viaggiando
su di una barchetta, giunse al porto, dove gli fu offerto un grosso pesce ancor
vivo. Chiamandolo egli con il nome di fratello, secondo la sua usanza, lo
rimise in acqua vicino alla barca. Ma il pesce giocherellava in acqua presso il
Santo, che con gioia lodava Cristo Signore. Il pesce non si allontanò da quel
posto, fino a ché non gli fu ordinato dal Santo.
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25. Mentre il beato Francesco era in un eremo. come
al solito lontano dagli uomini e dal loro parlare, un falco che aveva il nido
in quel luogo si legò a lui con grande patto d'amicizia. Infatti di notte,
quando il Santo era solito alzarsi per i divini uffici, il falco lo anticipava
sempre col suo canto e schiamazzo. La cosa era molto gradita al Santo, poiché
con tanta sollecitudine lo scuoteva da ogni indugio. Quando però il Santo più
del solito era disturbato da qualche malessere, il falco si tratteneva e non
cominciava così presto le sue veglie. Come istruito da Dio, verso l'alba
suonava la campana della sua voce con tocco leggero. Nessuna meraviglia dunque,
se anche tutte le altre creature venerano un così grande amante del Creatore.
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26. Un nobile del contado di Siena, mandò al beato
Francesco infermo un fagiano, Egli lo ricevette con gratitudine, non per il
desiderio di mangiarlo, ma secondo l'abitudine per la quale si rallegrava di
tali cose per amore del Creatore, disse al fagiano: "Sia lodato il nostro
Creatore, fratello fagiano!". E ai frati: "Proviamo ora se frate
fagiano voglia stare con noi, oppure andarsene ai luoghi abituali e a lui più
confacenti ". Allora un frate per ordine del Santo portando l'uccello, lo
pose lontano in un vigneto. Esso subito, con volo rapido, ritornò alla cella
del Padre, che ordinò ancora di portarlo più lontano. L'uccello con estrema
velocità tornò alla porta della cella e, come facendo violenza, entrò di sotto
le tonache dei frati che erano all'ingresso. Allora il Santo ordinò di nutrirlo
con cura, accarezzandolo e parlandogli dolcemente. Un medico, assai devoto al
Santo di Dio, vista la cosa, chiese l'uccello ai frati, non per mangiarlo, ma
per allevarlo in ossequio al Santo. Lo portò con sé a casa, ma il fagiano,
quasi offeso per essere stato allontanato dal Santo, finché rimase lontano
dalla sua presenza non volle mangiare nulla. Stupefatto il medico, riportò con
premura il fagiano al Santo, e narrò dettagliatamente tutto ciò che era
accaduto. Il fagiano, posto in terra, appena scorse il Padre suo, lasciò ogni
tristezza, e cominciò lietamente a mangiare.
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27. Accanto alla cella del Santo di Dio, presso
la Porziuncola, una cicala, che stava di solito su un fico, cantava
frequentemente con la consueta dolcezza.
Il
beato padre una volta, stendendo la mano, la chiamò con dolcezza verso di sé:
" Sorella mia cicala, vieni da me! ". Ed essa, come dotata di
ragione, subito si pose sulla sua mano. Ed egli rivolto ad essa: " Canta,
sorella mia cicala, e loda con la tua letizia il Signore Creatore ".
Essa
obbedendo senza indugio cominciò a cantare, senza tregua finché l'uomo di
Dio, unendo la sua lode ai canti di lei, le permise di tornarsene nel suo
solito posto, nel quale essa rimase ininterrottamente come fosse legata per
otto giorni. E il Santo ogni volta che usciva dalla cella, le ordinava,
accarezzandola con le mani, di cantare ed essa era sempre sollecita ad obbedire
alle sue richieste. E il Santo disse ai compagni: " Diamo ormai libertà a
nostra sorella cicala, che fino ad ora ci ha rallegrati abbastanza, in modo
che la nostra carne non si glorii vanamente per tal fatto
".
E
subito essa, da lui licenziata si allontanò senza farsi vedere più. I frati
furono molto stupiti di ciò.
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28. Essendo in un luogo povero, il Santo beveva in
un vaso di coccio, In esso, dopo la sua morte, delle api, con arte
meravigliosa, fabbricarono le cellule dei favi, quasi a indicare mirabilmente,
la divina contemplazione che là aveva gustato.
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29. Presso Greccio fu offerto a san Francesco un
leprotto vivo e ancora in forza. Posto di nuovo in libertà poteva fuggire dove
voleva; quando il Santo lo richiamò a sé, quello agilmente gli saltò sul petto.
Il Santo, ricevendolo benevolmente, e ammonendolo dolcemente di non farsi più
prendere, lo benedisse e gli ordinò di tornare nella selva.
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30. Qualcosa di simile accadde di un coniglio che
è un animale molto selvatico, quando il Santo dimorava nelI'isola del lago di
Perugia.
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31. Una volta facendo viaggio da Siena alla vallata
di Spoleto, il Santo giunse in un campo dove pascolava un gregge abbastanza
grande; egli lo salutò benevolmente, come era solito, e le pecore accorsero
tutte da lui, e levando le teste e belando rispondevano al suo saluto. Il suo
vicario notò attentamente ciò che le pecore avevano fatto e seguendo con i
compagni a passo più lento, disse agli altri: " Avete visto cosa le pecore
hanno fatto al Padre? Veramente, soggiunse, è grande costui che gli
animali venerano come un padre e che, pur privi di ragione, riconoscono come
amico del loro Creatore ".
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32. Le allodole, amiche della luce del giorno e
paurose delle ombre del crepuscolo, quella sera in cui san Francesco passò dal
mondo a Cristo, pur essendo già iniziato il crepuscolo, si posarono sul tetto
della casa e a lungo garrirono roteando attorno. Non sappiamo se abbiano voluto
a modo loro dimostrare la gioia o la mestizia, cantando. Esse cantavano un
gioioso pianto e una gioia dolorosa, quasi piangessero il lutto dei figli o
volessero indicare l'entrata del Padre nell'eterna gloria. Le guardie della
città che attentamente custodivano quel luogo, stupite invitarono gli altri all
'ammirazione.
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CAPITOLO V
LA DIVINA CLEMENZA FU SEMPRE PRONTA AD ESAUDIRE
I DESIDERI Dl SAN FRANCESCO
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33. Non soltanto la creatura ubbidiva al solo
cenno di quest'uomo, ma la Provvidenza stessa del Creatore condiscendeva
ovunque ai suoi desideri. Quella paterna clemenza preveniva i suoi desideri e
anticipatamente con sollecitudine accorreva come a colui che si era abbandonata
ad essa. Si manifestavano ad un tempo il bisogno e la grazia, il desiderio e il
soccorso.
Nel
sesto anno della sua conversione, ardendo dal desiderio del martirio, volle
passare il mare diretto in Siria. Avendo salpato con una nave, diretta a quel
luogo, per la furia dei venti contrari, finì sulla costa della Schiavonia con
gli altri naviganti. Vedendosi impedito nella realizzazione del suo grande
desiderio, dopo poco pregò alcuni marinai in viaggio per Ancona di condurlo con
sé nella traversata. Essi rifiutarono ostinatamente di riceverlo per mancanza
di cibo, e il Santo di Dio, confidando quanto mai nella bontà del Signore,
entrò di soppiatto nella nave con un compagno. Per divina provvidenza si
presentò subito un individuo sconosciuto a tutti, che portava con sé il vitto
necessario. Chiamato un marinaio timorato di Dio, costui gli disse:
"Prendi con te tutto questo e lo darai fedelmente secondo necessità ai
poverelli nascosti nella nave". Levatasi in seguito una forte tempesta,
per molti giorni i marinai remarono con fatica esaurendo tutte le loro cibarie
e rimasero solo quelle del povero Francesco. Ora queste per divina grazia e
potenza furono moltiplicate sì che, malgrado vi fossero ancora molti giorni di
navigazione, soccorsero abbondantemente alla necessità di tutti sino al porto
di Ancona. Pertanto i marinai, vedendo che erano stati salvati dal pericolo del
mare grazie al servo di Dio Francesco e che avevano ricevuto da lui quanto gli
avevano negato, resero grazie a Dio onnipotente, che sempre si mostra mirabile
ed amabile nei suoi servi.
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34. Di ritorno dalla Spagna, non avendo potuto
secondo il suo desiderio raggiungere il Marocco, san Francesco si ammalò molto
gravemente. Infatti oppresso dalla miseria e dalla debolezza e cacciato dalla
casa per la durezza dell'ospite, per tre giorni perse la parola. Ricuperate
comunque in qualche modo le forze, camminando per la strada disse a frate
Bernardo che avrebbe mangiato un uccello, se mai ne avesse avuto uno. Ed ecco
accorrere attraverso un campo un cavaliere con uno squisito uccello. Costui
disse al beato Francesco: "Servo di Dio, accetta con piacere ciò che ti
manda la divina clemenza". Accettò con gioia il dono e comprendendo
come Cristo avesse cura di lui, lo benedisse in ogni cosa.
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35. Giacendo infermo nel palazzo del vescovo di
Rieti, rivestito di una povera tonaca assai vecchia, il padre dei poveri,
disse una volta ad uno dei suoi compagni che aveva scelto come suo guardiano:
"Vorrei, fratello, che tu, potendolo, mi procurassi del panno per una
tonaca". Il frate udito ciò stava pensando come trovare il panno tanto
necessario e tanto umilmente richiesto. Il mattino seguente, quindi, molto
presto si avviò alla porta per andare in città e procurarsi il panno: ed ecco
c'era sulla porta un uomo che intendeva parlargli. Costui disse al frate:
"Ricevi, fratello, per amor di Dio del panno per sei tuniche, e tenendone
una per te, distribuisci le rimanenti per il bene dell'anima mia, come ti
parrà". Tutto lieto, il frate torna dal beato Francesco, e racconta del
dono venuto dal cielo. A lui il Padre rispose: "Prendi le tuniche, perché
per questo quell'uomo è stato mandato, per soccorrere in tale modo alla mia
necessità. Siano dunque rese grazie a Colui che si prende cura di noi ".
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36. Mentre il santo uomo stava in un eremo, un
medico lo visitava ogni giorno per la cura degli occhi. Un giorno il Santo
disse ai suoi: "Invitate il medico e dategli da mangiare benissimo ".
Rispose il guardiano: "Padre, lo diciamo timidamente, ci vergognamo di
invitarlo, tanto siamo poveri in questo momento ". Rispose il Santo
dicendo: "Uomini di poca fede, perché volete che ve lo ripeta? ".
Il medico che era presente, esclamò: "Anch'io, fratelli carissimi, stimerò
come una delizia la vostra miseria". Si affrettarono i frati e posero
sulla mensa tutta l'abbondanza della dispensa, cioè un poco di pane, non molto
vino e perché con più abbondanza mangiassero, la cucina procurò anche un po' di
legumi. Intanto la mensa del Signore soccorse la mensa dei suoi servi;
si sentì bussare alla porta, accorse un frate ed ecco una donna che offrì un
canestro pieno di pane fragrante, di pesci, di pasticcio di gamberi, con sopra
grappoli di uva e miele. A tale vista esultò la mensa dei poveri, e riservati i
cibi poveri per il domani, s'imbandirono subito quelli prelibati. Allora il
medico così parlò, con un sospiro: "Né voi, frati, come dovreste, né noi
secolari conosciamo adeguatamente la santità di costui ". Sarebbero stati
saziati dal cibo, se non lo fossero stati ancor più dal miracolo. Così
quell'occhio paterno non guarda mai con disprezzo i suoi, anzi con maggior
provvidenza nutre i mendicanti più bisognosi.
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CAPITOLO VI
DONNA GIACOMA DEI SETTESOLI
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37. Giacoma dei Settesoli, la cui fama nella
città di Roma era pari alla sua santità, aveva meritato il privilegio di un
particolare affetto da parte del Santo. Non sta a me ripetere, a lode di lei,
l'illustre casato, la nobiltà della famiglia, le ampie ricchezze, ed infine la
meravigliosa perfezione delle sue virtù, la lunga castità vedovile. Essendo
dunque il Santo ammalato di quella malattia, che doveva condurlo, dopo tante
sofferenze, con morte beata, al felice compimento della sua vita, pochi giorni
prima di morire, chiese che fosse avvertita a Roma donna Giacoma, perché se
voleva vedere colui che già aveva tanto amato come esule in terra e che ora era
prossimo al ritorno verso la patria, si affrettasse a venire. Si scrive una
lettera, si cerca un messo molto veloce e trovatolo si dispose al viaggio.
All'improvviso si udì alla porta un calpestìo di cavalli, uno strepito di
soldati e il rumore d'una comitiva. Uno dei confratelli, quello che stava dando
istruzioni al messo, si avvicinò alla porta e si trovò alla presenza di colei,
che invece cercava lontano.
Stupito,
si avvicinò in fretta al Santo e pieno di gioia disse: "Padre, ti annunzio
una buona novella". Il Santo, prevenendolo, gli rispose: "Benedetto
Dio, che ha condotto a noi donna Giacoma, fratello nostro! Aprite le porte,
esclama, e fatela entrare, perché per fratello Giacoma non c'è da osservare il
decreto relativo alle donne!".
38. Ci fu tra gli illustri ospiti una grande
esultanza, si pianse di gioia e di commozione. In più, perché nulla mancasse al
miracolo, si scopre che la santa donna aveva portato tutto ciò che riguardava
le esequie come conteneva la lettera antecedentemente scritta. Infatti aveva
recato un panno di colore cenerino, con cui coprire il corpicciuolo del
morente, parecchi ceri, una sindone per il volto, un cuscino per il capo, e un
certo piatto che il Santo aveva desiderato; insomma tutto ciò che l'anima di
questo uomo aveva richiesto, Dio l'aveva suggerito a lei.
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Continuerò il racconto di questo
pellegrinaggio--perché tale è stato veramente-- per non lasciare senza
consolazione la nobile pellegrina. La moltitudine e soprattutto il devoto
popolo della città attendeva ormai prossimo il passaggio del Santo dalla morte
alla vita. Ma alla venuta della pellegrina romana il Santo si era un poco
ripreso e si pensava allora che sarebbe vissuto ancora. Perciò quella signora
pensò di licenziare il resto della comitiva, per rimanere lei sola con i figli
e pochi scudieri. Ad essa però il Santo disse: " Non farlo, poiché io
partirò sabato e tu te ne andrai la domenica con tutti". E così accadde:
alI'ora predetta entrò nella Chiesa trionfante colui che aveva combattuto così
eroicamente in quella militante. Tralascio qui il concorso delle folle, i cori
inneggianti, i rintocchi solenni delle campane, le copiose lacrime; tralascio i
pianti dei figli, i singhiozzi degli amici, i sospiri dei compagni. Mi limiterò
a narrare come la pellegrina, privata del conforto del Padre, fu consolata.
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39. Pertanto essa, tutta madida di lacrime,
tratta in disparte, viene di nascosto accompagnata presso la salma, e,
ponendole tra le braccia il corpo dell'amico, il vicario esclama: "Ecco,
stringi da morto colui che hai amato da vivo!". Ed essa, versando cocenti
lacrime sopra quel corpo, raddoppia flebili richiami e singhiozzi, e ripetendo
affettuosi abbracci e baci, solleva il velo per vederlo scopertamente. Che più?
Contempla quel prezioso vaso, in cui era stato nascosto un tesoro più prezioso,
adorno di cinque perle. Ammira quelle cesellature, degne dell'ammirazione di
tutto il mondo, che la mano dell'Onnipotente aveva scolpito, e così d'un
tratto, piena di insolita letizia, si rianima tutta alla vista dell'amico
morto. Subito suggerisce che non si debba dissimulare e tener nascosto più a
lungo un così inaudito miracolo, ma con una risoluzione molto saggia lo si mostri
agli occhi di tutti. Accorrono perciò tutti à gara a tale spettacolo, e
costatano come Dio non aveva veramente mai fatto cose sì grandi ad
alcun' altra nazione e sono tutti ripieni di stupore.
Qui
sospendo lo scritto, non volendo balbettare ciò che non potrei descrivere.
Giovanni Frigia Pennate allora fanciullo, in seguito proconsole di Roma e conte
del Sacro Palazzo, quello che allora insieme alla madre, vide con i propri
occhi e toccò con le proprie mani liberamente l'afferma
con giuramento, lo confessa contro tutti i dubbi. Ritorni ormai la pellegrina
alla sua città, consolata dal privilegio di tanta grazia, e noi, dopo aver
narrato la morte del Santo, passiamo ad altro.
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CAPITOLO VII
MORTI RISUSCITATI PER I MERITI DEL BEATO
FRANCESCO
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40. Mi accingo a parlare dei morti risuscitati
per i meriti del confessore di Cristo, e chiedo agli ascoltatori e ai lettori
d'essere attenti. Trascurerò nella narrazione, per amor di brevità, molte
circostanze, e tacendo le esaltazioni degli ammiratori, annoterò soltanto le
cose mirabili.
Nel
paese di Monte Marano, presso Benevento, una donna, di nobile casato, ancor più
nobile per virtù, si era affezionata con speciale devozione a san Francesco, e
lo serviva con profonda dedizione. Oppressa da malattia ed ormai giunta
all'estremo, seguì la sorte di ogni mortale. Poiché essa morì verso il
tramonto, venne differita la sepoltura al giorno dopo, per permettere alla
numerosa folla dei suoi cari di partecipare al sacro rito. Di notte arrivarono
i chierici con i salteri per cantare le esequie e le veglie notturne, mentre
tutt'attorno stava la folla. Ed ecco all'improvviso, alla vista di tutti, si
levò la donna sul letto e chiamò tra i presenti un sacerdote, suo padrino,
dicendogli: "Voglio confessarmi, padre, ascolta il mio peccato! Io,
infatti sono morta ed ero destinata a una dura prigione, poiché non avevo
confessato ancora un peccato che ora ti rivelerò. Ma avendo san Francesco, a
cui fui sempre molto devota pregato per me--essa soggiunse --, mi è stato
permesso dl ritornare in vita in maniera che, confessato quel peccato, possa
meritare il perdono. Ed ecco, davanti a voi tutti, confessato il peccato, mi
affretterò al promesso riposo ". Confessatasi con tremore al tremante
sacerdote, e ricevuta l'assoluzione, essa si coricò quietamente sul letto e si
addormentò felice nel Signore.
Chi
può dunque esaltare con degne lodi la misericordia di Cristo? Chi celebrare la
virtù della confessione e i meriti del Santo con degna lode?
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41. A dimostrare come tutti debbano ricevere con
amore l'ammirabile dono divino della confessione e anche perché giustamente si
chiarisca come questo Santo sempre godette di merito singolare presso Cristo,
bisogna riferire ciò che egli mirabilmente manifestò, mentre viveva nel mondo,
e ciò che, dopo la sua morte, ancor più chiaramente rivelò di lui il suo
Cristo.
