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VITA SECONDA
DI SAN
FRANCESCO D'ASSISI
di Tommaso da
Celano
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PROLOGO
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Nel nome del
Signore nostro Gesù Cristo. Amen
Al ministro
generale
dell'Ordine dei
frati minori
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1. La venerata
assemblea dell'ultimo Capitolo generale e vostra Paternità reverendissima,
assistiti da Dio, hanno creduto bene di ordinare a noi, per quanto incapaci, di
scrivere i fatti e persino le parole del glorioso nostro padre Francesco, a
conforto dei presenti ed a memoria dei posteri. Noi l'abbiamo potuto conoscere
meglio degli altri per lunga esperienza, frutto di assidua comunione di vita e
di scambievole familiarità. Perciò ci siamo affrettati ad obbedire con umile
devozione, perché non possiamo in alcun modo trasgredire questi ordini santi.
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Ma, ad un esame
più attento delle nostre deboli forze, abbiamo giusto timore che una materia di
tanta importanza, se non viene esposta come merita, per colpa nostra, possa
dispiacere agli altri. Temiamo infatti che questo cibo gustosissimo diventi
insipido per l'incapacità di chi lo prepara, e che il nostro tentativo possa
essere imputato più a presunzione che ad obbedienza.
Se fosse soltanto la vostra
benevolenza, o beato padre, a giudicare il frutto di un così notevole impegno,
e non fosse destinato al pubblico, accoglieremmo con animo gratissimo ogni
suggerimento di rettifica oppure la gioia dell'approvazione. Infatti, chi in
tanta varietà di parole e di fatti potrebbe soppesare ogni cosa con bilancia di
precisione, in modo che risultino tutti concordi sui singoli punti quanti ne
vengono a conoscenza?
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Ma, poiché
desideriamo sinceramente il bene di tutti e di ciascuno, preghiamo i lettori a
voler giudicare con benevolenza, e a compatire o a supplire la semplicità di
chi riferisce i fatti, in modo che la stima dovuta alla persona di cui parliamo
rimanga sempre intatta.
La nostra memoria di persone
incolte, resa labile dal correre del tempo, non è in grado di ritrarre
esattamente i voli di parole sublimi né le meraviglie delle sue azioni: a
fatica le potrebbe afferrare una mente pronta ed esercitata, anche se
accadessero in quel momento. Pertanto l'autorità di chi ce lo ha ordinato
ripetutamente, valga a scusare presso tutti i difetti dovuti alla nostra
incapacità.
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2. Questo libro contiene anzitutto alcuni episodi
meravigliosi relativi alla conversione di Francesco, che non sono stati inseriti
nelle Vite già composte, perché non erano stati portati a conoscenza
dell'autore.
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Vogliamo inoltre
esporre e mettere in luce, con attenzione e precisione, ciò che il santissimo
padre Francesco ha voluto per sé ed i suoi--il suo ideale generoso, amabile,
perfetto--in ogni esercizio della scienza celeste, e alla ricerca amorosa
della più alta perfezione: ciò che fu sempre oggetto delle sue effusioni sante
davanti a Dio e dei suoi esempi davanti agli uomini. Abbiamo inserito, qua e
là, alcuni miracoli secondo l'opportunità. Infine, scriviamo quanto ci riporta
la memoria con stile semplice e dimesso, desiderosi di andare incontro a chi è
meno agile di mente, ed anche, se possibile, di piacere ai dotti.
Vi preghiamo dunque,
benignissimo padre, di volere consacrare con la vostra benedizione questi doni,
piccoli ma non indifferenti, del nostro lavoro, frutto di non poche e laboriose
ricerche; come pure di correggere gli errori e togliere il superfluo, in modo
che quanto, a vostro autorevole giudizio, sarà riconosciuto esatto, col vostro
nome, veramente Crescenzio, cresca ovunque e si moltiplichi in Cristo. Amen.
Qui finisce il
prologo
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PARTE PRIMA
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Incomincia il
"
Memoriale nel desiderio dell'anima "
delle azioni e
delle parole
del santissimo
nostro padre Francesco
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LA SUA CONVERSIONE
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CAPITOLO I
PRIMA VIENE CHIAMATO GIOVANNI, POI FRANCESCO.
PROFEZIE DELLA
MADRE E PREDIZIONI
DI LUI STESSO A
SUO RIGUARDO.
SUA PAZIENZA NELLA
PRIGIONIA
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583
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3. Il servo e
amico dell'Altissimo, Francesco, ebbe questo nome dalla divina Provvidenza,
affinché per la sua originalità e novità si diffondesse più facilmente in tutto
il mondo la fama della sua missione. La madre lo aveva chiamato Giovanni,
quando rinascendo dall'acqua e dallo Spirito Santo, da figlio d'ira era
divenuto figlio della grazia.