Una
volta, recatosi il beato padre Francesco a Celano per predicare, fu da un
cavaliere invitato con devote e ripetute preghiere a pranzare con lui. Egli
dapprima si rifiutò, facendo lunga resistenza, ma infine si lasciò convincere
costrettovi dall'insistenza. Giunse il momento del pranzo e venne imbandita una
splendida mensa. L'ospite devoto si rallegrò, e tutta la famiglia si allietò
all'arrivo dei frati poverelli. Il beato Francesco, rimanendo in piedi e
levando gli occhi al cielo, chiamò a sé l'ospite. "Ecco", disse,
"fratello ospite, vinto dalle tue preghiere sono entrato per mangiare
in casa tua. Adesso obbedisci subito al mio avvertimento, poiché tu non qui
mangerai, ma in altro luogo. Confessa con devozione e contrizione le tue colpe,
e non resti peccato in te che non confessi. Oggi il Signore ti ricompenserà
perché hai così devotamente accolto i suoi poverelli". Si convinse subito
quell'uomo alle parole sante e, chiamato il compagno di san Francesco, che era
sacerdote, gli svelò con sincera confessione tutti i suoi peccati. Diede
disposizione per la sua casa e se ne stava aspettando, senza ombra di
dubbio, che si compisse la parola del Santo. Infine tutti si sedettero a mensa
e cominciarono a mangiare e, anch'egli, fattosi il segno della croce, allungò
tremando la mano verso il pane, ma prima di poterla ritrarre, chinò il capo ed
esalò lo spirito.
Quanto
bisogna amare la confessione dei peccati ! Si osservi, un morto viene
risuscitato perché si possa confessare, e perché un vivo non debba perire in
eterno, viene liberato con il beneficio della confessione.
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42. Un fanciulletto di appena sette anni, figlio
di un notaio di Roma, desiderando accompagnare, al par dei bambini, la madre che
si recava alla chiesa di San Marco per la predica, venne invece rinviato da lei
a casa; amareggiato il piccolo, travolto da non so quale diabolico istinto, si
gettò dalla finestra. Abbattutosi con un ultimo sussulto, spirò. La madre che
non si era ancor molto allontanata, al tonfo del corpo caduto, sospettando il
dramma del suo tesoro, corse velocemente a casa, e scorse il figlio esanime.
Subito essa si piantò le unghie nella carne, chiamò piangendo i vicini, e
vennero chiamati i medici presso Ii corpo esanime. Potranno forse essi ridar
vita al morto? Erano ormai inutili le prognosi e le cure, i medici potevano
spiegare, ma non rimediare il fatto, solo ormai di competenza di Dio. Privo
infatti di calore e di vita, di sentimento, di moto e di forza, il bimbo viene
dichiarato morto dai medici. Frate Rao, dell'Ordine dei Minori, predicatore
famosissimo in tutta la città di Roma, giunto là per predicare, si avvicinò al
fanciullo e pieno di fede si rivolse al padre: "Credi tu che il Santo di
Dio, Francesco, possa risuscitare dai morti tuo figlio, per quell'amore
che egli sempre portò al Figlio di Dio il Signore Gesù Cristo?".
Rispose il padre: "Con fermezza lo credo e lo confesso. Sarò in eterno al
suo servizio e visiterò pubblicamente il suo santo luogo ". Quel frate
allora si inginocchiò col suo compagno, invitando tutti a pregare. Terminata la
preghiera, il fanciullo cominciò a poco a poco a sbadigliare, ad alzar le
braccia e a rialzarsi. Accorre la madre e abbraccia il figlio; il padre non sa
contenersi per la gioia, e tutta la folla, piena di ammirazione, magnifica
Cristo e il suo Santo con altissime grida. Da quell'istante il fanciullo prese
a camminare davanti a tutti restituito alla vita in ottimo stato.
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43. I frati di Nocera chiesero un carro, di cui avevano
bisogno per un po' di tempo, ad un uomo di nome Pietro ma egli rispose
stoltamente: "Io scuoierei due di voi insieme a san Francesco, piuttosto
che prestarvi il mio carro". Si pentì subito però quell'uomo di aver
proferito sì grande bestemmia, e, percuotendosi la bocca, invocava
misericordia. Temeva infatti una punizione, come infatti accadde. Durante la
notte vide in sogno la sua casa piena di uomini e di donne, che intrecciavano
danze in gran giubilo. Di lì a poco suo figlio, di nome Gafaro, si ammalò e,
trascorso poco tempo, spirò. Le danze, viste in sogno, si cambiarono in lutto,
e la gioia in pianto. Si ricordò allora della bestemmia che aveva proferito
contro san Francesco, e lo strazio gli insegnò quanto fosse stata grave la sua
colpa. Si ravvoltolava per terra e si disperava senza cessare un istante di
invocare san Francesco, dicendo: "Sono io che ho peccato; me,
avresti dovuto colpire! Ridona, o Santo, il figlio al penitente che già ti
bestemmiò. Mi arrendo a te, per sempre mi presterò ai tuoi desideri, giacché ti
offrirò sempre tutte le primizie".
Cosa
meravigliosa ! A tali parole il fanciullo si alzò e ordinando di cessare il
pianto, così raccontò la vicenda della sua morte: "Mentre io giacevo
morto--disse--venne il beato Francesco e mi condusse per una strada buia e
molto lunga. Poi mi fece sostare in un giardino così splendido, così piacevole,
che tutto il mondo non si potrebbe paragonare ad esso. Mi ricondusse poi per la
stessa strada, dicendomi: " Ritorna da tuo padre e da tua madre, non
voglio trattenerti qui più a lungo". Ed eccomi di ritorno, secondo il suo
volere".
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44. Nella città di Capua, mentre un fanciullo
giocava con altri presso la sponda del fiume Volturno, cadde per distrazione
dalla riva del fiume e fu travolto. La corrente del fiume lo investì con
violenza, seppellendolo morto sotto la sabbia. Alle grida dei fanciulli che
con, lui si erano divertiti presso il fiume, corsero velocemente con funi molti
uomini e donne, e saputo della disgrazia, invocavano piangendo: "San Francesco,
rendi il fanciullo al padre e al nonno, che lavorano al tuo servizio! ".
Infatti il padre e il nonno del fanciullo avevano lavorato con ardore alla
costruzione di una chiesa in onore di san Francesco. Mentre dunque tutto il
popolo supplicava ed invocava devotamente i meriti del beato Francesco, un
nuotatore che stava non molto lontano udite le grida, si avvicinò. E saputo che
da oltre un'ora il fanciullo era caduto nel fiume, dopo aver invocato il nome
di Cristo e i meriti del beato Francesco, depose le vesti e si buttò nudo nel
fiume. Non conoscendo punto il posto dove il fanciullo era precipitato,
cominciò a scandagliare qua e là con attenzione le rive e il fondo del fiume.
Finalmente per divino volere scoprì il luogo dove il fango aveva coperto come
in una tomba il cadavere del fanciullo. Dopo aver scavato e riportato fuori il
corpo, constatò con dolore che il fanciullo era morto. Benché la gente
tutt'attorno vedesse che il fanciullo era morto, tuttavia continuava ad
insistere con gemiti e grida: "San Francesco, restituisci il fanciullo a
suo padre! ". Il beato Francesco, come si poté vedere nella realtà che
seguì, quasi provocato dalla devozione e dalle preghiere della folla, subito
ridiede vita all'esanime fanciullo. Egli rialzatosi, fra la gioia e la
meraviglia di tutti, supplicò di esser portato alla chiesa del beato Francesco,
ed asserì di esser stato risuscitato per la sua intercessione.
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45. Nella città di Sessa (Aurunca), nel borgo che
passa sotto il nome " Le Colonne ", il traditore delle anime e
l'assassino dei corpi, il diavolo, abbatté una casa, facendola crollare; egli
aveva tentato di uccidere molti fanciulli che si divertivano allegramente
attorno alla casa, ma riuscì ad inghiottire soltanto un giovinetto, che al
crollo della casa fu ucciso sul colpo. Uomini e donne, sorpresi dal fracasso
della casa che crollava, accorsero da ogni parte e togliendo qua e là le
travature, riportarono il figlio ormai esanime all'infelice madre. Essa,
graffiandosi il volto e strappandosi i capelli, rotta da amari singhiozzi, e
tutta in lacrime, gridava con tutte le sue forze: "O san Francesco, san
Francesco, rendimi mio figlio!". E non solo essa, ma tutti i circostanti,
sia uomini che donne, amaramente singhiozzando gridavano: "San Francesco,
rendi il figlio all'infelice madre!". Dopo un'ora, la madre riavendosi tra
i sospiri da tanto dolore, pronunciò questo voto: "O san Francesco,
restituisci a me, così infelice, il figlio mio, ed io ornerò il tuo altare con
un filo d'argento e lo adornerò con una tovaglia nuova, e accenderò candele
tutto intorno alla tua chiesa!". Il cadavere fu deposto sul letto, poiché
ormai notte, in attesa di seppellirlo il giorno dopo. Verso la mezzanotte,
pero, il giovane cominciò a sbadigliare, e mentre gli si andavano riscaldando
gradatamente le membra, prima che albeggiasse, rinvenne del tutto, e proruppe
in esclamazione di lode. Tutto il popolo e il clero, vedendolo sano e salvo,
rivolsero ringraziamenti al beato Francesco.
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46. Nella città di Pomarico, situata fra i monti della
Puglia, un padre e una madre avevano un'unica figlia in giovane età, che
amavano teneramente. E poiché non speravano altro erede in futuro, essa
costituiva per loro oggetto di ogni affetto, ragione di ogni cura. Ora,
ammalatasi e in pericolo di morte, padre e madre della fanciulla erano come
tramortiti dal dolore. La vegliavano e l'assistevano per giorni e notti intere
senza tregua, ma una mattina purtroppo la trovarono morta. Forse c'era stato da
parte loro un attimo di disattenzione, per un colpo di sonno o per la
stanchezza della veglia. La madre privata in tal modo della dolce figlia, e
perduta insieme la speranza di un erede, sembrò morire. Si radunano parenti e
vicini per il tristissimo funerale e si preparano a tumulare il corpo esanime,
mentre l'infelice madre giace, oppressa da indicibili pene, e tutta presa da
grandissimo strazio, non s'accorge neppure di quanto avviene. Frattanto san
Francesco, accompagnato da un solo confratello, visita la madre addolorata e la
consola con affabilità dicendole: "Non piangere, giacché alla tua lucerna,
ormai del tutto spenta, ecco io restituirò la luce!". Si rialzò subito la
donna e, rivelando a tutti ciò che le aveva detto san Francesco, impedì che il
corpo dell'estinta venisse trasportato altrove. Voltasi dunque la madre verso
la fanciulla, invocando il nome del Santo, la sollevò viva e risanata. Lasciamo
ad altri descrivere la meraviglia che riempì i cuori dei presenti e la gioia
incredibile dei genitori.
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47. In Sicilia un giovane di nome Gerlandino, originario
di Ragusa, andò coi genitori a lavorare nella vigna, al tempo della vendemmia.
Mentre egli si era calato sotto il torchio, per riempire gli otri in un tino,
d'improvviso, essendosi mossi i travicelli di legno, le grosse pietre con le
quali si spremeva la vinaccia, franarono colpendolo mortalmente al capo. Si
affretta il padre verso il figlio e, preso dalla disperazione, non l'aiuta a
rimuovere il peso, e lo lascia come era caduto. Attirati dalle grida del
disperato richiamo, accorsero rapidi i vendemmiatori, e, commiserando
l'infelice padre, estrassero il figlio dal peso sotto cui giaceva. Postolo in
disparte, ne avvolsero il corpo esanime, e cominciarono a provvedere alla sua
sepoltura. Il padre, invece, si getta in ginocchio ai piedi.di Gesù, affinché
si degni per i meriti di san Francesco, di cui era prossimo il giorno festivo,
di restituirgli vivo l'unico figlio. Moltiplica le preghiere, fa voto di opere
di pietà, e promette di visitare il più presto possibile le reliquie del Santo.
Più tardi accorre la madre, e piena di disperazione si getta sul figlio e
piangendolo commuove al pianto anche gli altri. D'un tratto il giovane si
rialza e, richiamando coloro che lo piangevano, si rallegra per esser stato
restituito alla vita, grazie all'aiuto di san Francesco. Allora la gente, là
radunata, innalza grida di gioia al cielo, e proclama che Iddio, per merito del
suo Santo, ha liberato il giovane dal laccio della morte.
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48. Il Santo risuscitò anche un altro morto in
Alemagna. Di tal miracolo papa Gregorio per mezzo di una lettera apostolica, al
tempo della traslazione del beato Francesco, testimoniò l'autenticità a tutti i
frati che erano convenuti alla traslazione e al capitolo. Di questo miracolo
non ho scritto la storia, non conoscendola, ben sicuro che la papale
testimonianza sia argomento superiore ad ogni asserzione. Passiamo ormai ai
casi di altre persone, che il Santo sottrasse alla morte.
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CAPITOLO VIII
DI COLORO CHE IL SANTO SOTTRASSE ALLA MORTE
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49. A Roma un nobile cittadino, di nome Rodolfo,
aveva una torre abbastanza alta, e sulla torre, secondo l'uso, teneva un
custode. Una notte, sulla cima della torre, mentre il custode dormiva
profondamente, giacendo su un mucchio di legna posto proprio sull'orlo
sporgente del muro, si sciolse l'argano all'improvviso o forse per un guasto
provocatosi alla base, e l'uomo fu sbalzato fuori con tutta la legna,
abbattendosi dall'alto precipizio sul tetto del palazzo e dal palazzo al suolo.
Al forte fragore si svegliò tutta la famiglia, e il cavaliere, sospettando
delle ostilità si alzò ed uscì con le armi in pugno. Sfoderata la spada, stava
per vibrarla sull'uomo che giaceva a terra addormentato, con l'intenzione di
colpirlo, poiché non l'aveva riconosciuto. Ma la moglie del cavaliere, temendo
che per caso fosse il proprio fratello, odiato a morte dal marito, gli impedì
di colpirlo col gettarsi sull'uomo sdraiato, e lo difese con pietà. O
meravigliosa profondità di quel sonno! Non alla doppia caduta, non al rumoroso
clamore si risveglia quell'uomo assopito. Finalmente scosso da una mano
sollecita si svegliò e, come strappato da un dolce sonno, si rivolse al suo
padrone: "Perché mi svegliate dal sonno? Non ho mai dormito così
dolcemente, giacché dormivo con grandissima soavità nelle braccia del beato
Francesco". Venendo poi informato dagli altri della sua caduta, e
vedendosi in basso, lui che si era coricato in alto, si meravigliò che fosse
accaduta una cosa di cui non si era accorto. Tosto dinnanzi a tutti promise di
fare penitenza, e, ottenuto il permesso del suo padrone, si accinse al
pellegrinaggio. La donna, poi, fece mandare ai frati che dimoravano in un suo
castello fuori Roma, un bell'apparato sacerdotale, pegno di riverenza e di
onore al Santo. Le Scritture esaltano il grande merito dell'ospitalità, e gli
esempi lo provano. Il predetto signore infatti, quella notte, aveva dato
alloggio a due frati minori, per amore di san Francesco, ed anch'essi accorsi
con gli altri avevano assistito all'accaduto.
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50. Nel paese di Pofi, situato in Campagna, un sacerdote
di nome Tommaso, si recò con molti a riparare un mulino di proprietà della sua
chiesa. Sotto il mulino c'era un gorgo profondo e vi scorreva un canale di
copiosa portata. Mentre dunque il sacerdote passeggiava incauto lungo le rive
del canale, all'improvviso vi cadde dentro e in un attimo venne spinto dalla
violenza impetuosa dell'acqua contro le pale, dalla cui forza viene mosso il
mulino. Giaceva irrigidito su quel legno, incapace di qualsiasi movimento.
Sulla sua faccia, coricato com'era, si scatenava la violenza delI'acqua, tale
da annebbiargli sia l'udito che la vista. Non più la parola ma soltanto il
cuore gli era rimasto, con cui invocava flebilmente san Francesco. La vittima
rimaneva così esanime per lungo tempo, mentre gli amici tornavano di corsa
disperando ormai di salvarlo; finalmente il mugnaio propose: "Giriamo con
forza il mulino in senso contrario in modo che ributti fuori il cadavere".
Puntellandosi dunque con forza, fecero girare la macina in senso contrario e
scorsero l'uomo caduto in acqua ancora vivo. Mentre il sacerdote ancor vivo
continua a dibattersi nell'acqua, gli appare un frate minore, vestito di abito
bianco e cinto di corda, che con grande dolcezza, traendolo per un braccio lo
tira fuori dal fiume, e gli dice: "Io sono Francesco che tu hai
invocato". Colui allora così liberato si meravigliò altamente, e cominciò
a correre qua e là esclamando: "Fratello, fratello!". E volto ai
circostanti: "Dov'è? Per quale strada si è allontanato? ". Tutti i
presenti allora tremando, si buttarono proni a terra, glorificando Dio e
il suo Santo.
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51. Nella Capitanata, alcuni fanciulli del borgo
di Celano erano usciti insieme per falciare erba. C'era in quelle zone
campestri un vecchio pozzo, il cui orlo era nascosto da erbe verdeggianti, e
conteneva acqua profonda quattro passi. Mentre dunque i fanciulli correvano qua
e là, all'improvviso uno cadde nel pozzo. Ora, nell'istante stesso in cui egli
era vittima della terrena disgrazia, invocò la celeste protezione: "San
Francesco -- esclamò cadendo -- aiutami! ". Gli altri volgendosi
attorno, e vedendo, che il fanciullo non si faceva più vedere, si
misero a cercarlo, chiamando e vagando qua e là in lacrime. Infine, arrivati
all'apertura del pozzo, dalle orme impresse sull'erba che stava risollevandosi,
compresero che il fanciullo doveva essere caduto dentro. Si affrettano
piangenti al borgo e, chiamato un gruppo di uomini, ritornano verso l'amico,
considerato ormai da tutti perduto. Venne calato uno con una fune nel pozzo; ed
ecco, scorse il fanciullo fermo sulla superficie dell'acqua, e perfettamente
illeso. Estratto quindi dal pozzo, il fanciullo raccontò a tutti i presenti:
"Quando alI'improvviso sono caduto, ho invocato la protezione di san
Francesco, che subito mi si presentò mentre stavo cadendo, stendendomi una mano
mi sollevò dolcemente, non abbandonandomi più fino a che insieme a voi, mi
trasse dal pozzo".
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52. Si era desistito dalle cure di una fanciulla
di Ancona, ormai sfinita da malattia mortale, e già si facevano i preparativi
per il suo trapasso e per i funerali. A lei, ormai giunta all'ultimo respiro,
si presenta il beato Francesco, e le dice: " Confida, figlia,
perché per mia intercessione sei del tutto sanata. E tu non rivelerai a
nessuno la sanità, che ti restituisco, fino a sera ". Giunta la
sera, la fanciulla si alzò sul letto all'improvviso, facendo fuggire i
presenti, impauriti. Essi credevano che un demonio si fosse impadronito del
corpo della morente, e che, mentre l'anima si allontanava le fosse succeduto
uno spirito malvagio. La madre ebbe il coraggio di correrle vicino e facendo
molteplici scongiuri contro il demonio, poiché pensava si trattasse di quello
si sforzava di coricarla sul letto. Ma ad essa la figlia disse: "Per
carità, mamma, non credere che sia il demonio, giacché all'ora terza il beato
Francesco mi ha guarita, ordinandomi di non dirlo a nessuno fino ad ora".
Il nome di Francesco divenne causa di meravigliosa letizia per coloro che il
timore del demonio aveva fatto fuggire via. Invitarono poi la fanciulla a mangiare
carne di gallina, ma essa rifiutò di mangiare, essendo tempo della quaresima
maggiore: "Non temete!--disse--Non vedete san Francesco tutto
vestito di bianco? Ecco, egli mi proibisce di mangiar carne, perché è
quaresima, e mi ordina di offrire la veste funebre ad una donna che sta in
carcere. Guardate ora, guardate e vedete che si sta allontanando! ".
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53. C'erano in una casa, presso Nettuno, tre
donne, di cui una molto devota ai frati e a san Francesco. Squassata dal vento
la casa crollò e travolse due di esse, uccidendole e seppellendole. Il beato
Francesco, subito invocato, si presentò e non permise che la sua devota fosse
ferita in alcun modo. Infatti il muro, a cui la donna era appoggiata, rimase
intatto all'altezza di lei, e su di essa una trave, precipitando dall'alto, si
adattò in modo da sostenere tutto il peso del gravoso crollo. Gli uomini,
accorsi al fragore del crollo, non ebbero che a piangere per le due donne
morte, e a ringraziare san Francesco per quella rimasta viva, devota dei frati.
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54 Presso Corneto, grosso paese e assai potente
della diocesi di Viterbo, dove si procedeva nel luogo dei frati alla fusione di
una campana di non poco peso, ed erano venuti molti amici dei frati per portare
il loro aiuto, portata a termine la fusione, con grande letizia si cominciò a
pranzare. Ed ecco, un fanciullo di appena otto anni, di nome Bartolomeo, il cui
padre e lo zio avevano lavorato per la fusione, portare ai convitati una
vivanda. All'improvviso si sollevò un violentissimo vento, che scosse
l'edificio, e scagliò contro quel fanciullo la porta della casa che era
molto grande e molto pesante. L'urto fu di tanta violenza da far credere che
egli, oppresso dall'immane peso, ne fosse rimasto fatalmente schiacciato.
Infatti giaceva del tutto coperto sotto il peso, sì che non si poteva veder
nulla di lui. Alla fusione succede la confusione, e alla gioia dei convitati il
lutto dei dolenti. Si alzarono tutti dalla mensa, lo zio insieme agli altri,
invocando san Francesco, e accorsero presso la porta. Invece il padre,
irrigidito dalla sorpresa e non potendosi muovere per lo strazio, faceva
promesse ad alta voce e offriva il figlio a san Francesco. Venne tolto il peso
funesto di dosso al fanciullo ed ecco apparire lieto, senza alcun segno di
lesione, come svegliato dal sonno, colui che tutti credevano morto. Alla
confusione seguì il ritorno della gioia e all'interruzione del pranzo una
grandissima esultanza. Il fanciullo stesso ebbe occasione di assicurare proprio
a me che non era rimasto in lui nessun segno di vita, finché giaceva sotto il
peso. In seguito, a quattordici anni di età, divenne frate minore, e fu anche
letterato ed eloquente predicatore dell'Ordine.
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55. Ad un fanciullo dello stesso paese, che aveva
inghiottito una fibbia d'argento messagli in mano dal padre, si bloccò il
passaggio della gola, sì che non poteva in alcun modo respirare. Il padre
piangeva con immensa amarezza, reputandosi omicida del figlio, e si rotolava
per terra come un pazzo; la madre con i capelli scarmigliati si graffiava
tutta e piangendo lamentava il disgraziato incidente. Gli amici tutti,
partecipi a tanto dolore, piangevano il giovane in piena salute, rapito da
morte sì repentina. Il padre implorava i meriti di san Francesco, e formulava
un voto, perché liberasse il figlio. Ed ecco tosto il fanciullo rigettare dalla
bocca la fibbia, e benedire insieme a tutti il nome di san Francesco.
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56. Un uomo di Ceprano, di nome Niccolò, un giorno
capitò fra le mani di crudeli nemici. Essi con rabbia ferina, aggiungendo percossa
a percossa, non cessavano di infierire sopra il poveretto, fino a che sembrò
morto o vicino a morire. Quindi abbandonandolo moribondo,
s'allontanarono grondanti di sangue. Ora, il predetto Niccolò aveva gridato,
ricevendo i primi colpi, con altissima voce: "Aiutami, san Francesco!
Soccorrimi, san Francesco! ". Molti avevano udito da lontano questa
invocazione, e tuttavia non potevano portargli soccorso. Riportato a casa,
tutto sporco di sangue, gridava di non essere vicino alla morte, di non sentir
alcun dolore, poiché san Francesco gli era venuto in soccorso, ottenendogli da
Dio un tempo per la penitenza. E così, veramente purificato dal sangue, fu
prontamente salvato, al di là di ogni umana speranza.
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57. Degli uomini di Lentini tagliarono dal monte
una grandissima lastra di pietra, destinata ad essere posta sopra l'altare di
una chiesa del beato Francesco, che doveva esser consacrata di lì a poco. Ora,
mentre circa quaranta uomini erano intenti a collocare la pietra sul carro,
dopo rinnovati tentativi, ecco, la pietra cadde su uno di loro, coprendolo come
un sepolcro. Storditi, non sapendo che fare, molti di loro si allontanarono
disperati. I dieci uomini che erano rimasti, con lamenti invocavano san
Francesco perché non permettesse che un uomo, mentre attendeva al di lui
servizio, morisse in maniera così sfortunata. L'uomo sepolto giaceva mezzo
morto, e con quel poco di vita che gli era rimasta, chiedeva aiuto a san
Francesco. Finalmente, quegli uomini, ripreso coraggio, riuscirono a spostare con
tanta facilità la pietra, che nessuno poté dubitare vi avesse posto mano san
Francesco. L'uomo si alzò in piedi incolume, lui che era stato quasi morto
ritornò in vita, ritrovò il lume degli occhi, lui che prima l'aveva offuscato,
perché a tutti fosse dato di comprendere quanto valgano in disperate
circostanze gli aiuti di san Francesco.
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58. Anche a San Severino nelle Marche accadde un
fatto simile, degno di essere ricordato. Un grandissimo masso di pietra,
portato da Costantinopoli per il fonte di san Francesco da costruirsi presso
Assisi, veniva trascinato con rapidità con la forza di molti uomini; uno di
essi cadde sotto il masso, sì da essere ritenuto non solo morto, ma addirittura
ridotto in pezzi. All'improvviso, così gli sembrò, e la verità fu confermata
dalla realtà, gli si presentò san Francesco che, sollevando il masso, lo tirò
fuori senza alcuna lesione. Così avvenne che ciò che era stato orribile a
vedersi, divenisse per tutti oggetto dl ammirazione.
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59. Bartolomeo, cittadino di Gaeta, mentre
lavorava con impegno nella costruzione di una chiesa di san Francesco, tentava
di mettere in opera una trave. Questa, però non essendo ben collocata, cadde,
lesionandolo gravemente al capo. Allora, tutto grondante sangue, con quel filo
di vita che gli era rimasto, chiese a un frate il viatico. Ma il frate non
riusciva a trovarlo subito e poiché credeva che l'uomo morisse in pochi
istanti, gli rivolse la parola di sant'Agostino, dicendo: "Abbi fede, e
sarà come se l'avessi mangiato". Ma la notte seguente, gli apparve il
beato Francesco con undici frati e portando un agnellino in seno, accostò al
suo letto, lo chiamò per nome dicendogli: "Non temere,
Bartolomeo, non prevarrà contro di te il nemico che ha tentato di
impedire di porti al mio servizio, perché, ecco, ti alzerai sano e salvo !
Questo è l'Agnello che tu chiedevi ti fosse dato e che hai ottenuto per il tuo
desiderio. Invero il frate ti ha dato un consiglio utile". E così passando
la mano sulle ferite, gli ordinò di tornare al lavoro che aveva iniziato.
Alzatosi di buon mattino e presentandosi incolume e sano a coloro che l'avevano
lasciato quasi morto, li riempì di ammirazione e di stupore. Credevano proprio
tutti per l'insperata guarigione di vedere un fantasma e non già un uomo, uno
spirito e non già un uomo dl carne.
Poiché
si è fatta menzione degli edifici da erigersi in onore di questo Santo, ho
creduto bene di narrare qui un prodigio assai meraviglioso.
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883
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60. Una volta, due frati minori stavano lavorando
ad un'impresa non piccola, fabbricavano cioè una chiesa in onore del santo
padre Francesco nella città di Peschici, nella diocesi di Siponto, e non
avevano il necessario alla costruzione dell'edificio. Una notte, mentre erano
alzati a recitare le Lodi, cominciarono a sentire un fragore di pietre che
cadevano a mucchi. Si incoraggiarono a vicenda e si avvicinarono per vedere; e
uscendo fuori, scorsero una grandissima folla di uomini, che facevano a gara a
radunar pietre. Tutti andavano e venivano, e tutti indossavano abiti candidi.
La grande massa di pietre là radunata dimostrò che la cosa non era frutto di
fantasia, dato che la provvista non venne meno fino a che il lavoro non fu
terminato. Non furono certo uomini in carne ed ossa a compiere tale opera:
infatti, nonostante diligenti ricerche, non fu trovato nessuno che avesse
pensato a ciò.
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884
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61. Il figlio di un uomo nobile, a Castel San
Gimignano, era colpito da grave malattia, e, ormai senza alcuna speranza, era
ridotto agli estremi. Un rivolo di sangue gli fluiva dagli occhi, come può succedere
da una vena del braccio, c'erano poi altri indizi reali di prossima morte nel
resto del corpo, sì che sembrava addirittura che l'uomo fosse già spirato.
Radunatisi, secondo l'uso, parenti ed amici a piangere, e ordinato il funerale,
si parlava ormai soltanto della sepoltura. Nel frattempo il padre circondato
dalla folla dei piangenti si ricordò di una visione, di cui prima aveva sentito
parlare. Corse dunque alla chiesa di san Francesco, costruita nella stessa
località, con il cordone avvolto al collo, e con umiltà si prostrò a terra,
dinnanzi all'altare. Facendo voti e molto pregando, tra sospiri e gemiti,
meritò di avere san Francesco come avvocato presso Cristo. Il padre tornò
subito dal figlio e lo trovò guarito; allora il lutto si mutò in gaudio.
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885
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62. In Sicilia, nel borgo di Piazza già si
celebravano i dovuti riti per l'anima di un giovane; ma, dopo che uno zio ebbe
offerto un voto a san Francesco, per intercessione del Santo il giovane fu
richiamato alla vita dalle soglie della morte.
63. Nello stesso borgo,
un giovane di nome Alessandro, mentre tirava una fune con dei compagni sopra un
profondo precipizio, la fune si spezzò ed egli precipitò dalla roccia e fu
raccolto ormai morente. Suo padre, piangendo, lo offrì al Santo di Cristo, Francesco,
ed ottenne la grazia di averlo ancora sano e incolume.
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886
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64. Ad una donna dello stesso paese, ammalata di
tisi, ormai ridotta agli estremi, venne impartita l'estrema unzione; ma, dopo
che i presenti ebbero invocato il santissimo padre, essa improvvisamente guarì.
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887
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65. Presso Rete, in diocesi di Cosenza, accadde
che due fanciulli dello stesso paese, mentre erano a scuola, si mettessero a
litigare, e uno di essi venne così gravemente ferito dall'altro che, da una
grave ferita riportata allo stomaco, usciva il cibo non digerito; non aveva
così il ragazzo alcuna possibilità di trattener cibo, che né digerito, né
ritenuto in alcuna cavità, ancora intatto fluiva fuori dalla ferita. Non c'era
nessun medico capace di curarlo. I genitori e il ragazzo stesso, dietro
consiglio di un frate, perdonarono a colui che lo aveva ferito, e fecero voto
al beato Francesco che se avesse liberato dalla morte il fanciullo mortalmente
ferito e ormai considerato incurabile dai medici, lo avrebbero mandato alla sua
chiesa, e avrebbero ornato il tempio tutto intorno con ceri. Fatto il voto, il
fanciullo fu del tutto mirabilmente sanato, sì che, secondo i medici di Salerno
questo non fu un minor miracolo che se egli fosse risuscitato da morte.
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888
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66. Mentre due persone si avvicinavano assieme a
Monte San Giuliano (Trapani) per i loro affari, una di esse si ammalò sino ad
essere in pericolo di morte. I medici chiamati a curarlo, accorsero, ma non
riuscirono a farlo star meglio. Il compagno sano, allora, fece voti a san
Francesco e promise che, se il malato fosse guarito per i meriti dei beato
padre egli avrebbe osservato la sua festa annuale assistendo alla Messa
solenne. Formulate così le sue promesse, tornato a casa, trovò ristabilito
colui che aveva da poco lasciato senza voce e coscienza, e che
temeva fosse già morto.
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889
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67. Un bambino della città di Todi giaceva a letto
da otto giorni, come morto, con la bocca ormai chiusa, senza il lume degli
occhi, con la pelle del viso, delle mani e dei piedi annerita al pari di una
pentola; il suo stato era già da tutti considerato senza speranza. Dopo che sua
madre ebbe fatto un voto, improvvisamente egli ricuperò la salute. E, benché
così piccolo ancora non sapesse parlare, raccontò tuttavia che era stato
guarito dal beato Francesco
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890
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68. Un giovane, precipitando da un posto molto
alto, perdette la coscienza e restò paralizzato nelle membra; e per tre giorni
continui non mangiò, né bevve, né dava segni di vita, e perciò venne ritenuto
morto. Sua madre, senza chiedere alcun aiuto ai medici, domandò al beato
Francesco la grazia della guarigione. Appena ebbe pregato, ritrovò il figlio
vivo e guarito, e cominciò a lodare l'onnipotenza del Creatore.
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891
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69. Un fanciullo di Arezzo, di nome Gualtiero,
soffriva di continue febbri e di due ascessi, e tutti i medici giudicavano il
suo stato ormai inguaribile. Ma, formulato dai genitori un voto a san
Francesco, egli venne ristabilito nella desiderata salute.
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CAPITOLO IX
IDROPICI E PARALITICI
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892
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70. Nella città di Fano, un ammalato di idropisia,
per intercessione del beato Francesco, meritò di essere completamente guarito
da tale infermità.
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893
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71. Una donna della città di Gubbio, che giaceva
paralizzata in un letto invocato per tre volte san Francesco perché l'aiutasse,
fu liberata dalla sua infermità e risanata.
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894
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72. Una fanciulla di Arpino, nella diocesi di
Sora, era paralizzata a tal punto, che con le membra inerti e i nervi
contratti, non poteva svolgere alcuna attività; sembrava posseduta dal demonio
piuttosto che vivere con anima umana. Era talmente menomata da tale malattia,
che sembrava a tutti tornata alla prima infanzia. Finalmente sua madre,
ispirata dall'alto, la condusse in una culla ad una chiesa del beato Francesco
presso Vicalvi, e versando molte lacrime e moltiplicando le preghiere, ottenne
che fosse liberata da ogni traccia di malattia e restituita al precedente stato
di salute.
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895
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73. Nel medesimo paese, un giovane colpito da
paralisi, con la bocca irrigidita e gli occhi stravolti, fu accompagnato dalla
madre a detta chiesa. Prima quel giovane era incapace di qualsiasi movimento,
dopo che la madre ebbe per lui supplicato il Santo, ancor prima di raggiungere
la sua casa, venne ristabilito alla primitiva salute.
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896
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74. A Poggibonsi, una fanciulla di nome Ubertina
era gravemente e incurabilmente ammalata di malcaduco; i suoi genitori, perduta
ormai ogni fiducia nei rimedi umani, implorarono insistentemente il soccorso di
san Francesco. Avevano poi insieme formulato il voto di digiunare ogni anno per
la vigilia, e nel giorno della festa del Santo, di dare da mangiare ad alcuni
poveri, se egli avesse guarito la loro figlia da quella insolente malattia.
Appena emesso il voto, la fanciulla si riebbe del tutto guarita, né risultò in
seguito in lei alcuna traccia di così grave malattia.
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897
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75. Pietro Mancanella, cittadino di Gaeta, per
una paralisi perdette l'uso di un braccio e di una mano, ed ebbe la bocca
storta fino all'orecchio. Affidandosi alle cure dei medici, perdette anche la
vista e l'udito. Si rivolse allora supplichevole al beato Francesco, e fu
guarito da ogni infermità, per i meriti del beatissimo uomo.
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898
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76. Un cittadino di Todi era tanto sofferente per
una artrite da non riuscire a riposare per il forte dolore. Infine, essendo
ridotto allo stremo delle forze e non essendo alleviato in alcun modo dalle
cure mediche, in presenza di un sacerdote si rivolse al beato Francesco e,
appena ebbe emesso un voto, ricuperò la salute.
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899
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77. Un uomo
di nome Bontadoso era talmente sofferente per un dolore ai piedi che non poteva
muoversi per niente; dopo aver perduto anche l'appetito e il sonno, fu convinto
da una donna di votarsi al beato Francesco. Egli, irritato dal troppo dolore,
diceva di non vedere che Francesco fosse un santo; in seguito si arrese,
all'insistente suggerimento della donna, e fece un voto così: " Mi
consacro a san Francesco, e credo che sia un santo, se mi libererà entro tre
giorni da questa malattia ". Subito, poté rimettersi in piedi e si
meravigliò, poiché era ritornata la salute scomparsa.
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900
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78. Una donna, che da molti anni giaceva a letto
per malattia, incapace di qualsiasi movimento, fu risanata da san Francesco e
poté così attendere alle sue occupazioni .
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901
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79. Un giovane, nella città di Narni, soffriva da
dieci anni per una malattia, che lo rendeva tutto così gonfio da non poter
essere curato in alcun modo. La madre lo votò a san Francesco, e subito ottenne
da lui la grazia della guarigione.
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902
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80. Nella stessa città una donna, aveva da otto
anni una mano paralizzata, sì da non esser in grado di fare nulla. Le apparve
san Francesco in visione e stirandole la mano, la rese capace di lavorare come
l'altra sana.
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CAPITOLO X
NAUFRAGHI SALVATI
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903
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81. Alcuni naviganti erano in gran pericolo sul
mare, lontani dieci miglia dal porto di Barletta, mentre la tempesta infuriava,
dubitavano ormai di salvarsi e allora gettarono le ancore. Ma poiché la
tempesta diventava sempre più violenta, il mare gonfio ribolliva, le funi si
erano spezzate e le ancore erano cadute, i naviganti erano sbattuti qua e là
tra le acque. Finalmente, placatosi il mare per divino volere, si accinsero con
ogni sforzo a ricuperare le ancore, le cui sartie galleggiavano in superficie.