Specchio di rettitudine, quella
donna presentava nella sua condotta, per così dire, un segno visibile della sua
virtù. Infatti, fu resa partecipe, come privilegio, di una certa somiglianza
con l'antica santa Elisabetta, sia per il nome imposto al figlio, sia anche per
lo spirito profetico. Quando i vicini manifestavano la loro ammirazione per la
generosità d'animo e l'integrità morale di Francesco, ripeteva, quasi
divinamente ispirata: " Cosa pensate che diverrà, questo mio
figlio? Sappiate, che per i suoi meriti diverrà figlio di Dio ".
In realtà, era questa l'opinione
anche di altri, che apprezzavano Francesco, già grandicello, per alcune sue
inclinazioni molto buone. Allontanava da sé tutto ciò che potesse suonare
offesa a qualcuno e, crescendo con animo gentile, non sembrava figlio di quelli
che erano detti suoi genitori.
Perciò il nome di Giovanni
conviene alla missione che poi svolse, quello invece di Francesco alla sua
fama, che ben presto si diffuse ovunque, dopo la sua piena conversione a Dio.
Al di sopra della festa di ogni altro santo, riteneva solennissima quella di
Giovanni Battista, il cui nome insigne gli aveva impresso nell'animo un segno
di arcana potenza.
Tra i nati di donna non sorse
alcuno maggiore di quello, e nessuno
più perfetto di questo tra i fondatori di Ordini religiosi. È una coincidenza
degna di essere sottolineata.
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4. Giovanni
profetò chiuso ancora nel segreto dell'utero materno, Francesco predisse il
futuro da un carcere terreno, ignaro ancora del piano divino.
Si combatteva tra Perugia ed
Assisi. In uno scontro sanguinoso Francesco fu fatto prigioniero assieme a
molti altri e, incatenato, fu gettato con loro nello squallore del carcere. Ma,
mentre i compagni muoiono dalla tristezza e maledicono la loro prigionia,
Francesco esulta nel Signore, disprezza e irride le catene. Afflitti come sono,
lo rimproverano di essere pieno di gioia anche nel carcere, e lo giudicano
svanito e pazzo. Ma Francesco risponde con tono profetico: "Di cosa pensate
che io gioisca? Ben altro è il mio pensiero: un giorno sarò venerato come santo
in tutto il mondo". In realtà è così: si è avverato completamente ciò che
ha predetto.
Vi era tra i compagni di
prigionia un cavaliere superbo, un caratteraccio insopportabile. Tutti cercano
di emarginarlo, ma la pazienza di Francesco non si spezza: a furia di
sopportare quell'intrattabile, ristabilisce la pace fra tutti. Era un animo
capace di ogni grazia e, fino da allora, come vaso eletto di
virtù, esalava attorno i suoi carismi.
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CAPITOLO II
RIVESTE UN
CAVALIERE POVERO, ED ANCORA SECOLARE
HA UNA VISIONE RELATIVA ALLA SUA VOCAZIONE
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5. Fu liberato
dalla prigione poco tempo dopo e divenne più compassionevole con i bisognosi.
Propose anzi di non respingere nessun povero, chiunque fosse e gli chiedesse
per amor di Dio.
Un giorno incontrò un cavaliere
povero e quasi nudo: mosso a compassione, gli cedette generosamente, per amor
di Cristo, le proprie vesti ben curate, che indossava.
È stato, forse, da meno il suo
gesto di quello del santissimo Martino? Eguali sono stati il fatto e la
generosità, solo il modo è diverso: Francesco dona le vesti prima del resto
quello invece le dà alla fine, dopo aver rinunciato a tutto. Ambedue sono
vissuti poveri ed umili in questo mondo e sono entrati ricchi in cielo. Quello,
cavaliere ma povero, rivestì un povero con parte della sua veste, questi, non
cavaliere ma ricco, rivestì un cavaliere povero con la sua veste intera.
Ambedue, per aver adempiuto il comando di Cristo, hanno meritato di essere, in
visione, visitati da Cristo, che lodò l'uno per la perfezione raggiunta e
invitò l'altro, con grandissima bontà, a compiere in se stesso quanto ancora
gli mancava.
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6. Infatti, subito
dopo, gli appare in visione uno splendido palazzo, in cui scorge armi di ogni
specie ed una bellissima sposa. Nel sonno, Francesco si sente chiamare per nome
e lusingare con la promessa di tutti quei beni. Allora, tenta di arruolarsi per
la Puglia e fa ricchi preparativi nella speranza di essere presto insignito del
grado di cavaliere. Il suo spirito mondano gli suggeriva una interpretazione
mondana della visione, mentre ben più nobile era quella nascosta nei tesori
della sapienza di Dio.
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E infatti un'altra
notte, mentre dorme, sente di nuovo una voce, che gli chiede premurosa dove
intenda recarsi. Francesco espone il suo proposito, e dice di volersi recare in
Puglia per combattere. Ma la voce insiste e gli domanda chi ritiene possa
essergli più utile, il servo o il padrone.
" Il padrone ",
risponde Francesco.
" E allora--riprende la
voce--perché cerchi il servo in luogo del padrone? ".
E Francesco: " Cosa vuoi
che io faccia, o Signore? ".
" Ritorna--gli
risponde il Signore-- alla tua terra natale, perché per opera mia si
adempirà spiritualmente la tua visione ". Ritornò senza indugio, fatto
ormai modello di obbedienza e trasformato col rinnegamento della sua volontà da
Saulo in Paolo. Quello venne gettato a terra e sotto i duri colpi disse parole
soavi, Francesco invece mutò le armi mondane in quelle spirituali, ed in luogo
della gloria militare ricevette una investitura divina. Così a quanti--ed erano
molti--si stupivano della sua letizia inconsueta, rispondeva che sarebbe
divenuto un gran principe.
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CAPITOLO III
UNA COMPAGNIA DI
GIOVANI
LO ELEGGE SUO SIGNORE
PER UN BANCHETTO.
SUA TRASFORMAZIONE
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7. Cominciò a
trasformarsi in uomo perfetto, del tutto diverso da quello di prima. Ma,
ritornato a casa, i figli di Babilonia ripresero a seguirlo, e sebbene
contro sua volontà, lo trascinarono su una strada ben diversa da quella che
egli intendeva percorrere. La compagnia dei giovani di Assisi, che un tempo lo
avevano avuto guida della loro spensieratezza cominciò di nuovo a invitarlo ai
banchetti, nei quali si indulge sempre alla licenza ed alla scurrilità. Lo
elessero re della festa, perché sapevano per esperienza che, nella sua
generosità, avrebbe saldato le spese per tutti. Si fecero suoi sudditi per
sfamarsi ed accettarono di ubbidire, pur di saziarsi. Francesco non
rifiutò l'onore offertogli, per non essere bollato come avaro, e pur
continuando nelle sue devote meditazioni, non dimenticò la cortesia. Preparò un
sontuoso banchetto con abbondanza di cibi squisiti: quando furono pieni sino
al vomito, si riversarono nelle piazze della città insudiciandole
con le loro canzoni da ubriachi.
Francesco li seguiva, tenendo in
mano come signore lo scettro. Ma poiché da tempo con tutto l'animo si era reso
completamente sordo a quelle voci e cantava in cuor suo al Signore, se ne
distaccò a poco a poco anche col corpo. Allora, come riferì egli stesso, fu
inondato di tanta dolcezza divina, da non potersi assolutamente muovere né
parlare. Lo pervase un tale sentimento interiore che trascinava il suo spirito
alle cose invisibili, facendogli giudicare di nessuna importanza, assolutamente
frivola ogni cosa terrena.
Veramente stupenda è la bontà
del Signore, che elargisce magnifici doni a chi compie le più umili azioni; che
salva e fa progredire, anche nei gorghi dell'inondazione, ciò che gli
appartiene. Cristo infatti nutrì con pani e pesci le folle, non rifiutò
ai peccatori la sua mensa. Quando lo richiesero come re, fuggì e salì
sul monte a pregare.
Sono misteri di Dio questi, che
Francesco asseconda ed anche a sua insaputa è portato alla sapienza perfetta.
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CAPITOLO IV
VESTITO DA POVERO,
MANGIA CON I POVERI
DAVANTI ALLA
CHIESA DI SAN PIETRO
E LA SUA OFFERTA
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8. Fino da
allora dimostrava di amare intensamente i poveri e questi inizi lodevoli
lasciavano prevedere cosa sarebbe stato, una volta giunto a perfezione. Spesso
si spogliava per rivestire i poveri, ai quali cercava di rendersi simile, se
non ancora a fatti almeno con tutto l'animo. Si recò una volta in
pellegrinaggio a Roma, e, deposti, per amore di povertà, i suoi abiti fini, si
ricoprì con gli stracci di un povero. Si sedette quindi pieno di gioia tra i
poveri, che sostavano numerosi nell'atrio, davanti alla chiesa di San Pietro e,
ritenendosi uno di essi, mangiò con loro avidamente. Avrebbe ripetuto più e più
volte azioni simili, se non gli avessero incusso vergogna i conoscenti. Si
accostò poi all'altare del Principe degli Apostoli e, stupito delle misere
offerte dei pellegrini, gettò là denaro a piene mani. Voleva, con questo gesto,
indicare che tutti devono onorare in particolare modo colui che Dio stesso ha
onorato al di sopra degli altri.