Invocato il soccorso di tutti i santi, essi madidi di sudore non riuscirono a
recuperarne neanche una in tutto il giorno. ~li era fra loro un marinaio di
nome Perfetto, ma per nessuna qualità perfetto, spregiatore di ogni cosa di
Dio, egli maliziosamente con derisione disse ai compagni: " Avete invocato
il soccorso di tutti i santi e come potete constatare, nessuno vi è venuto in
aiuto. Invochiamo allora codesto Francesco, che è un santo nuovo, affinché si
immerga nel mare e con il suo cappuccio ci ripeschi le ancore perdute.
Offriremo un'oncia d'oro alla sua chiesa che stanno costruendo ad Ortona, se ci
accorgeremo che ci aiuta ". Gli altri acconsentirono con timore alla
proposta di quell'uomo irriverente e, pur biasimandolo, confermarono la
promessa. In un istante le ancore galleggiarono sulle acque, come se il pesante
ferro si fosse trasformato in leggero legno.
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904
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82. Un pellegrino, invalido nel corpo e non del
tutto sano di mente per una pazzia di cui aveva sofferto in passato, tornava
con la moglie su di una nave, dai paesi d'oltremare. Egli, non ancora del tutto
guarito, era arso dalla sete, ma l'acqua mancava; cominciò allora a gridare ad
alta voce: " Siate fiduciosi, e riempitemi un bicchiere, perché il beato
Francesco ha riempito d'acqua il mio fiasco ". Oh, meraviglia! Infatti il
fiasco, che avevano lasciato vuoto, fu trovato colmo d'acqua. Qualche giorno
dopo, durante una tempesta, mentre la nave era invasa dai flutti e
squassata da altissime onde, sì che il naufragio sembrava imminente, lo stesso
malato cominciò a gridare improvvisamente: " Alzatevi tutti, e andate
incontro al beato Francesco che sta per venire. Eccolo è qui per salvarci
". Così dicendo con grido altissimo e piangendo, si prostrò ad
adorarlo. Alla visione del Santo, subito il malato riprese la salute, e il
mare si placò.
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905
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83. Frate Giacomo da Rieti, voleva attraversare
un fiume con una barchetta; dopo aver portato i compagni sulla riva, da ultimo
si preparava alla traversata. Ma quella piccola imbarcazione si ribaltò e,
mentre il barcaiolo riusciva a nuotare, il frate fu sommerso. I frati, già
sbarcati, invocavano con trepide grida il beato Francesco, come per obbligarlo,
con pianti e preghiere, a soccorrere il figlio. Anche frate sommerso, dal
profondo gorgo, non potendo pregare con le labbra, lo faceva col cuore. Ed
ecco, venutogli in aiuto il Padre, camminò sul fondo, come sull'asciutto,
afferrò la barca sommersa e con essa arrivò alla spiaggia. Incredibile a dirsi!
I suoi abiti non erano affatto bagnati: nemmeno una goccia d'acqua aveva
bagnata la tunica.
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906
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84. Due uomini e due donne, con un bambino,
navigavano sul lago di Rieti; poiché all'improvviso la barca si capovolse e si
riempì d'acqua, la morte dei naviganti sembrava prossima. Mentre tutti urlavano
di spavento, senza alcuna speranza di salvarsi, una delle donne gridò con
grande fiducia: " San Francesco, tu che da vivo mi hai concesso il dono
dell'amicizia, porta ora dal cielo aiuto a chi sta per soccombere". Si
presentò all'improvviso il Santo invocato, e condusse con tutta sicurezza al
porto la barca ricolma di acqua. I naviganti avevano portato con sé una spada,
che stava prodigiosamente a galla e seguiva tra le onde la barca.
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907
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85. Alcuni marinai di Ancona, sbattuti da una
forte tempesta, consideravano ormai inevitabile il naufragio. Disperavano ormai
di salvarsi e invocavano supplichevoli san Francesco; apparve allora sul mare
uno splendore e con esso la calma, dono divino. Offrirono allora in voto un
pallio di grande pregio e ringraziarono infinitamente il loro salvatore.
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908
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86. Un frate di nome Bonaventura navigava su di
un lago con altri due uomini, quando la barca si spezzò su un fianco e poiché
lasciava entrare l'acqua, affondava. Dal fondo del lago invocarono san
Francesco, e la barca, benché piena d'acqua, arrivò coi naviganti al porto.
Così anche un frate di Ascoli, caduto in un fiume, venne salvato per i meriti
di san Francesco.
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909
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87. Un abitante di Pisa della parrocchia dei
santi Cosma e Damiano, confermò con sua dichiarazione che, mentre era con molti
in una nave in mare, la nave spinta da una violenta tempesta, si avvicinava ad
infrangersi contro un monte. I marinai allora costruirono una zattera con gli
alberi e le tavole e vi salirono con gli altri che erano sull'imbarcazione,
come su di un rifugio. Ma detto uomo di Pisa, poiché non era fermo saldamente
alla zattera, fu colpito in pieno da una violenta ondata e scagliato in mare.
Poiché non sapeva nuotare, né gli altri potevano aiutarlo, calò
disgraziatamente in fondo al mare. Non essendo in grado di parlare, si
raccomandava con gran fede a san Francesco, d'un tratto fu sollevato come da
una mano e ricondotto sulla zattera, in tal modo riuscì insieme agli altri a
salvarsi. La nave poi, scagliata contro il promontorio, andò completamente
distrutta.
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CAPITOLO XI
CARCERATI E PRIGIONIERI
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88. In Romania accadde che un greco, servo di un
certo signore, venisse falsamente accusato di furto. Il principe della regione
ordinò che fosse rinchiuso in un angusto carcere e pesantemente incatenato, ed
infine con sentenza definitiva che gli fosse tagliato un piede. La moglie
implorò con insistenza il principe perché l'innocente fosse liberato; ma
l'ostinata durezza di quell'uomo non si arrese alle implorazioni. Allora la
donna ricorse supplichevole a san Francesco, raccomandando alla sua compassione
con un voto quell'innocente. Si presentò il patrono degli infelici senza
indugio e nell'istante in cui egli prese per mano il prigioniero, ne sciolse le
catene, aprì il carcere, condusse fuori l'innocente mormorandogli: " Io
sono colui, al quale la tua donna ti ha devotamente raccomandato ". Il
prigioniero era preso da gran terrore, e girava attorno per scendere dal
precipizio dell'altissima rupe, ma all'improvviso, senza saper come, si trovò
in basso; appena ritornato, riferì alla moglie la verità del prodigio. Allora
essa fece fare, secondo il voto, un'immagine di cera, che appese vicino
all'immagine del Santo, perché fosse vista da tutti. Ma il marito ingrato si
irritò per questo e percosse la moglie. Allora fu egli stesso colpito e si
ammalò gravemente fino a quando, confessata la sua colpa, cominciò ad onorare
con devozione il Santo di Dio, Francesco.
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911
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89. A Massa San Pietro, un poveretto era debitore
di una somma ad un cavaliere; ma non potendo in alcun modo, a causa della sua
miseria, pagarlo, fu imprigionato dal suo creditore. Il poveretto implorava che
gli usasse misericordia e pregava con insistenza per ottenere una dilazione per
amore di san Francesco, poiché credeva che anche ii cavaliere avesse rispetto
per il famoso Santo. Ma quel cavaliere superbamente respinge le preghiere
rivoltegli e follemente disprezza come cosa vana l'amore del Santo. Infatti
risponde caparbio: " Ti rinchiuderò in un posto, e in una prigione, ove né
Francesco né alcun altro possano aiutarti ". Mise in atto la sua minaccia;
trovò una oscura prigione e vi gettò dentro l'uomo incatenato. Poco dopo, si
presentò san Francesco che, infranta la porta del carcere, spezzate le catene
ai piedi del prigioniero, lo ricondusse sano e salvo a casa sua. Egli, per
mettere in evidenza il potere meraviglioso in quegli oggetti in cui aveva
sperimentato la misericordia del Santo, portò le proprie catene alla chiesa del
beato Francesco, presso Assisi. Così la potenza di san Francesco, vinto il
superbo cavaliere, liberò dal male il prigioniero, che a lui si era affidato.
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912
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90. Cinque ufficiali di un grande principe,
catturati per sospetto, non solo vennero legati con pesanti catene ma anche
rinchiusi in un duro carcere. Avendo saputo dei miracoli operati da san
Francesco, essi si affidano a lui con grande devozione. Allora san Francesco
apparve una notte ad uno di essi, promettendogli la grazia della liberazione.
Tutto esultante, egli raccontò ai compagni di prigionia la promessa
liberazione. Piansero e gioirono insieme e, nel buio della prigione, formularono
voti e moltiplicarono le invocazioni. Senza indugio, uno di essi cominciò a
scalfire con un osso il muro della fortificatissima torre. Il solido materiale
gli cedeva con tanta facilità, come se si fosse trattato di una compagine di
cenere. Terminata l'apertura nel muro, provò ad uscire, e spezzate le catene,
uno dopo l'altro tutti uscirono liberi. Rimaneva da passare un profondo
precipizio, se volevano fuggire; ma la loro guida, il coraggioso Francesco,
diede loro il coraggio di scendere. Poterono quindi allontanarsi con tutta sicurezza
ed esaltarono con alti elogi la grandezza del Santo.
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913
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91. Alberto di Arezzo, duramente incatenato per
debiti a lui ingiustamente attribuiti, raccomandò con umiltà la propria
innocenza a san Francesco. Amava moltissimo l'Ordine dei frati e venerava con
speciale devozione il Santo, fra tutti gli altri santi. Il suo creditore
d'altro canto gli aveva detto con sfida blasfema che né Dio né Francesco, avrebbero
potuto liberarlo dalle sue mani. Avvenne dunque che nella vigilia del
giorno dedicato a san Francesco, il prigioniero non aveva toccato cibo, anzi
l'aveva donato, per amore del Santo, ad un poveretto. San Francesco la notte
seguente apparve a lui che vegliava, e al suo apparire le catene caddero dai
piedi e dalle mani del prigioniero. Si spalancarono da sole le
porte e caddero giù le tavole dal soffitto, e l'uomo così liberato poté
allontanarsi e ritornare a casa sua. Da allora mantenne il voto, digiunando
nella vigilia di san Francesco, e aggiungendo al cero, offerto annualmente,
un'oncia in più ogni anno.
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914
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92. Un giovane della Città di Castello fu
accusato di un incendio, e chiuso in un duro carcere; andò egli allora
umilmente la propria difesa a san Francesco. Una notte, mentre era incatenato e
custodito, udì una voce che gli ingiungeva: " Alzati presto e va'
dove vuoi, perché le tue catene sono sciolte! ". Ubbidì senza indugio a
quell'ordine, e uscito fuori dal carcere, si incamminò verso Assisi per offrire
al suo liberatore un sacrificio di lode.
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915
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93. Mentre era papa Gregorio IX, fu necessario
che sorgesse in diverse parti la persecuzione contro gli eretici. In quel
periodo un uomo di nome Pietro, di Castello di Alife (Caserta), fu accusato di
eresia, e con gli altri imprigionato a Roma. Fu consegnato dal Papa al vescovo
di Tivoli perché fosse tenuto in custodia. Il vescovo ricevutolo sotto pena di
perdere l'episcopato, lo fece incatenare. Tuttavia, poiché la semplicità dei
modi dell'accusato dimostrava la sua innocenza, fu trattato con minor rigore.
Si narra che alcuni nobili della città, volendo, per odio inveterato contro il
vescovo, che egli incorresse nella pena minacciata dal Papa, offersero a Pietro
un piano nascosto di fuga. Egli acconsentì e evase di notte, fuggendo in fretta
lontano. Conosciuto il fatto, il vescovo ne fu molto preoccupato e aspettando
la pena, non meno si rammaricò che il piano degli avversari fosse riuscito.
Quindi con il più grande impegno possibile mandò spie da ogni parte, perché
scoprissero il poveretto; catturatolo, lo fece rinchiudere in una severissima
custodia, a pena della sua ingratitudine. Il vescovo fece preparare un'oscura
prigione, circondata da robuste mura; in più, dentro, fece stringere il
poveretto tra grosse tavole, legate con chiavi di ferro. Ordinò che il
prigioniero fosse incatenato ai piedi con ceppi di ferro pesanti molte libbra,
e gli fossero somministrati vitto e bevanda solo in piccola quantità.
Era
perduta ormai per lui ogni speranza di liberazione, ma Dio, che non permette
che l'innocente perisca, nella sua pietà gli venne prontamente in aiuto.
Il prigioniero cominciò a implorare il beato Francesco con pianti e preghiere
perché gli venisse in aiuto, avendo udito che era la vigilia della sua festa.
Aveva egli molta fiducia in san Francesco, poiché, così affermava, aveva saputo
che gli eretici avevano latrato a lungo contro san Francesco. Nella notte della
sua festa, verso il crepuscolo, il beato Francesco discese pietoso nel carcere
e chiamando per nome il prigioniero, gli ordinò di alzarsi. Costui,
terrorizzato, domandandogli chi fosse, si sentì dire che colui che gli si
presentava era san Francesco. Allora il prigioniero chiamò una guardia e le
disse: << Sono molto spaventato, giacché ho qui davanti a me uno che mi
ordina di alzarmi dicendo di essere san Francesco ". Ma gli rispose la
guardia: " Giaci, in pace, poveretto, e dormi! Tu infatti sragioni, non
avendo oggi mangiato abbastanza ". Ma poiché il Santo di Dio gli ripeté il
comando di alzarsi, circa l'ora di mezzogiorno, il poveretto si accorse che le
catene dei piedi erano cadute a terra spezzate. Si accorse che le tavole della
prigione si aprivano, mentre i chiodi saltavano via, offrendogli in tal modo un
passaggio per uscire. Slegato, non sapeva, stordito come era, in qual modo
fuggire, e, gridando, spaventò tutte le guardie. Esse comunicarono al vescovo
che l'uomo si era liberato dalle catene. Il vescovo allora pensando che quegli
fosse fuggito, e non sapendo che si trattava di un prodigio, pieno di paura,
poiché era infermo, cadde a terra dal luogo ove sedeva. Avvertito poi dello svolgersi
dei fatti andò devotamente al carcere e comprendendo la potenza di Dio adorò
il Signore.
Le
catene furono poi recate alla presenza del Papa e dei cardinali. Essi saputo
l'accaduto, pieni di meraviglia, benedissero Iddio.
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916
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94. Guidalotto da San Gimignano venne falsamente
accusato di aver ucciso un uomo con il veleno e di aver intenzione di uccidere
nello stesso modo il figlio di quell'uomo e tutta la famiglia. Catturato perciò
dal podestà del luogo, legato con pesanti catene, viene gettato in una torre in
rovina. Il podestà pensava con quali torture estenuarlo per estorcergli la
confessione del crimine imputatogli e ordinò infine che venisse sospeso ad un
cavalletto girevole. Furono posti inoltre sopra di lui molti pesi di ferro sí
che egli perse i sensi. Più volte il podestà ordinò di abbassarlo e di
sospenderlo di nuovo, perché tra tanti tormenti fosse indotto alla confessione
del delitto. Ma il prigioniero, sorretto dalla sua innocenza, mostrava letizia
in volto, anche con l'aggravarsi dei tormenti. In seguito fu acceso un gran
fuoco sotto di lui, e benché il suo capo pendesse verso terra nemmeno un
capello gli fu bruciato. Infine fu cosparso d'olio bollente, ma poiché era
innocente e fin dall'inizio si era raccomandato al beato Francesco, superò ogni
tortura col sorriso sulle labbra. Infatti nella notte, antecedente l'esecuzione
della pena, fu visitato dalla presenza del beato Francesco, e circondato da una
nube meravigliosa di splendore, vi rimase avvolto sino al mattino, ripieno di
gaudio e di immensa fiducia. Benedetto Iddio che non permette che gli innocenti
periscano e nel diluvio di molte acque aiuta sollecito chi spera in
lui.
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CAPITOLO XII
DONNE LIBERATE DAI PERICOLI DEL PARTO,
E DI COLORO CHE NON OSSERVAVANO LA FESTA DEL
SANTO
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95. Una contessa di Schiavonia, illustre per
nobiltà e amante del bene, ardeva di devozione verso san Francesco, e nutriva
grande affetto per i frati. Mentre stava partorendo, presa da atroci dolori, si
aggravò al punto da far pensare che l'imminente nascita del figlio segnasse la
fine della madre. Non sembrava che il bambino potesse essere dato alla vita
senza che la madre uscisse dalla vita e in tale sforzo partorire, ma perire.
Ricordò allora in cuore suo la fama di Francesco e la di lui potenza e gloria:
si vívifica la sua fede, si accende la sua devozione. La donna si rivolse
allora all'aiuto efficace, all'amico fedele, al sollievo dei devoti, al rifugio
degli afflitti. " San Francesco--esclamò--ogni mia viscera supplica la tua
pietà, e con lo spirito faccio un voto che non riesco ad esprimere >>.
Straordinario effetto della preghiera! Appena ebbe finito di parlare, finirono
i suoi dolori, finirono le doglie e cominciò il parto. Cessata ogni
apprensione, diede felicemente alla luce la sua creatura. Non si dimenticò poi
del voto, né della promessa. Fece costruire una bellissima chiesa e quando fu
edificata, la donò ai frati dell'Ordine del Santo.
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918
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96. Nelle vicinanze di Roma, c'era una donna di
nome Beatrice, ormai vicina al parto; essa portava in seno già da quattro
giorni il feto morto ed era tormentata da infinite sofferenze e da lancinanti
dolori. Il feto morto conduceva anche la madre alla morte, e non essendo ancora
stato espulso, metteva in pericolo la madre. La donna si affidò all'aiuto dei medici,
ma ogni tentativo fallì e ogni umano rimedio si rivelò inutile. In tal modo
l'antica maledizione del peccato ricadeva gravemente su di lei e, divenuta
tomba della sua creatura, essa stessa si avvicinava alla tomba. Ma essa
mandò qualcuno a raccomandarla devotamente ai frati minori e piena di speranza,
domandò supplicando qualche reliquia di san Francesco. Avvenne per divino
volere che si trovasse un pezzetto del cordone, di cui talvolta il Santo si era
cinto. Appena la corda fu data alla sofferente, ogni dolore disparve come
d'incanto; il feto morto, causa di morte, fu espulso, e tornò la primitiva
salute.