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Spesso, anche ai
sacerdoti poverelli donava arredi sacri e rendeva a tutti, pur di infimo
grado, il debito onore. Ed è chiaro: aderendo in modo totale alla fede
cattolica e destinato ad assumere la missione apostolica, fu, sin dal
principio, pieno di riverenza per i ministeri sacri e i ministri di Dio.
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CAPITOLO V
MENTRE È IN
PREGHIERA,
IL DEMONIO GLI
MOSTRA UNA DONNA
E QUALE FU LA
RISPOSTA DEL SIGNORE.
IL SUO
COMPORTAMENTO CON I LEBBROSI
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9. Così
facendo, Francesco, benché ancora in abito secolare, aveva già un animo
religioso. Lasciava i luoghi pubblici e frequentati, desideroso della
solitudine, e qui, spessissimo era ammaestrato dalla visita dello Spirito
Santo. Era infatti strappato via e attratto da quella sovrana dolcezza che lo
pervase fin da principio in un modo così pieno, da non lasciarlo più finché
visse.
Ma, mentre frequentava luoghi
appartati, ritenendoli adatti alla preghiera, il diavolo tentò di allontanarlo
con una astuzia maligna. Gli raffigurò nel cuore una donna, sua concittadina,
mostruosamente gibbosa: aveva un tale aspetto da suscitare orrore a tutti. E lo
minacciò di renderlo uguale se non la piantava coi suoi propositi. Ma,
confortato dal Signore, ebbe la gioia di una risposta piena di grazia e di
salvezza: "Francesco,--gli disse Dio in
spirito--lascia ormai i piaceri mondani e vani per quelli spirituali, preferisci
le cose amare alle dolci e disprezza te stesso, se vuoi conoscermi. Perché
gusterai ciò che ti dico, anche se l'ordine è capovolto". Subito, si sentì
come indotto a seguire il comando del Signore e spinto a farne la prova.
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Fra tutti gli
orrori della miseria umana, Francesco sentiva ripugnanza istintiva per i
lebbrosi. Ma, ecco, un giorno ne incontrò proprio uno, mentre era a cavallo nei
pressi di Assisi. Ne provò grande fastidio e ribrezzo; ma per non venire meno
alla fedeltà promessa, come trasgredendo un ordine ricevuto, balzò da cavallo e
corse a baciarlo. E il lebbroso, che gli aveva steso la mano, come per ricevere
qualcosa, ne ebbe contemporaneamente denaro e un bacio. Subito risalì a
cavallo, guardò qua e là - la campagna era aperta e libera tutt'attorno da
ostacoli - , ma non vide più il lebbroso. Pieno di gioia e di ammirazione, poco
tempo dopo volle ripetere quel gesto: andò al lebbrosario e, dopo aver dato a
ciascun malato del denaro, ne baciò la mano e la bocca.
Così preferiva le cose amare
alle dolci, e si preparava virilmente a mantenere gli altri propositi.
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CAPITOLO VI
UNA IMMAGINE DEL
CROCIFISSO GLI PARLA
ED EGLI LE RENDE ONORE
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10. Era già del
tutto mutato nel cuore e prossimo a divenirlo anche nel corpo, quando, un
giorno, passò accanto alla chiesa di San Damiano, quasi in rovina e abbandonata
da tutti. Condotto dallo Spirito, entra a pregare, si prostra supplice e devoto
davanti al Crocifisso e, toccato in modo straordinario dalla grazia divina, si
ritrova totalmente cambiato. Mentre egli è così profondamente commosso,
all'improvviso--cosa da sempre inaudita!--l'immagine di Cristo
crocifisso, dal dipinto gli parla, movendo le labbra, " Francesco, - gli dice chiamandolo per nome - va',
ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina ". Francesco è
tremante e pieno di stupore, e quasi perde i sensi a queste parole. Ma subito
si dispone ad obbedire e si concentra tutto su questo invito. Ma, a dir vero,
poiché neppure lui riuscì mai ad esprimere la ineffabile trasformazione che
percepì in se stesso, conviene anche a noi coprirla con un velo di silenzio.
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Da quel momento si
fissò nella sua anima santa la compassione del Crocifisso e, come si può
piamente ritenere, le venerande stimmate della Passione, quantunque non ancora
nella carne, gli si impressero profondamente nel cuore.
11. Cosa meravigliosa, mai
udita! chi non è colpito da meraviglia? E chi, o quando mai ha udito qualcosa
di simile? Nessuno potrà dubitare che Francesco, prossimo a tornare alla sua
patria, sia apparso realmente crocifisso, visto che con nuovo e incredibile
miracolo Cristo gli ha parlato dal legno della Croce, quando--almeno all'esterno--non
aveva ancora del tutto rinunciato al mondo! Da quel momento, appena gli
giunsero le parole del Diletto il suo animo venne meno. Più tardi, l'amore
del cuore si rese palese mediante le piaghe del corpo.
Inoltre, da
allora, non riesce più a trattenere le lacrime e piange anche ad alta voce la
passione di Cristo, che gli sta sempre davanti agli occhi. Riempie di gemiti le
vie, rifiutando di essere consolato al ricordo delle piaghe di Cristo. Incontrò
un giorno, un suo intimo amico, ed avendogli manifestato la causa del dolore,
subito anche questi proruppe in lacrime amare.
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Intanto si prese
cura di quella immagine, e si accinse, con ogni diligenza, ad eseguirne il
comando. Subito offrì denaro ad un sacerdote, perché provvedesse una lampada e
l'olio, e la sacra immagine non rimanesse priva, neppure per un istante,
dell'onore, doveroso, di un lume. Poi, si dedicò con impegno al resto,
lavorando con intenso zelo a riparare la chiesa. Perché, quantunque il comando
del Signore si riferisse alla Chiesa acquistata da Cristo col proprio sangue,
non volle di colpo giungere alla perfezione dell'opera, ma passare a grado a
grado dalla carne allo spirito.
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CAPITOLO VII
LA PERSECUZIONE
DEL PADRE E DEL FRATELLO
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12. Quando il
padre lo vide perseverare nelle opere di bontà, cominciò a perseguitarlo ed a
straziarlo, ovunque lo incontrasse, con maledizioni. Allora il servo di Dio
chiamò un uomo di umile condizione e semplice assai, e lo pregò che, facendo le
veci del padre, quando questi moltiplicava le sue maledizioni egli di rimando
lo benedicesse. Così tradusse in pratica e dimostrò con i fatti cosa significhi
la parola del Salmista: Essi malediranno e tu benedirai.
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Dietro consiglio
del vescovo della città, uomo molto pio che non riteneva giusto utilizzare per
usi sacri denaro di male acquisto, I'uomo di Dio restituì al padre la somma,
che voleva spendere per il restauro della chiesa. E davanti a molti che si
erano lì riuniti e in ascolto: " D'ora in poi, --esclamò--potrò dire
liberamente: Padre nostro, che sei nei cieli, non padre Pietro di
Bernardone. Ecco, non solo gli restituisco il denaro, ma gli rendo pure tutte
le vesti. Così, andrò nudo incontro al Signore ".
O anima nobile di un uomo, al
quale ormai basta solo Cristo! Si accorsero allora che l'uomo di Dio, sotto le
vesti portava il cilizio, gioioso non tanto di apparire quanto di essere
virtuoso.
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Anche il fratello,
seguendo l'esempio del padre, lo investiva con parole velenose. Un mattino,
d'inverno, vide Francesco intento a pregare, coperto di poveri cenci e tutto
tremante di freddo. E rivolto, quel perverso, ad un concittadino, gli disse:
" Di' a Francesco che ti venda un soldo di sudore ". "Lo venderò
sì, io, a ben caro prezzo al mio Signore ", rispose molto allegro e
sorridente l'uomo di Dio, che l'aveva udito.
Niente di più vero! Perché ha guadagnato in
questo mondo non solo cento, ma mille volte tanto, e nell'altro ha ottenuto per
sé e per molti la vita eterna.
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CAPITOLO VIII
SUPERA LA VERGOGNA
E PROFETIZZA
A RIGUARDO DELLE
POVERE VERGINI
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13. Da allora si
adopera a trasformare il suo tenore di vita, rendendolo, da raffinato austero e
a riportare alla bontà naturale il suo corpo un po' infrollito.
Un giorno andava per le vie
d'Assisi mendicando olio per le lampade di San Damiano, la chiesa che stava
allora riparando. Sul punto di entrare in una casa, vedendo davanti alla porta
un gruppo di amici che giocava, rosso di vergogna, si ritirò. Ma, volgendo il
suo nobile spirito al cielo si rinfacciò tanta viltà e divenne giudice severo
di se stesso. All'istante, ritorna alla casa e, dopo aver esposto con voce
sicura a tutti il motivo della sua vergogna, quasi inebriato di spirito, chiede
in lingua francese l'olio di cui ha bisogno e l'ottiene..
Animava
tutti, con grande zelo, a restaurare quella chiesa, e sempre parlando in
francese predisse chiaramente, davanti a tutti, che lì accanto sarebbe sorto un
monastero di vergini consacrate a Cristo. Del resto, ogni volta che era pieno
dell'ardore dello Spirito Santo, parlava in lingua francese per esprimere il
calore esuberante del suo cuore, quasi prevedendo che sarebbe stato venerato da
quel popolo con particolare onore e devozione.