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97. La moglie di un nobiluomo di Calvi, di nome
Giuliana, viveva piena di tristezza per la morte dei figli e di continuo
piangeva la sua infelicità. Tutti i suoi figli erano morti, e i nuovi rampolli
erano presto recisi dalla scure. Era incinta di quattro mesi, ma era presa più
dal dolore che dalla gioia, nel timore di una ingannevole letizia di una
nascita presto frustrata dalla tristezza di un tramonto. Ma una notte, mentre
dormiva, le apparve in sogno una donna che recava sulle mani uno splendido
bambino e affidandoglielo con soave sorriso, le diceva: " Prendi, o donna,
questo fanciullo che ti manda san Francesco! ". Ma essa, quasi rifiutando
di ricevere colui che avrebbe dovuto presto perdere, ricusava dicendo: "
Perché mai dovrei volere questo bambino che so presto dovrà morire al pari
degli altri? ". E l'altra " Prendilo, perché quello che ti manda san
Francesco resterà in vita ". Avendo ripetuto queste parole fra loro
per tre volte, la donna infine accolse il bambino fra le braccia. Subito essa
si svegliò e narrò il sogno al marito. Gioirono insieme, di grande gaudio e
moltiplicarono i loro voti per ottenere il figlio. Compiuto il tempo del parto,
finalmente la donna diede alla luce un maschietto, che fiorendo sino al
vigore delI'età, compensò i lutti delle precedenti perdite.
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98. Dalle parti di Viterbo c'era una donna,
vicina al parto, ma ancor più vicina alla morte, tormentata com'era da dolori
viscerali e da ogni genere di disturbi muliebri. Vennero consultati i medici e
chiamate le levatrici, ma poiché costoro non ottenevano nessun risultato,
rimaneva sola la disperazione. La poveretta allora invoca il beato Francesco e
tra l'altro promette di celebrare solennemente la sua festa per tutta la vita.
La donna fu subito alleviata nel dolore e portò a termine felicemente il parto.
Ma, ottenuto quanto desiderava, non mantenne la promessa. Il giorno di san
Francesco si recò a lavare i panni, non dimentica, ma piuttosto sprezzante del
voto fatto da poco. All'improvviso fu presa da insolito dolore, e capito il
castigo ritornò a casa. Ma cessato il dolore, essendo essa di quelle che mutano
parere dieci volte in un'ora, quando scorge le vicine che accudiscono alle
faccende, con temeraria emulazione osa fare peggio di prima. All'improvviso non
riesce più a piegare il braccio destro intento al lavoro, lo sente diventare
rigido e paralizzato. Cerca di sollevarlo con l'altro, ma per eguale
maledizione anche quello si paralizza. La poveretta veniva per ciò alimentata
dal figlio, né poteva da sola far nulla. Si stupì il marito, e riflettendo su
quale poteva essere la causa, apprese che la mancata fedeltà a san Francesco
era la ragione del tormento. Allora moglie e marito, presi dal timore, rifecero
subito il voto. Il Santo si impietosì, poiché sempre era misericordioso, e
restituì alla donna pentita l'uso delle membra di cui era stata privata quando
aveva mancato all'impegno. In tal maniera, la pena rese nota la colpa e fece sì
che la donna divenisse un esempio per tutti coloro che non mantengono i voti, e
un ammonimento per coloro che pretendono di violare le feste dei Santi.
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99. Nella città di Tivoli, la moglie di un
giudice, dopo aver partorito sei figlie, turbata da eccessivo furore, decise di
non avere in futuro rapporti col marito, per non continuare ad avere da questa
relazione frutti non graditi. Non piaceva alla donna mettere al mondo sempre
femmine, e delusa nel suo desiderio di un maschio, se la prendeva persino con
la volontà di Dio. Non ci si deve ribellare al giudizio, che per legge di Dio
onnipotente, cade sugli uomini. Essa con indignazione per un anno non si
accostò al marito. Poco dopo ridotta a pentimento, le viene comandato
dal suo confessore di riconciliarsi col marito e di domandare al beato
Francesco un figlio, a cui avrebbe poi imposto il nome di Francesco, poiché
ricevuto grazie ai suoi meriti. Poco tempo dopo, quella donna concepì, e il
Santo che era stato invocato per ottenere un figlio solo le concesse di
partorire due gemelli. Di essi uno fu chiamato Francesco, I'altro Biagio.
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922
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100. Nella città di Le Mans, una signora molto
nobile aveva una serva non nobile che, anche nella festa di san Francesco, per
ordine della padrona doveva fare i servizi. La poveretta, più nobile di
spirito, rifiutava di lavorare, per rispetto al santo giorno. Ma prevalse
l'umana paura al timore di Dio, e la serva, benché malvolentieri, ubbidì. Stende
le mani alla conocchia, e le dita stringono il fuso; ma subito le mani si
irrigidiscono per il dolore e le dita sembrano bruciare per un forte calore. La
colpa fu così resa pubblica attraverso la pena, poiché le dure sofferenze non
permisero certo il silenzio. Si precipitò la serva dai figli di san Francesco,
confessò la colpa, mostrò il castigo, e chiese il perdono. Allora i frati si
recarono in processione alla chiesa, implorando la clemenza di san Francesco
per la sua salvezza. All'improvviso, mentre i figli imploravano il Padre, essa
guarì, ma nelle sue mani restò il segno della bruciatura.
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101. Nella Campania, avvenne qualcosa di simile.
Una donna, nella vigilia della festa di san Francesco, benché fosse molto
spesso rimproverata dalle vicine, perché nemmeno quella festa si asteneva dal
lavoro, con ostinazione continuò la sua opera senza tregua, fino alla sera. Ma
dopo la fatica, all'improvviso fu paralizzata alle mani e resa inabile al
lavoro. Si stupisce e si addolora. Immediatamente si alza e dichiarando che si
doveva rispettare la festa solenne che essa aveva disprezzato, fa voto alla
presenza di un sacerdote che per sempre avrebbe osservato la festa del Santo.
Fatto questo voto, fu accompagnata ad una chiesa dedicata a san Francesco, ove,
fra le lacrime, ricuperò la salute.
102. Nella città Olite una donna, ammonita da una
vicina perché rispettasse la festa di san Francesco astenendosi dal lavoro, con
eccessiva arroganza rispose: " Se per qualsiasi arte, ci fosse un santo,
il numero dei santi sarebbe superiore a quello dei giorni ". Appena
pronunciata la frase, per divino intervento, subito impazzì rimanendo priva
della ragione e della memoria per molti giorni, finché per le preghiere elevate
a san Francesco da alcuni devoti sparì la sua insania.
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103. Nel paese di Piglio, nella Campania (di Roma),
nella festa di san Francesco, una donna eseguiva in fretta un suo lavoro.
Rimproverata da una nobildonna, essendo tale festa osservata da tutti con
religiosa venerazione, rispose: " Mi manca poco a finire il mio lavoro.
Veda il Signore se commetto una colpa! ". Subito vide nella figlia, che le
sedeva appresso, avverarsi il grave giudizio. La bocca della bambina si era
storta fino alle orecchie e gli occhi uscivano dalle orbite stravolti in modo
orribile. Accorrono donne da ogni parte e imprecano contro l'empietà della
madre, causa di disgrazia alla figlia innocente. Senza indugio essa si getta a
terra accasciata dal dolore promettendo di osservare ogni anno il giorno del
Santo, e di dar da mangiare, in tale occasione, ai poveri per riverenza a
questo Santo. All'istante cessò il tormento della figlia, quando la madre che
aveva peccato, si pentì della sua colpa.
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104. Matteo da Tolentino aveva una figlia di nome
Francesca. Egli, adiratosi non poco perché i frati si trasferivano altrove,
decise di chiamare la figlia Mattea, spogliandola del nome di Francesca. Ma
appena privata del nome, la figlia fu privata anche della salute. Infatti
poiché ciò era avvenuto per disprezzo del Padre e per odio dei figli, la
giovinetta si ammalò in modo gravissimo tanto da essere in pericolo di morte.
Quell'uomo, tormentato da profondo dolore per le condizioni disperate della
figlia e rimproverato dalla moglie per l'odio verso i servi di Dio e per il
disprezzo al nome del Santo, per prima cosa ricorse al nome con sollecita
devozione e rivestì la figlia del primo titolo, di cui l'aveva spogliata.
Finalmente, portata dal padre in lacrime al luogo dei frati, la fanciulla
riebbe insieme al proprio nome anche la salute.
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105. Una donna di Pisa, che non sapeva di essere
incinta, mentre nella sua città si cominciava la costruzione di una chiesa
dedicata a san Francesco, per tutto il giorno collaborò attivamente all'opera.
Ad essa san Francesco apparve di notte, accompagnato da due frati che
camminavano presso di lui, portando due ceri, e le disse: " Ecco,
figliola, tu hai concepito e partorirai un figlio. Sarai assai felice di
lui, se gli darai il mio nome ". Giunse quindi il tempo del parto e
generò un figlio. La suocera allora disse: a Si chiamerà Enrico, in ricordo
di quel nostro parente ". " No, assolutamente,--insisté la
madre--, ma si chiamerà invece Francesco! ". La suocera schernì quel
nobile nome, come se fosse volgare. Passati quindi pochi giorni, il bambino
ormai prossimo al battesimo, si indebolì all'improvviso fino quasi a morire.
Tutta la famiglia fu presa dal dolore e la gioia si trasformò per loro in
angoscia. La notte però mentre la madre non riusciva a dormire per il
dolore, venne come la prima volta san Francesco con due frati e come turbato si
rivolse alla donna dicendole: " Non ti avevo detto che non avresti goduto
di tuo figlio, se non gli avessi imposto il mio nome?". Allora quella
incominciò a gridare che non avrebbe imposto al figlio nessun altro nome.
Infine il piccolo guarì, e fu battezzato col nome di Francesco. Al fanciullino
fu pure data la grazia di non piangere e di passare lietamente i suoi anni
puerili .
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106. Una donna delle parti di Arezzo in Toscana,
dopo aver sopportato per sette giorni il travaglio del parto, ormai livida e
disperata da tutti, formulò un voto a san Francesco e la morente incominciò a
chiederne l'aiuto. Appena fatto il voto, subito si addormentò e le apparve san
Francesco che chiamandola per nome, Adelasia, le domandava se conoscesse il suo
volto. Essa rispose: " Certo che ti riconosco, Padre". Soggiunse il
Santo: " Sai recitare "Salve, Regina di misericordia "?
". Al che essa rispose: " Sì, Padre ". " Incomincia allora,
continuò il Santo, e, prima che finisca, partorirai felicemente ". Detto
ciò il Santo gridò a gran voce e gridando disparve. A tal grido si
sveglia la donna, che tremante cominciò a recitare: Salve Regina.
Arrivata alle parole " quegli occhi tuoi misericordiosi ", tosto, non
ancora finita l'invocazione, dette alla luce un grazioso bambino, con grande
gioia e salute.
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107. In Sicilia, una donna benché sapesse che la
festa solenne di san Francesco era imminente, non si curava comunque di
astenersi dal lavoro, anzi preparò dinnanzi a sé un mortaio. Vi mise della
farina e cominciò a manipolarla a braccia nude, ma ad un tratto la farina
apparve tutta intrisa di sangue. Vedendo ciò, stupita la donna chiamò le
vicine. Quanto più esse accorrevano a veder lo spettacolo, tanto più aumentava
nella massa della farina il fluire del sangue. Si pentì la donna di quello che
aveva fatto e formulò il voto di non iniziare più in avvenire un lavoro manuale
nella festa consacrata al Santo. Confermata così la promessa, il fluire del
sangue nella farina cessò.
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108. Mentre era ancora vivo il Santo, una donna
incinta che viveva dalle parti di Arezzo, giunto il tempo del parto, era in
preda ad un terribile spasimo e rimase per parecchi giorni in questo travaglio.
Il beato Francesco proprio in quel tempo passava di là, diretto verso un eremo,
a cavallo, poiché era ammalato. Mentre tutti aspettavano il suo passaggio per
quel luogo, dove si trovava la donna sofferente, il Santo invece era già
arrivato all'eremo. Un frate si trovò a passare, con il cavallo su cui era
stato seduto il Santo, proprio per quel villaggio. Allora gli abitanti,
accorgendosi che questi non era san Francesco, rattristati, cominciarono a
chiedersi se ci fosse qualcosa che il servo del Signore avesse stretto nella
propria mano. Trovando le briglie del morso, che il Santo aveva stretto in
mano, tolsero velocemente il morso dalla bocca del cavallo. Appena le briglie
furono poste sopra la donna, si allontanò ogni pericolo, ed ella partorì con
gioia e salute.
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CAPITOLO XIII
MALATI DI ERNIA RISANATI
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109. Frate Giacomo da Iseo, uomo celebre e famoso
nel nostro Ordine, a testimonianza di quanto gli era accaduto e a gloria del
nostro Padre, rese grazie al Santo per il beneficio della guarigione. Mentre
era ancora fanciullo nella casa paterna, incorse in una gravissima ferita,
dalla quale uscivano in una posizione che non era la loro le parti nascoste del
corpo, collocate dalla natura nel segreto, e di conseguenza soffriva molto per
quella lesione. Suo padre e tutti i suoi, che sapevano della cosa, ne erano
angosciati e, nonostante il ricorso a numerosi rimedi, non lo vedevano punto
migliorare. Allora il giovane, per ispirazione divina, cominciò a pensare alla
salvezza della propria anima e a ricercare con spirito ardente Iddio, che
sana i cuori feriti e ne lenisce le piaghe. Entrò pertanto devotamente
nell'ordine, senza rivelare ad alcuno la propria infermità. Ma dopo qualche
tempo i frati vennero a sapere della infermità del giovane. Impressionati,
avrebbero voluto, benché spiacenti, rimandarlo in famiglia. Ma l'insistenza del
giovane fu tale da impedire che fosse eseguita la spiacevole decisione. Ebbero
quindi i frati cura del giovane, fino a che egli, sostenuto dalla grazia e
pieno di nobili virtù, assunse tra loro la cura delle anime e si distinse per
l`esercizio della regolare disciplina. Avvenne poi che, mentre avveniva il
trasferimento del corpo del beato Francesco alla sua sede, egli fosse presente
alle feste della traslazione insieme alla folla. Avvicinatosi alla tomba in cui
riposava il corpo del veneratissimo Padre, cominciò a pregare a lungo per
l'ormai vecchia infermità. Tutto ad un tratto, in maniera mirabile, le membra
ritornarono al loro posto naturale, ed egli, sentendosi guarito, depose il
cinto, e da allora scomparve interamente ogni dolore.
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110. Un Pisano, che evacuava i residui della
digestione dalla parte dei genitali, a causa del forte dolore e della profonda
vergogna, prese contro di sé una diabolica decisione. Travolto da disperazione
profonda, decise di non vivere più oltre e di uccidersi con un laccio. Giunto
il momento, fu tuttavia punto dal rimorso della non ancor spenta coscienza, e
richiamò alla memoria e ripeté con la bocca, sia pur flebilmente, il nome di
Francesco. Subito ottenne una conversione dalla maledetta decisione ed insieme
l'immediata guarigione dalla enorme piaga.
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111. Il figlio di un individuo di Cisterna nella
Marittima era afflitto da una spaventosa lacerazione delle parti genitali, ed
in nessuna maniera era possibile contenere la fuoriuscita degli intestini. Di
fatti, anche il cinto, che solitamente è un buon rimedio per tale infermità,
gli procurava nuove e dolorose lesioni. Gli infelici genitori vivevano nel
tormento e l'orrenda vista di tale male era causa di pianto a vicini e
conoscenti. Dopo aver tentato ogni genere di cure senza mai approdare a un
risultato, il padre e la madre votarono il figlio a san Francesco. Lo portarono
dunque il giorno di san Francesco alla chiesa costruita in suo onore presso
Velletri, lo deposero dinnanzi all'immagine del Santo, fecero i loro voti e
piansero per lui assieme alla numerosa folla. Mentre veniva cantato il Vangelo
e venivano pronunciate quelle parole: " Ciò che viene nascosto ai
sapienti, è rivelato ai fanciulli ", all'improvviso si ruppero il
cinto e gli inutili rimedi. Subito si rimarginò la ferita e ritornò la
desiderata salute. Si levò quindi un grande grido di lode a Dio e di devozione
al Santo.
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112. Presso Ceccano, paese della Campagna, il
sagrestano di nome Niccolò mentre di mattina presto entrava in chiesa, per un
incidente improvviso cadde così malamente, che gli intestini gli fuoriuscirono
fino al basso ventre. Alcuni chierici ed altri vicini accorsero e, sollevatolo,
lo riportarono a letto. Giacque egli per otto giorni immobilizzato, al punto da
non riuscire ad alzarsi nemmeno per le proprie necessità. Furono chiamati i
medici e fatte tutte le cure del caso, ma il dolore aumentava e il disturbo non
solo non guariva, ma si aggravava. Gli intestini fuoriusciti e nella sede
impropria causavano all'uomo tale sofferenza, che per otto giorni ii
disgraziato non riuscì neppure a mangiare. Ormai privo di speranza e destinato
a morire, l'uomo si rivolse a san Francesco. Pregò la propria figlia religiosa
e timorata di Dio, di implorare per lui l'aiuto di san Francesco. Messasi
un poco in disparte la pia figliola si concentrò nella preghiera, e tra i
singhiozzi scongiurò il Padre per il proprio padre. O mirabile potenza della
preghiera! D'improvviso il padre la richiamò, mentre ella ancora stava
pregando, e le annunziò con gioia l'insperata guarigione. Ogni cosa era
tornata al debito posto ed egli si sentiva di star meglio di quanto non lo
fosse stato prima della caduta. Fece voto allora di aver sempre come suo
patrono il beato Francesco, e di festeggiare ogni anno il giorno a lui
consacrato.
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113. Nel paese di Spello un uomo da due anni
soffriva di ernia in modo tale che la massa intestinale sembrava essere tutta
uscita sul basso ventre. Non riuscì infatti per molto tempo né a contenere il
deflusso degli intestini, né a farli ritornare con l'aiuto dei medici alla sede
naturale. Considerato dai medici ormai senza speranza, si rivolse alI'aiuto
divino. Invocò dunque i meriti del beato Francesco, e improvvisamente s'accorse
che ciò che prima era rotto si era consolidato, e risistemato al suo posto ciò
che si era spostato .
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114. Nella diocesi di Sora, un giovane di nome
Giovanni era afflitto da tale ernia intestinale che non poteva essere alleviato
da alcuna cura medica. Un giorno accadde che la moglie si recò ad una chiesa
del beato Francesco. Mentre essa stava pregando per la guarigione del marito,
uno dei frati le disse con semplicità: " Torna, e dì a tuo marito che
faccia un voto al beato Francesco, e segni con un segno di croce il posto del
male! ". Ritornata, essa lo riferì al marito. Egli fece voto al beato Francesco,
segnò il posto della ferita e subito gli intestini rientrarono al luogo di
prima. L'uomo si meravigliò molto per la rapidità dell'insperata guarigione,
e per constatare che fosse completa, dato che era stata così improvvisa,
cominciò a sottoporsi a vari esercizi fisici.