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CAPITOLO IX
CERCA Dl PORTA IN
PORTA LA CARITA'
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14. Da quando
iniziò a servire al Signore di tutti, amò sempre di fare le cose comuni,
evitando ovunque la singolarità, sentina di tutti i vizi. Mentre attendeva con
grande impegno a riparare la chiesa, come Cristo gli aveva ordinato, era
passato da una vita contrassegnata dalla delicatezza ad una di sacrificio e
dedita al lavoro. Il sacerdote, che curava la chiesa, vedendolo stremato
dall'assidua fatica, commosso, cominciò a passargli ogni giorno qualcosa del
suo vitto, anche se non molto saporito, perché era povero. Ma Francesco, pur
comprendendo ed apprezzando la delicata bontà del sacerdote disse a se stesso:
"Non troverai sempre questo sacerdote che ti somministri tali cibi. Né è
bene assuefarti a questo tenore di vita: ritorneresti gradatamente a ciò che
hai disprezzato, per finire di nuovo nella mollezza. Levati dunque, presto, e
chiedi di porta in porta un po' di companatico". Così, se ne andò per
Assisi, chiedendo di porta in porta qualche cibo cotto. Quando vide la scodella
piena dei più diversi rimasugli, da prima sentì un brivido di orrore; ma, poi, ricordatosi
del Signore, vinse se stesso e mangiò quel guazzabuglio con gaudio dello
spirito. Tutto lenisce l'amore e rende assolutamente dolce ciò che è amaro.
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CAPITOLO X
FRATE BERNARDO
RINUNCIA AI SUOI BENI
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15. Bernardo, un
cittadino di Assisi, che poi divenne figlio di perfezione, volendo seguire il
servo di Dio nel disprezzo totale del mondo, lo scongiurò umilmente di dargli
il suo consiglio. Gli espose dunque il suo caso: "Padre, se uno dopo avere
a lungo goduto dei beni di qualche signore, non li volesse più tenere, cosa
dovrebbe farne, per agire nel modo più perfetto?". Rispose l'uomo di Dio:
"Deve restituirli tutti al padrone, da cui li ha ricevuti". E
Bernardo: "So che quanto possiedo mi è stato dato da Dio e, se tu me lo
consigli, sono pronto a restituirgli tutto". Replicò il Santo: "Se
vuoi comprovare coi fatti quanto dici, appena sarà giorno, entriamo in chiesa
prendiamo il libro del Vangelo e chiediamo consiglio a Cristo".
Venuto il mattino, entrano in
una chiesa e, dopo aver pregato devotamente, aprono il libro del Vangelo,
disposti ad attuare il primo consiglio che si offra loro. Aprono il libro, e il
suo consiglio Cristo lo manifesta con queste parole: Se vuoi essere
perfetto, va', vendi quanto possiedi e dallo ai poveri. Ripetono il gesto,
e si presenta il passo: Non prendete nulla per il viaggio. Ancora una
terza volta, e leggono: Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso.
Senza indugio Bernardo eseguì tutto e non tralasciò neppure un iota.
Molti altri, in breve tempo, si liberarono dalle mordacissime cure del mondo e,
sotto la guida di Francesco, ritornarono all'infinito bene nella patria vera.
Ma sarebbe troppo lungo dire come ciascuno abbia raggiunto il premio della
chiamata divina.
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CAPITOLO XI
LA PARABOLA CHE
EGLI RACCONTÒ AL SIGNOR PAPA
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16. Quando si
presentò con i compagni a papa Innocenzo per chiedergli l'approvazione della
sua regola di vita, questi giudicò l'ideale che si era prefisso superiore alle
forze umane. Ma, da uomo prudentissimo com'era, gli disse: "Prega, figlio
mio, Cristo perché ci manifesti, per mezzo tuo, la sua volontà e, una volta
conosciutala, possiamo acconsentire con più sicurezza ai tuoi pii
desideri".
Il Santo obbedì al comando del
sommo Pastore e ricorse con tutta fiducia a Cristo. Pregò con insistenza ed
esortò pure i compagni a supplicare devotamente Dio. In breve, mentre pregava
ottenne la risposta e comunicò ai figli novità salutari. Vennero così a sapere
che Cristo gli aveva detto familiarmente, in parabola: "Francesco, dirai
al Papa così:--Viveva in un deserto una donna povera, ma molto bella. Un re se
ne innamorò per il suo incantevole aspetto, strinse relazione con lei
gioiosamente e ne ebbe figli bellissimi. Una volta adulti ed educati
nobilmente, la madre disse loro: "Non vergognatevi, o miei diletti, per il
fatto di essere poveri, perché siete tutti figli di quel grande re. Andate
dunque gioiosi alla sua corte e chiedetegli quanto vi occorre".
Meravigliati e lieti a quelle parole, animati dall'assicurazione di essere di
stirpe reale e futuri eredi, stimarono ricchezza la loro estrema povertà, e si
presentarono al re con fiducia e senza paura, perché nel volto riproducevano il
suo volto. Vedendo che gli rassomigliavano, il re chiese, meravigliato di chi
fossero figli. Ed avendogli risposto che erano figli di quella donna povera e
sola nel deserto, li abbracciò: "Siete figli miei ed eredi; non abbiate
timore; perché, se alla mia mensa si nutrono estranei, è certamente più giusto
che si nutrano quelli che hanno diritto a tutta l'eredità". Ordinò poi
alla donna di mandare alla sua corte tutti i figli generati da lui, perché vi
fossero allevati". Il Santo, traboccante di gioia a motivo della parabola,
riferì subito al Papa il solenne oracolo.
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603
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17. La.donna
simboleggia Francesco, non per la mollezza della condotta, ma per i numerosi
suoi figli. Il deserto è il mondo, allora incolto e sterile di virtù.
L'abbondante e splendida figliolanza è il copioso numero di frati, ricchi di
ogni virtù. Il re: il Figlio di Dio e a lui corrispondono nell'aspetto,
somiglianti per la santa povertà, quelli, che, messo da parte ogni rossore, si
sfamano alla mensa del re: contenti della imitazione di Cristo, vivendo di
elemosina, pur attraverso il disprezzo del mondo, sanno che un giorno saranno
felici.
Il
Papa ascoltò con meraviglia la parabola e riconobbe senza incertezze che Cristo
aveva parlato in quell'uomo. Si ricordò di un sogno fatto pochi giorni prima e
illuminato dallo Spirito Santo, affermò che si sarebbe realizzato proprio in
lui. Aveva sognato infatti che la Basilica del Laterano stava per crollare e
che un religioso, piccolo e spregevole, la puntellava con le sue spalle, perché
non cadesse. "Ecco, pensò: questi è colui che con l'azione e la parola
sosterrà la Chiesa di Cristo".
È questo il motivo, per cui il
signor Papa assecondò con tanta facilità la sua domanda e, da quel momento,
anima veramente piena di Dio, amò sempre il servo di Cristo con particolare
benevolenza. Esaudì subito le richieste, e promise amabilmente che avrebbe
aggiunto più importanti concessioni.
Francesco, allora, usando della
facoltà concessagli, cominciò a spargere semi di virtù, predicando con maggior
fervore tutt'attorno, per città e villaggi.
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SANTA MARIA DELLA PORZIUNCOLA
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CAPITOLO XII
L'AMORE DEL SANTO
E DELLA BEATA VERGINE
PER QUESTO LUOGO.
COME I FRATI Vl ABITAVANO
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18. Il servo di
Dio, Francesco, piccolo di statura, umile di spirito e minore di professione,
mentre viveva qui sulla terra scelse per sé e per i suoi una piccola porzione
di mondo: altrimenti, senza usare nulla di questo mondo, non avrebbe potuto
servire Cristo. E furono di certo ispirati da Dio quelli che, anticamente,
chiamarono Porziuncola il luogo che toccò in sorte a coloro che non volevano
assolutamente possedere nulla su questa terra.
Sorgeva in questo luogo una
chiesa dedicata alla Vergine Madre, che, per la sua particolare umiltà,.
meritò, dopo il Figlio, di essere Sovrana di tutti i Santi. Qui ebbe inizio
l'Ordine dei minori, e s'innalzò ampia e armoniosa, come poggiata su fondamento
solido, la loro nobile costruzione Il Santo amò questo luogo più di ogni altro,
e comandò ai frati di venerarlo con particolare devozione. Volle che fosse
sempre custodito come specchio dell'Ordine in umiltà e altissima povertà,
riservandone ad altri la proprietà e ritenendone per sé ed i suoi soltanto
l'uso.
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19. Vi era
osservata in tutto una rigidissima disciplina: nel silenzio e nel lavoro, come
pure in tutti gli altri ordinamenti della vita regolare. Nessun frate poteva
entrarvi liberamente, se non quelli espressamente incaricati: raccolti qui da
ogni parte, il Santo li voleva esempio di devozione a Dio e perfetti in tutto.
Era assolutamente vietato l'accesso ad ogni secolare. Non voleva che i frati
che qui abitavano--in numero ristretto--fossero solleticati dal prurito di
notizie mondane e, interrompendo la contemplazione dei beni celesti, fossero
trascinati dai cicaloni ad occuparsi delle cose terrene. Non era permesso ad
alcuno dire, in questo luogo, parole oziose, né riferire quelle dette da altri.