Il
beato Francesco apparve in sogno al medesimo giovane in preda ad una violenta
febbre, e chiamandolo per nome gli disse: " Non temere, Giovanni, poiché
sarai sanato dalla tua infermità ". La massima attendibilità di questo
miracolo viene dal fatto che il beato Francesco apparve ad un religioso di nome
Roberto e richiesto chi fosse, rispose: " Io sono Francesco, e sono venuto
per sanare un mio amico ".
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115. In Sicilia, san Francesco risanò pure in
modo meraviglioso un uomo di nome Pietro, afflitto da un'ernia inguinale,
quando proprio faceva la promessa di visitare la sua tomba.
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CAPITOLO XIV
CIECHI, SORDI E MUTI
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116. In un convento di Napoli, a un frate di nome
Roberto, che era cieco da moltissimi anni, discese sugli occhi una pellicola di
carne che gli impediva ogni movimento ed uso delle palpebre. Erano una volta là
convenuti moltissimi frati forestieri, in partenza per diverse parti del mondo
e il beato padre Francesco, esempio e specchio di santa obbedienza, per
rincuorarli al viaggio con la forza di un nuovo miracolo, risanò il predetto
frate alla loro presenza nel modo seguente. Una notte frate Roberto giaceva
ormai ridotto in fin di vita, e già gli era stata raccomandata l'anima, quando
alI'improvviso gli si presentò il beato Francesco con tre frati, insigni per la
loro santità, ossia sant'Antonio, frate Agostino e frate Giacomo d'Assisi. Essi
che l'avevano imitato in vita in ogni perfezione, ora lo seguivano con
altrettanto ardore dopo morte. Il Santo, preso in mano un coltello, tagliò via
dall'occhio la carne superflua, restituì la vista all'ammalato, e lo allontanò
dalle fauci della morte, dicendogli: a Figlio mio Roberto, la grazia che ti ho
fatto, è un segno per i frati che stanno per andare verso lontani paesi, che io
li precederò dirigendo i loro passi. Vadano dunque,--continuò--,
e compiano con alacre animo l'obbedienza loro ingiunta. Godano i figli
dell'obbedienza, soprattutto quelli che, lasciando il proprio suolo,
dimenticano la patria terrena perché hanno una guida capace e un sollecito
precursore ".
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117. A Zancato, paese presso Anagni, un cavaliere
di nome Gerardo, aveva perduto totalmente l'uso degli occhi. Avvenne che due
frati minori, tornando dall'estero, si dirigessero alla sua casa per esservi
ospitati. Accolti pertanto onorevolmente da tutta la famiglia e trattati con
ogni benevolenza, non s'accorgessero della cecità dell'ospite. Si recarono poi
al luogo dei frati distante sei miglia e vi rimasero otto giorni. Una notte il
beato Francesco apparve durante il sonno ad uno di loro, dicendogli:
" Alzati e affrettati con il compagno alla casa del vostro ospite,
perché nella vostra persona ha reso onore a me e nel nome mio vi ha dato
ospitalità! Rendetegli il contraccambio della lieta ospitalità ed onore a chi
vi ha onorati. Egli infatti è cieco e non ci vede e ciò glielo hanno procurato
i peccati che ancora non ha confessato. Lo attendono le tenebre della morte eterna
e gli si prospettano interminabili tormenti. Tutto ciò è conseguenza delle
colpe che ancora non ha rigettato ". Sparito il Padre, il figlio attonito
si alzò e frettolosamente adempì al comando con il confratello. Ambedue i frati
ritornano insieme dall'ospite, e colui che aveva avuto la visione racconta per
ordine tutto ciò che aveva visto. Quell'uomo è preso da grande stupore e
finisce per riconoscere la verità di quanto gli è detto. Si pente fino alle
lacrime, si confessa volentieri, e promette di correggersi. Rinnovato cosi
l'uomo interiore, l'uomo esteriore subito riacquista la luce degli occhi. La
notizia della grandezza di questo miracolo diffusasi in ogni parte, incoraggiò
tutti coloro che lo udivano, a favorire l'ospitalità.
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118. Presso Tebe in Romania, una donna cieca, che
digiunava nella vigilia di san Francesco a pane e acqua, fu condotta da suo
marito alle prime ore della festa alla chiesa dei frati. Essa, durante la
celebrazione della Messa, al momento dell'elevazione del corpo di Cristo, aprì
gli occhi, vide con chiarezza e adorò con moltissima devozione. E nell'atto
stesso dell'adorazione proclamò a gran voce: " Grazie a Dio e al suo
Santo, perché vedo il Corpo di Cristo! ". Tutti i presenti proruppero in
espressione di esultanza, e terminati i sacri riti la donna ritornò a casa
sua, guidata dalla sua stessa vista. Cristo fu luce a Francesco mentre
questi era in vita, e come allora gli delegò ogni suo potere meraviglioso, così
anche ora desidera sia data gloria al suo corpo.
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119. In Campagna, un ragazzo di quattordici anni,
del paese di Pofi, per un'improvvisa disgrazia, perdette del tutto l'occhio
sinistro. L'acerbità del dolore spinse fuori l'occhio talmente dall'occhiaia,
che per otto giorni, pendendo all'esterno attraverso una sottile pellicola
grossa un dito, quasi totalmente si inaridì. Quando ormai rimaneva solo la via
delI'asportazione, secondo il parere dei medici, suo padre chiese con tutta
l'anima l'aiuto del beato Francesco. Questi, infaticabile protettore degli
infelici, non deluse le preghiere del supplice. Con la sua miracolosa potenza,
rimise l'occhio inaridito al suo posto, ridonandogli la primitiva lucentezza
dei raggi della desiderata luce.
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120. Nella stessa regione, presso Castro (dei
Volsci), una grossa trave cadde dall'alto e abbattendosi pesantemente sul capo
di un sacerdote, gli accecò l'occhio sinistro. Egli, buttato a terra, cominciò
a gran voce, lamentandosi, ad invocare san Francesco, dicendo: " Aiutami,
o santissimo Padre, perché possa andare alla tua festa, come ho promesso di
fare ai tuoi frati! ". Era infatti la vigilia del Santo. Costui rialzatosi
subito, fu risanato in modo straordinario; proruppe quindi in esclamazione di
lode e di gioia, e trasformò in meraviglia e giubilo la pietà dei presenti che
già commiseravano il suo infortunio. Andò alla chiesa e narrò a tutti la bontà
e la potenza del Santo, che aveva sperimentata in se stesso. Imparino quindi
tutti a venerare devotamente colui che essi sanno così prontamente correre in
aiuto a quelli che lo venerano.
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121. Mentre era ancora in vita il beato
Francesco, una donna di Narni, afflitta da cecità, recuperò miracolosamente la
vista, dopo che l'uomo di Dio le fece un segno di croce sugli occhi.
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122. Un uomo del monte Gargano, di nome Pietro
Romano, mentre nella sua vigna stava spaccando della legna con una scure, si
colpì ad un occhio e lo divise a metà in modo tale che una parte del globo
pendeva tutta fuori. Disperando in tale situazione di poter essere soccorso da
alcuno, promise che non avrebbe toccato cibo nella festa di san Francesco, se
gli fosse venuto in aiuto. Subito il Santo di Dio ricollocò al posto dovuto
l'occhio di quell'uomo, ricongiungendo quanto era staccato, e ridonando la luce
di prima.
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123. Il figlio di un nobiluomo, cieco dalla
nascita, acquistò il desiderato dono della vista per i meriti del beato
Francesco. Egli, prendendo nome dail'avvenuto miracolo, si chiamò Illuminato.
Entrò poi, a suo tempo, nell'Ordine di san Francesco, ed infine compì il santo
inizio con una fine ancor più santa.
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124. Bevagna è un nobile paese, sito nella valle
Spoletana. Viveva in esso una santa donna, con una figlia vergine ancor più
santa ed una nipote assai devota a Cristo. San Francesco onorava spesso la loro
ospitalità con la propria presenza, poiché quella donna aveva anche un figlio
nell'Ordine, uomo di specchiata virtù. Ora una di tali donne, cioè la nipote,
era priva del lume degli occhi esterni, benché quegli interni, con i quali si
vede Iddio, fossero illuminati di meravigliosa chiarezza. San Francesco,
implorato una volta perché, avendo pietà del male di lei, avesse anche riguardo
alle loro fatiche, inumidì gli occhi della cieca con la sua saliva,
per tre volte, nel nome della Trinità, e le restituì la desiderata vista .
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125. A Città della Pieve viveva un povero
fanciullo completamente sordo e muto dalla nascita. Egli aveva la lingua tanto
corta, che quanti l'avevano esaminata l'avevano trovata come tronca. Un uomo,
di nome Marco, I'accolse in casa sua per amor di Dio. Il poveretto vedendosi
accolto amorevolmente, cominciò a dimorare stabilmente con lui. Una sera, quell'uomo,
mentre cenava con la moglie, presente il fanciullo, disse alla donna: " Io
reputerei un grandissimo miracolo, se il beato Francesco restituisse a costui
l'udito e la parola ". E aggiunse: " Faccio voto a Dio, che se san
Francesco si degnerà di operarlo, io manterrò a mie spese questo fanciullo,
finché vivrà ". Cosa senza dubbio meravigliosa! D'un tratto la lingua
crebbe ed il fanciullo parlò, dicendo: " Viva san Francesco che vedo posto
in alto e che mi ha donato la parola e l'udito. Che cosa ormai dirò alla gente?
". Il suo benefattore gli rispose: " Loderai Iddio e salverai
molti uomini ". Gli uomini di quel paese, che lo avevano conosciuto
come era prlma, furono ripieni di grandissima meraviglia.
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126. Una donna nelle parti delle Puglie, da tempo
aveva perduto l'uso della lingua e non aveva più il respiro libero. Ad essa,
mentre di notte stava dormendo, apparve la Vergine Maria, che le disse: "
Se vuoi guarire, va' in pellegrinaggio alla chiesa di san Francesco presso
Venosa e vi ricupererai la desiderata salute! ". Si alzò la donna e non
riuscendo ne a respirare né a parlare, accennava ai familiari di volersi recare
a Venosa. I familiari acconsentirono e si incamminarono con lei verso quel
luogo. Entrò dunque la donna nella chiesa di san Francesco, e mentre con
l'animo commosso domandava la grazia, d'un tratto vomitò fuori un nodo di
carne, e venne risanata tra l'ammirazione dei presenti.
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127. Nella diocesi di Arezzo, una donna che era
muta da ben sette anni, si rivolgeva con inesauribile speranza al divino
ascolto, perché Dio si degnasse di scioglierle la lingua. Ed ecco, mentre
dormiva, apparvero due frati che indossavano una veste rossa e dolcemente la
consigliarono di fare un voto a san Francesco. Obbedì volentieri ai loro
suggerimenti, e si consacrò col cuore, non potendolo con la lingua.
Contemporaneamente si svegliò dal sonno e dal silenzio.
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128. Un giudice, di nome Alessandro, era oggetto
di stupore ai conoscenti perché, avendo sparlato dei miracoli del beato
Francesco, era rimasto privo dell'uso della parola per ben oltre sei anni. Punito
proprio in ciò con cui aveva peccato, richiamato in sé dal doloroso
castigo, si doleva di aver disprezzato i miracoli del Santo. Pertanto, non durò
più a lungo l'indignazione del Santo, che riaccettò nel suo favore,
restituendogli la parola, colui che pentito umilmente l'invocava. Da allora, il
giudice, reso di gran lunga più devoto dalla dura punizione, purificò la lingua
blasfema con le lodi del beato padre.
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129. Avendo parlato di un bestemmiatore, ci
sovviene qualcosa che è bene narrare. Un cavaliere, di nome Gineldo, di Borgo
(San Sepolcro) in provincia di Massa, continuava a disprezzare con impudenza
sguaiata le opere e i miracoli del beato Francesco. Scagliava frequenti
ingiurie ai pellegrini che accorrevano a venerare la sua memoria e infieriva
con manifesta follia contro i frati. Un giorno, mentre stava giocando ai dadi,
pieno di demenza e di incredulità, disse ai presenti: " Se Francesco è
santo, vengano diciotto punti ai dadi! ". Tosto apparve nei dadi il sei
moltiplicato per tre, e per ben nove volte, ad ogni gettata, venne fuori il sei
per tre. Non si quietò quel folle, anzi aggiunse peccato a peccato e bestemmia
a bestemmia. " Se è vero--esclamò--, che Francesco è santo, rimanga oggi
ucciso di spada il mio corpo! Se poi non è santo, che io ne esca sano e salvo!
". Non tardò molto l'ira di Dio, e per giudizio divino, gli
fu imputato a peccato il suo discorso. Terminato il gioco, avendo
pronunciato un'offesa contro un suo nipote, questi afferrò una spada che tinse
di sangue nelle viscere dello zio. Così quel giorno lo scellerato, reso schiavo
dell'inferno e figlio delle tenebre, morì.--Temano i bestemmiatori e non
si illudano che le parole si dissipino nell'aria, né che manchi il vendicatore
delle offese fatte ai Santi.
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130. Una donna, di nome Sibilla, dopo aver
sofferto per molti anni la privazione della vista, venne condotta, cieca come
era e piena di amarezza, alla tomba delI'uomo di Dio. Essa, recuperata la vista
d'un tempo, ritornò a casa piena di gioia e di esultanza.
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131. Nel paese di Vicalvi, in diocesi di Sora,
una fanciulla, cieca dalla nascita, condotta dalla madre ad un oratorio di san
Francesco, dopo aver invocato il nome di Cristo, meritò, per i meriti di san Francesco,
di acquistare la vista, che prima mai aveva avuto.
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132. Ad Arezzo, una donna, che non ci vedeva da
sette anni, nella chiesa di San Francesco, edihcata presso la città, riottenne
la vista perduta.
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133. Nella stessa città, il figlio di una povera
donna, fu guarito dalla sua cecità dal beato Francesco, cui era stato
consacrato dalla madre.
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134. Un cieco di Spello, dinnanzi alla tomba del
sacro Corpo, ritrovò la vista, da lungo tempo perduta.
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135. A Poggibonsi, diocesi di Firenze, una donna
cieca spinta da una visione, cominciò a far visita a un oratorio del beato
Francesco. Essa, condotta là, mentre stava supplichevole prostrata davanti
all'altare, all'improvviso, riacquistò la vista e poté tornare senza guida a
casa sua.
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136. Anche un'altra donna, di Camerino, era
completamente priva della vista all'occhio destro; su di esso i suoi parenti
posero un panno che il beato Francesco aveva toccato con le sue mani, e,
formulato un voto, ringraziarono con riconoscenza il Signore Iddio e san
Francesco per la riacquistata vista.
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137. Qualcosa di simile accadde a una donna di
Gubbio. Essa, fatto il voto, fruì del ricupero della vista perduta.
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138. Un cittadino di Assisi, che aveva perduto la
vista da cinque anni e che, mentre viveva san Francesco, gli era sempre stato
amico, pregandolo e ricordandogli l'antica amicizia, appena toccò la sua tomba,
all'istante fu liberato dal suo male.
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139. Albertino da Narni, perduta la vista e
avendo le palpebre cadenti fino alle guance, fece voto al beato Francesco e
meritò di ritrovare la vista e di guarire.
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140. Un giovane, di nome Villa, non era in grado
né di camminare né di parlare. Per lui la madre fece fare un'immagine di cera
votiva, e la portò con grande devozione al posto ove il padre Francesco riposa.
Tornando a casa, trovò il figlio che camminava e parlava.
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141. Un uomo nella diocesi di Perugia, privo
totalmente della lingua e della parola, teneva la bocca sempre spalancata e
mugolava orribilmente. Aveva infatti la gola molto gonfia e tumida. Giunto al
luogo in cui giace il santissimo corpo, volendo raggiungere su per i gradini la
tomba, prese a vomitare gran quantità di sangue e così, stupendamente liberato,
riprese a parlare e ad aprire e a chiudere la bocca, in modo naturale.
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142. Una donna, a causa di un sasso che le si era
conficcato in gola, subì una forte infiammazione, e le si inaridì la lingua, sì
che non poteva né parlare, né mangiare, né bere. Essa, pur avendo tentato molte
cure, e non sentendo alcun rimedio e sollievo, si votò col cuore al beato
Francesco e, tosto, apertasi la gola, vomitò fuori la pietra che la ostruiva.
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143. Bartolomeo della città di Arpino, diocesi di
Sora, privo da sette anni dell'udito, invocò il nome del beato Francesco, e
riottenne l'udito.
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144. In Sicilia, una donna, del paese di Piazza
Armerina, privata dell'uso della parola, si rivolse con le parole del cuore al
beato Francesco e riacquistò la grazia della desiderata parola.
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145. Nella città di Nicosia, un sacerdote,
secondo l'abitudine, si levò per il mattutino e, richiesto da un lettore della
benedizione solita, brontolò non so qual barbara risposta. Così impazzì e,
riportato a casa, perdette quasi del tutto la parola per un intero mese. Egli,
poi, per suggerimento di un uomo di Dio, fece voto a san Francesco e
riacquistò, liberato dal male, I'uso della parola.
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CAPITOLO XV
LEBBROSI E PERSONE AFFETTE DA EMORRAGIA
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146. A San Severino, un giovane di nome Atto, era
lebbroso ormai all'ultimo stadio. Tutte le sue membra erano tumide e gonfie, e
guardava ogni cosa con sguardo orribile. Giaceva così quasi sempre a letto, e
infondeva ai suoi parenti un'infinita tristezza. Un giorno suo padre
rivolgendosi a lui, lo persuase a consacrarsi al beato Francesco. Egli acconsentì
con gioia alla proposta, e il padre si fece portare uno stoppino di candela,
col quale misurò la statura del giovane. Promise con voto di portare ogni anno
una candela alta quanto suo figlio al beato Francesco. Appena fatto il voto, il
malato subito si alzò dal giaciglio e si ritrovò guarito dalla lebbra.
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147. Un altro uomo, di nome Buonuomo, della città
di Fano, paralitico e lebbroso, accompagnato dai parenti alla chiesa di san
Francesco, ottenne completa guarigione di ambedue le malattie.
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969
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148. Una nobildonna, di nome Rogata, nella
diocesi di Sora, soffriva da ventitrè anni di emorragie; un
giorno udì un giovane cantare in lingua volgare i miracoli che Dio aveva
operato in quei giorni per mezzo del beato Francesco. Mossa da profondo dolore,
pianse e incominciò ardente di fede a dire dentro di sé: " O
beatissimo padre Francesco, per il cui merito rifulgono miracoli così grandi,
degnati di liberarmi da queste sofferenze! Finora un miracolo così grande non
hai operato! ". Spesso, infatti, à causa dell'eccessivo flusso di sangue,
la donna sembrava prossima a morire; appena cessava, essa si gonfiava in tutto
corpo. Trascorsi pochi giorni, si ritrovò risanata per i meriti del beatissimo
Francesco. Anche il figlio di lei, di nome Mario, che aveva un braccio
rattrappito, appena formulato il voto, fu risanato dal Santo di Dio.
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149. Una donna della Sicilia, oppressa per sette
anni da emorragie, fu risanata allo stesso modo dal vessillifero di Cristo, il
beato Francesco.
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CAPITOLO XVI
PAZZI E INDEMONIATI
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150. Pietro da Foligno, che si era recato a
visitare il tempio del beato Michele, bevve l'acqua di una fonte e sembrò quasi
avesse bevuto dei demoni. Da allora, posseduto per tre anni, era straziato nel
corpo, faceva discorsi terribili e commetteva orrende azioni. Finalmente,
appena toccò con la mano la tomba del beato padre, invocando umilmente la sua
potenza, fu miracolosamente libero da quei demoni, che così crudelmente lo
avevano tormentato.
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972
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151. A una donna della città di Narni, posseduta
dal demonio, il Santo comandò durante il sonno di segnarsi col segno della
croce. A lei, svanita di mente, poiché non sapeva segnarsi, il beato Francesco
impresse il segno di croce, mettendo in fuga ogni spirito diabolico.
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973
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152. Nella Marittima, una donna, sofferente di
follia da cinque anni, rimase priva della vista e dell'udito Stracciava con i
denti le vesti, non aveva alcuna paura dei pericolo del fuoco e dell'acqua, e
cadeva in orribili attacchi di epilessia. Una notte, disponendo la divina
misericordia che le fosse usata pietà, venne colta da un salutare sopore . Vide
quindi il beato Francesco seduto su di un trono bellissimo e lei,
prostrata dinnanzi, invocava supplichevole la guarigione. Poiché il Santo non
accondiscendeva alle suppliche emise quindi la donna un voto, promettendo
secondo la sua possibilità, di non rifiutare l'elemosina a chi gliela avesse
richiesta per amore di lui. Immediatamente il Santo accettò il voto, simile a
quello che aveva fatto lui stesso una volta e segnandola con un segno di croce,
le restituì completa salute .
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974
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153. Una fanciulla presso Norcia, era già da
lungo tempo oppressa da malore, si capì infine che era posseduta dal demonio.
Infatti spesso strideva i denti e si mordeva, non temeva i precipizi né i
pericoli; così perduta la parola e privata dell'uso delle membra, non aveva più
la sembianza d'un essere ragionevole. I suoi genitori, angustiati per la
confusione della loro discendenza, la condussero ad Assisi, dopo aver fissato
il lettuccio su un giumento. Il giorno della (`irconcisione del Signore, mentre
si celebrava la Messa solenne e la giovinetta giaceva sdraiata per terra vicina
all'altare di san Francesco, d'un tratto vomitò qualcosa di terribile. Quindi,
alzatasi in piedi, baciò l'altare di san Francesco e liberata del tutto da ogni
male, esclamò a gran voce: "Lodate Iddio e il suo Santo! ".
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154. Il figlio di un nobiluomo soffriva del
tormento doloroso del mal caduco. Emetteva schiuma dalla bocca, osservava tutto
con sguardo truce, e con l'abuso delle membra, sputava qualcosa di diabolico. I
suoi genitori imploravano il Santo di Dio, invocando il rimedio e offrendo il
disgraziato figlio alla sua compassione e pietà. Ed ecco, nella notte, apparve
alla madre, che dormiva, I'amico pietoso che le disse: " Ecco, sono venuto
ora a salvare tuo figlio ". A quel richiamo la donna si alzò tremante e
ritrovò suo figlio perfettamente guarito.
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155. Penso di dover raccontare quale meraviglioso
potere sui demoni abbia avuto il Santo durante la sua vita. Una volta, nel
paese di San Gimignano, I'uomo di Dio mentre predicava il Regno dei Cieli,
fu ospite di una persona timorata di Dio, la cui moglie, come tutti
sapevano, era posseduta dal demonio. Il beato Francesco fu pregato di
intervenire a favore di lei, ma volendo sfuggire l'applauso degli uomini, si
rifiutò dall'intervenire. Tuttavia, commosso dalle molte preghiere, fece
mettere in tre angoli a pregare i tre frati che erano con lui, e nel quarto
angolo si mise lui stesso a pregare. Terminata la preghiera, si avvicinò con
fede alla donna, così terribilmente tormentata, e ordinò al demonio in nome
di Gesù Cristo, di andarsene. Esso al suo comando si allontanò con rabbia e
tanta velocità che l'uomo di Dio credette d'essersi illuso e, arrossendo, se ne
andò di là. Passando un'altra volta in seguito per lo stesso paese, quella
donna lo seguiva per la piazza, baciando le orme dei suoi piedi, e chiedendo ad
alta voce che si degnasse di parlare con lei. Il Santo, assicurato da molti
dell'effettiva guarigione di lei, solo allora, acconsentì di parlarle.
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156. Un'altra volta, mentre il Santo si trovava
presso Città di Castello, una donna posseduta dal demonio fu condotta nella
casa in cui egli abitava. Essa era fuori e digrignando i denti, disturbava
tutti con le sue grida sguaiate. Ora molti supplicavano e imploravano il Santo
di Dio per la sua guarigione, lamentando che già da troppo tempo erano turbati
dalla sua malattia. Il beato Francesco mandò a lei un frate che l'accompagnava,
volendo provare così se fosse il demonio o un inganno della donna. Ma essa,
sapendo che non era san Francesco, lo derise e ne tenne poco conto. Il padre
santo era intanto rimasto all'interno e pregava. Terminata la preghiera, uscì
fuori dalla donna. Essa, non potendo sopportare la sua presenza, si rotolava
con violenza per terra. Il Santo di Dio comandò per obbedienza al demonio di
uscire. Esso tosto allontanandosi, lasciò la donna finalmente libera.
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CAPITOLO XVII
PERSONE SOFFERENTI PER DEFORMITA' E FRATTURE
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157. Nella contea di Parma, nacque ad un uomo un
figlio che aveva un piede volto all'indietro, cioè con il calcagno davanti e le
dita di dietro. Quell'uomo era povero ma devoto di san Francesco. Si lamentava
ogni giorno con ii Santo, per quel figlio così malridotto, mostrando
insistentemente la propria miseria. In cuor suo pensava, consenziente la
nutrice, di forzare il piede a tornare al proprio posto, dopo che le membra del
delicato fanciullo si fossero ammorbidite nel bagno, e si preparò ad eseguire
quanto aveva deciso. Ma prima che fosse tentato tale atto temerario, quando le
fasce furono tolte, il fanciullo, per i meriti di san Francesco, fu trovato
guarito come se prima non avesse mai avuto simile deformità.
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158. Presso Scoppito, vicino ad Amiterno, un uomo
e la moglie che avevano un solo figlio, ogni giorno lo piangevano come se fosse
una vergogna della loro famiglia. Infatti non sembrava già un uomo, ma un
mostro, essendo le sue membra anteriori, invertito l'ordine di natura, volte
all'indietro. Così, con le braccia attaccate al collo, le mani congiunte al
petto e i piedi stretti alle natiche, sembrava essere una sfera, non un busto.
Perciò lo tenevano lontano dalla presenza dei parenti e dei vicini, perché non
lo vedessero, pieni di dolore e ancor più di vergogna. Oltre a ciò, il marito,
prostrato dal dolore, rimproverava alla moglie di non saper generare figli come
le altre donne, ma mostri, non paragonabili nemmeno alle specie peggiori degli
animali, e la tormentava con l'accusa che il giudizio di Dio provenisse da una
colpa di lei. Essa allora, afflitta dal dolore e confusa di vergogna, gemendo
invocava Cristo e chiamava in aiuto san Francesco, perché si degnasse di
soccorrerla, infelice com'era e ridotta a tale tormento. Una notte, mentre era,
piena di tristezza, sommersa in un doloroso sonno, le apparve san Francesco,
che la consolava con pie parole: " Alzati--le ordinò--, e porta il bambino
al vicino posto dedicato al mio nome, dove lo immergerai nell'acqua di quel
pozzo. Appena infatti avrai versato quell'acqua sul bambino, egli acquisterà la
completa guarigione ". La donna non si curò di adempiere l'ordine del
Santo, riguardo al bambino, ed anche non prestò ascolto ad una seconda visione,
in cui il Santo le ordinava la stessa cosa. Ora il Santo impietosito dalla sua
semplicità, volle in modo ancor più vivido usarle misericordia. Infatti le
apparve una terza volta insieme alla gloriosa Vergine e la nobilissima
compagnia dei santi Apostoli, e sostenendola insieme al fanciullo la trasportò
in un attimo dinnanzi alla porta del luogo designato. Sorta ormai l'aurora, e
scomparsa completamente quella visione, la donna stupita e ammirata, bussò alla
porta. Ispirò ai frati non poca ammirazione quel suo attendere con piena
fiducia la guarigione del fanciullo, ormai promessa da una terza visione.
Sopraggiungendo in seguito, per devozione, alcune nobildonne della stessa
regione, ed avendo ascoltato quanto era accaduto, ne furono molto ammirate.
Attinsero quindi rapidamente acqua dal pozzo e la più nobile fra loro accudì con
le proprie mani al bagno del fanciullo. All'improvviso, ricomposte tutte le
membra al loro luogo naturale, il fanciullo apparve guarito e la grandezza del
miracolo produsse in tutti immensa ammirazione .
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159. Nella città di Cori, nella diocesi di Ostia,
un uomo aveva perduto completamente l'uso di una gamba, e non riusciva in alcun
modo a camminare e a muoversi. Preso da un'angustia profonda e disperando
dell'umano aiuto, corninciò una notte, come se vedesse presente il beato
Francesco, a lamentarsi davanti a lui del suo stato: << Aiutami san
Francesco, nel ricordo clel favore e della devozione che ho mostrato per te!
Giacchè ti ho trasportato sul mio asino ho baciato i tuoi picdi e le tue sante
mani, ti sono sempre stato devoto, sempre benevolo; ed ecco che io ora muoio
per il tormento insostenibile di questo male! >>. Commosso da tali
implorazioni, subito il Santo, memore dei favori ricevuti, apparve con un frate
all'uomo che non poteva dormire. Disse che era venuto perché da lui chiamato a
portare rimedio per la guarigione. Toccò la parte sofferente con un bastoncino,
che recava su di sé il segno del Tau . Subito si ruppe l'ascesso e,
ricuperata la salute, fino ad oggi è rimasta impressa m quella parte il segno
del Tau. Con tale sigillo san Francesco firmava le sue lettere, ogni
qualvolta o per necessità o per spirito di carità, inviava qualche suo scritto.
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160. Fu portata al sepolcro del Santo una
fanciulla, che aveva da un anno il collo mostruosamente inclinato e la testa
congiunta ad una spalla, sì che non riusciva a guardare alcuno se non di
sbieco. Essa mentre stava posando il capo sotto l'arca in cui era rinchiuso il
prezioso corpo del Santo, all'improvviso raddrizzò il collo e, commossa dal
subitaneo mutamento, prese a fuggire e a piangere. Sulla spalla su cui era
stata ripiegata la testa, si vedeva ora una specie di incavo, che le aveva
procurato la lunga infermità.
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161. Nel contado di Narni, un fanciullo aveva una
tibia tanto contorta da non riuscire in alcun modo a camminare senza l'aiuto di
due stampelle. Sofferente di tale infermità fin dall'infanzia, divenne mendico
e non conosceva nemmeno i suoi genitori. Egli fu risanato per i meriti del
beato Francesco, e poté camminare liberamente dove voleva, senza bastone.
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162. Un uomo di nome Niccolò, di Foligno, aveva la
gamba sinistra rattrappita e soffriva per così grande disgrazia; aveva speso
con i medici per riottenere la sua salute tanto che si era indebitato oltre
ogni volere e possibilità. Non avendo tratto alcun sollievo dal loro aiuto,
esacerbato dal cruento dolore tanto che coi suoi ripetuti urli non permetteva
nemmeno ai vicini di dormire di notte~ finalmente fece voto a Dio e a san
Francesco e si fece portare alla sua tomba. Mentre stava pregando durante la
notte davanti al tumulo, la gamba gli si raddrizzò, ed egli esultante di gioia
poté ritornare a casa senza alcun bastone.
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163. Anche un fanciullo, che aveva una gamha
rattrappita sì che il ginocchio gli toccava il petto e il calcagno le natiche,
fu trasportato al sepolcro del beato Francesco; era accompagnato dal padre che
macerava la propria carne con un cilicio e dalla madre che faceva per lui
penitenza. Egli guarì con subitanea e completa salute.
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164. Nella città di Fano vi era un uomo
rattrappito, le cui tibie coperte di piaghe aderivano alle cosce ed esalavano
un fetore tale che gli infermieri non lo volevano accettare nell'ospedale. Egli
per i meriti del beato Francesco, avendone invocato la misericordia, di lì a
poco si rallegrò per la guarigione.
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165. Una fanciulla di Gubbio, che aveva le mani
contratte, e aveva perduto ormai da un anno l'uso di tutte le membra, fu
accompagnata dalla sua nutrice con un'immagine di cera alla tomba del Santo,
per ottenere la guarigione. Dopo otto giorni che si trovava là, le fu
interamente restituito I'uso di tutte le membra, rese atte al loro compito.
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166. Anche un altro fanciullo di Montenero,
giaceva da più giorni davanti alla porta della chiesa, ove riposa il corpo del
beato Francesco, poiché egli non poteva camminare né stare a sedere; infatti
dalla cintola in giù era privo di forze e dell'uso delle membra. Un giorno
entrò in chiesa e al semplice tocco del sepolcro del beatissimo padre, tornò
fuori risanato ed incolume. Raccontava poi questo fanciulletto che, mentre si
trovava davanti alla tomba del glorioso Santo, gli si presentò sul sepolcro un
giovane, vestito dell'abito dei frati e recava in mano delle pere; mentre lo
chiamava per nome, gli offrì una pera e lo esortò a mangiarla. Egli accettando
una pera dalle sue mani, rispondeva: " Ecco, vedi sono rattrappito, non
posso affatto mettermi in piedi ". Tuttavia mangiò la pera offertagli e
cominciò a protendere la mano all'altra pera che gli veniva offerta dal
giovane. L'altro lo esortava ad alzarsi, ma egli, oppresso dalla malattia, non
ci riusciva. Mentre il fanciullo stendeva la mano verso la pera, il giovane,
dopo avergli mostrato il frutto, gli prese la mano e condottolo fuori,
scomparve dalla sua vista. Costui completamente risanato, cominciò a gridare a
gran voce, manifestando a tutti l'accaduto.
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167. Un altro cittadino di Gubbio che aveva
portato in una cesta alla tomba del santo padre, il figlio rattrappito lo
riebbe risanato. Era stato così spaventosamente contratto che le tibie aderendo
alle cosce si erano come completamente inaridite.
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168. Nella diocesi di Volterra, c'era un uomo di
nome Riccomagno, che appena riusciva a strisciare per terra con le mani. Anche
la madre per la sua mostruosità l'aveva abbandonato. Appena fece umilmente un
voto al beato Francesco, fu risanato.
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990
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169. Nella stessa diocesi due donne, di nome
Verde e Sanguigna, erano così contratte da non potersi muovere se non
trasportate da altri, ed avevano le mani tutte scorticate, perché si
appoggiavano su di esse per muoversi. Esse appena fatto un voto furono guarite.
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170. Un certo Giacomo da Poggibonsi era così
spaventosamente curvo e contratto da aderire con la bocca alle ginocchia. La
madre, vedova, lo condusse ad un oratorio del beato Francesco, e dopo aver
recitata una preghiera al Signore per la sua guarigione, lo ricondusse a casa
guarito.
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171. A Vicalvi, la mano rattrappita di una donna,
per i meriti del padre santo, tornò simile all'altra.
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172. Nella città di Capua una donna aveva fatto
voto di visitare di persona il sepolcro del beato Francesco. Essa,
dimenticatasi per le preoccupazioni familiari, del voto fatto, perdette
all'improvviso l'uso della parte destra. Non le riusciva di voltare da alcuna
parte la testa e il braccio, per la contrazione dei nervi. E così tutta piena
di dolori stancava i suoi vicini col suo continuo ululato. Passarono allora
davanti alla sua casa due frati che, pregati da un sacerdote, entrarono dalla
poveretta. Essa confessata la dimenticanza del voto, e ricevuta da essi la
benedizione, in quelI'istante si alzò e, resa più saggia attraverso il castigo,
adempì senza indugio la promessa.
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173. Bartolomeo da Narni, mentre dormiva alI'ombra
di un albero, per un'insidia diabolica perdette l'uso di una gamba e di un
piede, ed essendo molto povero non sapeva e chi rivolgersi. Ma l'amico dei
poveri, Francesco, vessillifero di Cristo, gli apparve mentre dormiva e gli
ordinò di recarsi in un certo luogo. Tentò egli di trascinarsi fin là, ma
mentre sbagliava la strada, udì una voce che gli diceva: " La pace sia
con te! Io sono colui al quale tu ti sei votato! ". E lo condusse in
quel luogo e pose una mano, così gli parve, sul piede e l'altra sulla gamba; in
tal modo gli restituì l'uso delle membra che erano inaridite. Costui era allora
in età avanzata e per la durata di sei anni era rimasto così paralizzato.
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174. Molti prodigi simili operò san Francesco
mentre ancora viveva. Così passando una volta per la diocesi di Rieti, arrivò
ad un paese, nel quale una donna, tutta in lacrime, portava in braccio un
figlio di otto anni, che venne a deporre ai suoi piedi. Il fanciullo purtroppo
da quattro anni si era così gonfiato da non potersi guardare nemmeno le gambe.
Il Santo, ricevutolo con benevolenza, passò sul ventre di lui le sue santissime
mani. Al suo tocco, svanito il gonfiore, il bambino fu all'improvviso risanato,
e con la madre ormai felice, non finiva di ringraziare Dio e il suo Santo.
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175. Nella città di Tuscanella, un cavaliere che
dette ospitalità al beato Francesco, aveva un figlio unico zoppo e debole in
tutto il corpo. Benché avesse ormai trascorso gli anni dell'allattamento,
tuttavia dormiva ancora nella culla. Il cavaliere si prostrò umilmente ai piedi
del sant'uomo e gli domandò gemendo la salute del figlio. Il Santo si riteneva
e si diceva indegno di donare così grande grazia, ma tuttavia fu vinto
dall'insistenza delle sue invocazioni. Dopo aver pregato, segnò il fanciullo e
lo benedisse. Davanti a tutti i presenti pieni di gioia, il fanciullo si alzò
in piedi completamente guarito e poté camminare come voleva.
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176. Un'altra volta, il Santo giunse vicino a
Narni, dove c'era un uomo, di nome Pietro, paralitico e costretto al letto.
Questi sentendo che il Santo di Dio era là arrivato fece pregare il vescovo
della città, che si degnasse di mandare a lui il servo dell'Altissimo Iddio,
affinché lo risanasse. La paralisi delle sue membra era talmente avanzata, che
solo riusciva a muovere un poco la lingua e gli occhi. Il beato Francesco,
avvicinatosi a lui, gli tracciò un segno di croce dalla testa ai piedi, e
subito, fugato ogni male, lo restituì alla salute di prima.
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177. Presso Gubbio, una donna aveva ambedue le
mani contratte, e non poteva con esse far nulla. Venuto a sapere che l'uomo di
Dio era entrato in città, tutta mesta e piangente si precipitò da lui,
implorando compassione e mostrandogli le mani rattrappite. Egli, mosso da
pietà, toccò le sue mani e la risanò. La donna tornata subito a casa, preparò
tutta lieta con le proprie mani una torta di formaggio offrendola al sant'uomo.
Egli però ne accettò solo un poco per la profonda devozione della donna e le
ordinò di mangiare il resto con la famiglia.
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178. Una volta arrivò ospite alla città di Orte,
dove abitava un fanciullo, di nome Giacomo, da lungo tempo tutto rattrappito;
al cospetto del Santo, egli gli domandava insieme coi genitori la guarigione.
Per la lunga infermità aveva il capo applicato alle ginocchia e molte ossa
rotte. Ricevuto il segno della benedizione da san Francesco, in un istante
cominciò a sgrovigliarsi e perfettamente raddrizzato si trovò così pienamente
guarito.
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1000
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179. Un altro ahitante della stessa città, che
aveva tra le scapole un rigonfiamento della misura di una grossa pagnotta,
benedetto da san Francesco, fu pienamente liberato e non gli rimase alcun
segno.
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180. Nell'ospedale di Città di Castello, un
giovane da tutti conosciuto, era rattrappito da sette anni, e si trascinava per
terra al pari di una bestia. Per lui la madre assai spesso implorava san
Francesco, perché al figlio, ormai ridotto a strisciare, ritornasse l'andatura
normale. Il Santo, accettando la promessa ed esaudendo i gemiti della madre
implorante, sciolse il mostruoso groviglio delle membra e restituì il figlio
alla naturale scioltezza di movimenti.
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181. Prassede era quanto mai famosa fra le
religiose di Roma e del territorio romano. Fin dalla sua tenera infanzia, per
amore dell'Eterno Sposo, si era rinchiusa in un'angusta cella e vi rimaneva già
ormai da quarant'anni; essa godeva presso san Francesco di una speciale
amicizia. Infatti il Santo l'accolse nell'obbedienza, cosa che non aveva fatto
per nessun'altra donna, concedendole devotamente l'abito della Religione, ossia
la tonaca e il cordone. Salita un giorno per le sue faccende nel solaio della
sua celletta, a causa di un capogiro, cadde sfortunatamente a terra. Si
fratturò un piede e una gamba e in più si slogò una spalla. La vergine di
Cristo, nei molti anni passati, aveva voluto evitare la presenza di tutti e
ancora manteneva fermo l'impegno; ma, giacendo ora a terra come un tronco e non
accettando sollievo da alcuno, non sapeva dove rivolgersi. Per ordine di un
cardinale e su consiglio di religiosi, venne quindi esortata ad interrompere
quella clausura, per avvalersi dell'aiuto di qualche pia donna, ed evitare così
il pericolo di morte, possibile in quel frangente per incuria o negligenza. Ma
essa, rifiutando di accondiscendere alle loro domande, resisteva con tutte le
sue forze, perché non le accadesse sia pur di poco di violare il suo voto.
Quindi si volse supplichevole ai piedi della divina misericordia e verso sera
con pii lamenti, così implorava il beatissimo padre Francesco: " O mio
santissimo Padre, che ovunque soccorri benigno alle necessità di tanti, che
neppure conoscevi da vivo, perché non vieni in aiuto a me così infelice, a me
che ho meritato sia pure indegnamente, quando eri in vita, la tua dolcissima
amicizia? Infatti è necessario, come puoi ben vedere, o Padre, o mutare il
voto, o subire la morte! ".
Mentre
col cuore e con la bocca diceva queste cose e implorava la misericordiosa pietà
con ripetuti gemiti, colta da improvviso sonno, cadde come in un'estasi. Ed
ecco che il beatissimo padre, in candide vesti di gloria, sceso nelI'oscura
cella, cominciò con soavi accenti a parlare: " Alzati --disse--, o
figlia benedetta, alzati, non temere! ". " Ricevi il dono della
completa guarigione e mantieni la tua promessa inviolata! ". La prese per
mano, I'alzò e disparve. Essa intanto, girando qua e là per la celletta, non
capiva che cosa fosse in lei accaduto, per mezzo del servo di Dio. Credeva
ancora di vedere una visione. Infine affacciatasi alla finestra, fece il
solito cenno. Un monaco accorrendo da lei con molta sollecitudine, pieno di
meraviglia le chiese: " Cos'è accaduto, o madre, che sei riuscita ad
aizarti in piedi? ". Ma essa credendo ancora di sognare e non sapendo che
era lui, domandò che si accendesse il fuoco. Portato che fu il lume, ritornò
essa in sé, e non sentendo più alcun dolore narrò per ordine tutto ciò che era
accaduto.
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CAPITOLO XVIII
ALTRI MIRACOLI
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1003
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182. Nella diocesi di Magliano Sabino viveva una
vecchietta di ottant'anni, che aveva avuto due figlie, essa affidò da allattare
a quella rimasta viva il figlio della sorella morta prima. Quando anch'essa poi
concepì dal marito, rimase senza latte. Non v'era perciò nessuna che venisse in
soccorso al bimbo orfano, nessuna che potesse fornire al fanciullo affamato una
goccia di latte. La vecchia si lamentava e si tormentava per il nipotino e,
afflitta da estrema miseria, non sapeva dove rivolgersi. Il bambino si
indeboliva veniva meno e insieme a lui sembrava morire anche la nonna di
dolore. Vagava la vecchietta per vicoli e case e nessuno poteva evitare le sue
grida. Una notte, per calmare i vagiti, accostò le labbra del bambino alle sue
mammelle disseccate e tutta in lacrime invocò con insistenza l'aiuto e il
soccorso del beato Francesco. Subito le fu accanto quell'amico delI'età
innocente e con la consueta misericordia verso gli infelici, sentì compassione
per la vecchietta e disse: " Io sono quel Francesco, o donna, che tu hai
invocato con tante lacrime. Accosta le mammelle alle tenere labbra--egli
continuò --, poiché il Signore ti fornirà abbondante latte! ". Obbedì la
vecchia all'ordine del Santo e subito dalla mammella di una ottuagenaria uscì
gran quantità di latte. Il fatto venne conosciuto da tutti, poiché era
chiaramente visibile e destò meraviglia, mentre intanto la curva vecchietta
rinverdisce di giovanile ardore. Moltissimi accorsero a vedere; tra essi il
conte di quella provincia e ciò che non aveva creduto per sentito dire dovette
ammettere per sua personale esperienza. Infatti la rugosa vecchietta innaffiò
con un ruscello di latte il conte che voleva sapere del fatto, mettendolo in
fuga con tale aspersione. Allora, tutti benedicono il Signore che solo
compie grandi meraviglie e venerano con devoto ossequio il servo di lui san
Francesco. Crebbe presto il bambino per quel mirabile nutrimento ed in breve
superò le condizioni della sua età.
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183. Un uomo di nome Martino aveva condotto dei
buoi a pascolare fuori dal suo paese; uno di essi si spezzò una zampa in modo
tale che Martino non riusciva a trovare alcun rimedio. Mentre si preoccupava
come scuoiarlo, poiché non aveva nessuno con sé, fece ritorno a casa, affidando
alla custodia di san Francesco il bue, perché i lupi non lo divorassero prima
del suo ritorno. Di primo mattino, di ritorno con lo scuoiatore dal bue che
aveva lasciato nel hosco trovò l'animale che pascolava così pacificamente che
egli non sapeva distinguere la gamba fratturata dall'altra. Ringraziò il buon
pastore, che diligentemente si era preso cura del bue e gli aveva
offerto una medicina salutare.
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184. Un altro uomo di Amiterno aveva smarrito per
tre anni un suo giumento, sottrattogli per furto, rivolse allora le sue
preghiere al beato Francesco, e prosternato lo supplicò con lamento. Una notte,
addormentatosi, udì una voce che gli diceva: " Alzati, va a
Spoleto e di là riporterai il tuo giumento ". Si svegliò a quel richiamo
meravigliato, ma si riaddormentò. Richiamato nuovamente da una simile visione,
chiese chi mai fosse chi gli parlava: " Io sono, rispose la visione, quel
Francesco, che tu hai invocato ". Pensando che fosse un'allucinazione,
trascurò di seguire l'ordine. Chiamato poi per la terza volta, devotamente
obbedì; si recò a Spoleto e, ritrovato sano e salvo il giumento, avutolo senza
difficoltà, lo ricondusse a casa. Narrò questo fatto ovunque a tutti, e si mise
per sempre al servizio di san Francesco.
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185. Un popolano di Interdoclo, aveva comperato
un catino assai bello e lo aveva consegnato alla moglie perché lo custodisse
diligentemente. Un giorno la domestica della moglie prese il catino, vi pose
dentro dei panni da lavare con la lisciva. Ma sia per il calore del sole che per
quello della lisciva, il vaso si crepò tutto, sì che non si poteva più usare in
alcun modo. Impaurita, la domestica riporto il catino alla sua padrona,
spiegandole più con le lacrime, che con le parole quanto era accaduto. Quella,
non meno spaventata di lei, ed atterrita al pensiero dell'ira del marito, si
aspettava le percosse. Intanto nascose con premura il catino, invocò i meriti
di san Francesco ed implorò la grazia. All'istante per merito dei suffragi del
Santo, i cocci si ricongiunsero e il catino, rotto, si ripresentò intatto. Fu
grande la gioia per le vicine, che poc'anzi avevano avuto compassione per la
poveretta; la moglie poi per prima raccontò il fatto meraviglioso al marito.
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186. Un giorno, un uomo di Monte dell'Olmo nelle
Marche, mentre inseriva il vomere nell'aratro, si accorse che il vomere si era
rotto in pezzi. Si rattristò il contadino sia per la rottura del vomere che per
la giornata perduta, e piangeva non poco: " O beato Francesco--implorò--,
porta soccorso a me che confido nella tua misericordia! Donerò ogni anno ai
tuoi frati una misura di frumento e mi preoccuperò delle loro necessità, se
adesso avrò la prova della tua grazia, come innumerevoli altri hanno
esperimentato! ". Terminata la preghiera, il vomere si riaggiustò, il ferro
si ricongiunse senza che rimanesse alcun segno della rottura.
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187. Un chierico di Vicalvi, di nome Matteo,
bevuto un veleno mortale, fu così visibilmente leso, che non riusciva più a
parlare e aspettava ormai soltanto la fine. Un sacerdote che l'aveva
consigliato di confessarsi da lui, non riuscì a farlo parlare. Ma quello
pregava in cuor suo Cristo con umiltà perché lo liberasse per i meriti del
beato Francesco. Subito appena pronunciato con voce flebile il nome del beato
Francesco, alla presenza dei testimoni, vomitò il veleno.
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188. Il signor Trasmondo Anibaldi, console di
Roma al tempo in cui occupava la carica di podestà a Siena in Toscana, teneva
con sé un certo Niccolò assai caro e attento alle faccende della famiglia. Gli
scoppiò all'improvviso nella mascella una letale malattia, e i medici
prognosticavano prossima la sua morte. Mentre costui si era un poco assopito,
apparve la Vergine Madre del Cristo e gli ordinò di consacrarsi al beato
Francesco e di visitare senza indugio il suo sepolcro. Si alzò la mattina e
raccontò la visione al suo padrone, che, ammirato, volle farne subito la prova.
Venuto quindi ad Assisi, davanti alla tomba, riebbe tosto l'amico risanato.
Mirabile guarigione, ma ancor più mirabile degnazione della Vergine, che
soccorse l'infermo e innalzò i meriti del Santo.
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189. Ben sa questo Santo soccorrere tutti quelli
che lo invocano, né disdegna di sovvenire a qualsiasi necessità.
In
Spagna, presso San Facondo, un uomo aveva nel giardino un ciliegio, che
produceva copiosi frutti ogni anno e dava guadagno al suo cultore. Una volta
l'albero si seccò e si inaridì dalle radici. Il padrone voleva abbatterlo,
perché non occupasse più terreno, ma, consigliato da un vicino di
rimettere la cosa al beato Francesco, seguì il suggerimento. Quindi contro ogni
speranza, I'albero, in modo miracoloso a suo tempo verdeggiò, fiorì e mise
fronde, producendo frutti come prima. Da allora per riconoscenza di così grande
grazia, quell'uomo mandò sempre ai frati di quei frutti.
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190. A Villasilos, le viti erano rovinate
dall'invasione di vermi; gli abitanti allora chiesero consiglio a un frate
dell'Ordine dei predicatori per avere un rimedio a tale infestazione. Costui
suggerì loro di scegliere due santi di loro preferenza e di eleggerne uno
patrono per rimuovere tale piaga, essi scelsero san Francesco e san Domenico.
Tratta la sorte, la scelta cadde su san Francesco, ed allora quegli
uomini si rivolgono al suo aiuto e d'un tratto ogni invasione di vermi fu
allontanata. Onorano perciò il Santo con speciale devozione e venerano il suo
Ordine con grande affetto. Infatti ogni anno, per ringraziare di tanto
miracolo, fanno ai frati un'offerta particolare di vino.
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191. Presso Palencia, un sacerdote aveva un
granaio per conservare il frumento, ma esso ogni anno veniva invaso dai
gorgoglioni, cioè dai parassiti del frumento. Il sacerdote, turbato da così
grave danno, cercò un rimedio, ed affidò al beato Francesco la difesa del
granaio. Fatto ciò, di lì a poco, trovò fuori del granaio ammassati e morti
tutti i vermi, né da allora in poi ebbe a soffrire di tale infestazione. Quel
sacerdote poi, devoto per la grazia ricevuta, e non ingrato del beneficio, per
amore a san Francesco elargisce ogni anno ai poveri un'offerta di frumento.
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192. Ai tempi in cui una rovinosa invasione di
bruchi aveva devastato il regno della Puglia, il padrone di un castello, detto
Pietramala, raccomandò supplice la sua terra al beato Francesco. La terra, per
i meriti del Santo, risultò del tutto libera da quella rovinosa invasione,
mentre ogni cosa tutt'attorno veniva divorata da questa piaga.
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193. Una nobile signora del castello di Galete,
soffriva di una fistola fra le mammelle; afflitta dal dolore e dalI'odore poco
gradevole, non era riuscita a trovare alcun rimedio efficace. F.ssa un giorno
entrò per pregare in una chiesa dei frati, dove scorse un libretto che
conteneva la vita e i miracoli di san Francesco e curiosa di quanto vi fosse
scritto, lo sfogliò diligentemente. Quando colse il senso di quelle pagine,
piangendo, sollevò il libretto tenendolo aperto sulla parte ammalata ed
esclamò: " Come sono veri i fatti, che sono descritti in queste pagine, o
san Francesco, così adesso fa che per i tuoi santi meriti sia liberata da
questa piaga! ". E per qualche tempo pianse e insisté nella preghiera,
alI'improvviso, tolte le bende, si ritrovò guarita sì che da allora non si
scorse più nemmeno il segno della piaga.
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194. Una cosa simile avvenne anche dalle parti
della Romania ad un padre che implorò con devota preghiera san Francesco per il
figlio piagato da una grave ulcera. " Se sono veri i fatti, esclamò, o
Santo di Dio, che si raccontano di te in tutto il mondo, possa io esperimentare
in questo figlio, a lode di Dio, la clemenza della tua bontà ". Subito allora,
rottasi la benda, alla vista di tutti il pus eruppe dalla ferita e la carne del
bambino risultò così rimarginata che non restò alcun segno della passata
malattia.
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195. Mentre era ancora in vita il beato
Francesco, un frate era tormentato da una malattia così orrenda che le sue
membra si arrotolavano come in un cerchio. Infatti talvolta era reso tutto teso
e rigido, con i piedi all'altezza del capo, e veniva sbalzato in alto quanto è
alto un uomo e poi tutto ad un tratto ricadendo a terra, si avvoltolava con
la spuma alla bocca. Il santo padre, preso da viva compassione per il suo
tormento, dopo aver pregato per lui, con un segno di croce, lo guarì così
efficacemente che il malato in seguito non patì nessun fastidio di quella
infermità.
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196. Dopo la morte del beato padre, un altro
frate aveva nel basso ventre una fistola così grave, che ormai non c'era più
speranza di guarigione. Egli aveva chiesto al suo ministro il permesso di
visitare il luogo del beato Francesco, ma per timore che la fatica del viaggio
aggravasse la sua condizione, il permesso gli fu negato. Il frate perciò si
rattristò non poco. Gli apparve una notte il beato Francesco che gli disse:
" Non rattristarti più, figliuolo, ma getta via la pelle che indossi,
togli la medicazione dalla piaga; osserva la tua regola e subito ti troverai
guarito ". Egli, alzandosi la mattina, fece quanto il Santo gli aveva
ordinato e ottenne la immediata guarigione.
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197. Un uomo, essendo stato gravemente ferito in
testa da una freccia di ferro, non poteva ricevere alcun soccorso dai medici,
perché la freccia era entrata nel cavo dell'occhio rimanendo infissa nella
testa. Con supplice devozione il ferito si votò al beato Francesco; una volta,
mentre riposava un poco e si era assopito, udì il beato Francesco che gli
diceva, durante il sonno, che facesse sfilare la freccia dalla parte posteriore
della testa. Il giorno dopo fece come aveva udito durante il sonno e si trovò
liberato senza grande difficoltà .
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CAPITOLO XIX
CONCLUSIONE SUI MIRACOLI DEL BEATO FRANCESCO
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198. Poiché l'immensa pietà di Cristo Signore
conferma con l'opera dei miracoli come siano vere le cose che sono state
scritte e divulgate sul conto del suo Santo e padre nostro Francesco, e poiché
sembra assurdo assoggettare a umano giudizio ciò che è approvato dal miracolo,
io, umile figlio del Padre, supplico e domando a tutti che accolgano i miracoli
descritti con devozione e li ascoltino con riverenza. Benché siano narrati non
degnamente, sono tuttavia quanto mai degni d'ogni venerazione. non si disprezzi
quindi l'imperizia del relatore, ma se ne consideri piuttosto la fede, l'amore
e la fatica. Non possiamo ogni giorno produrre cose nuove, né mutare ciò che è
quadrato in rotondo, e neanche applicare alle varietà così molteplici di tanti
tempi e tendenze ciò che abbiamo ricevuto come unica verità. Certo non siamo
stati spinti a scrivere ciò per vanità, né ci siamo lasciati sommergere
dall'istinto della nostra volontà fra tanta diversità di espressioni, ma ci
spinsero al lavoro le pressioni e le richieste dei confratelli ed ancora
l'autorità dei nostri superiori ci condusse a portarlo a termine. Attendiamo la
ricompensa da Cristo Signore, e a voi, fratelli e padri, chiediamo comprensione
ed amore. Così sia! Amen.
Il libro è finito.
Sia lode e gloria a Cristo.
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