Se uno, a volte, mancava in questo, veniva messo in guardia a non ripeterlo mai
più da un castigo salutare. I frati che vi dimoravano, erano impegnati giorno e
notte nelle lodi divine, e conducevano una vita angelica, fragrante di soave
odore.
E giustamente. Perché il luogo,
a detta degli antichi abitanti, era chiamato, con altro nome, Santa Maria degli
Angeli. Il Padre diceva di sapere per divina rivelazione che
la beata Vergine, fra tutte le chiese innalzate a suo onore, amava quella con
particolare predilezione; e perciò il Santo la preferiva a tutte le altre.
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CAPITOLO XIII
UNA VISIONE
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20. Un santo
frate, prima della sua conversione, aveva avuto, a proposito di Santa Maria
degli Angeli una visione degna di essere riferita. Stava osservando
innumerevoli uomini, che con gli occhi dolorosamente spenti e la faccia rivolta
al cielo, erano inginocchiati attorno alla detta chiesa. Tutti, con voce di
pianto e le mani protese in alto, gridavano a Dio, chiedendo luce e
misericordia. Ed ecco, scese dal cielo uno splendore, che irradiandosi su
tutti, donò a ciascuno la luce e la salvezza desiderata.
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TENORE DI VITA DI SAN FRANCESCO E DEI FRATI
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CAPITOLO XIV
IL RIGORE DELLA
DISCIPLINA
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21. Il coraggioso
soldato di Cristo non aveva mai alcun riguardo per il suo corpo e lo esponeva, come
non suo, a tutte le asprezze sia di fatti che di parole. Chi volesse
enumerare ciò che ha patito, supererebbe l'elenco dello scritto apostolico, nel
quale vengono narrate le sofferenze dei Santi. E, allo stesso modo, anche i suoi
primi discepoli, senza eccezione, si sottoponevano a tutti i disagi, cosi da
ritenere addirittura peccato l'aspirare ad altro che alle consolazioni
spirituali. Indossavano, come fosse un vestito, corsaletti e cinture di ferro,
e sarebbero venuti meno, spossati dalle veglie e dai lunghi digiuni, se non
avessero attenuato tanto rigore dietro assiduo ammonimento dell'accorto
pastore.
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CAPITOLO XV
DISCREZIONE DI SAN
FRANCESCO
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22. Una notte, una
di quelle pecorelle, mentre le altre dormivano, si mise a gridare: "Muoio,
fratelli, ecco, muoio di fame!". Il saggio pastore si alzò immediatamente
e si affrettò a portare l'aiuto opportuno alla pecorella infermiccia. Ordinò di
preparare la mensa, anche se con cibi alla buona, dove l'acqua, come il più
delle volte, suppliva alla mancanza di vino. Proprio lui cominciò a mangiare
per primo ed invitò a quel dovere di carità gli altri frati, perché il poverino
non avesse ad arrossire.
Preso il cibo col timore del
Signore, affinché fosse completo l'atto di carità, il Padre tenne ai figli un
lungo discorso sulla virtù della discrezione. Prescrisse di offrire sempre a
Dio un sacrificio condito di prudenza, ammonendoli accortamente di tener
conto, nel servizio divino, delle proprie forze. Perché, diceva, è come peccare
il sottrarre senza discrezione al corpo il necessario, come pure dargli il
superfluo, sotto la spinta della gola. Poi soggiunse: "Carissimi, ciò che
ho fatto mangiando, sappiate che è stato fatto non per bramosia, ma per
doverosa attenzione e perché me lo ha imposto la carità fraterna. La carità vi
sia di esempio, non il cibo, perché questo soddisfa la gola, quella invece lo
spirito".
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CAPITOLO XVI
LA SUA CONOSCENZA
DEL FUTURO
E COME AFFIDÒ L'
ORDINE ALLA CHIESA ROMANA.
UNA VISIONE
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23. Il padre santo
progrediva continuamente in meriti e virtù. E poiché la sua prole cresceva
ovunque in numero e grazia ed estendeva sino ai confini della terra i suoi
tralci, ricchi a meraviglia di frutti ubertosi, cominciò a riflettere sempre
più spesso, preoccupato come la giovane pianta potesse conservarsi e crescere
stretta nel vincolo della unità.
Vedeva, già allora, che molti,
come lupi, infierivano contro il piccolo gregge,--vecchi incalliti nel male--,
spinti a nuocere unicamente dalla novità.
Prevedeva pure che tra gli
stessi figli potevano sorgere difficoltà a danno della pace e dell'unità, e lo
turbava il pensiero che, come spesso avviene tra gli eletti, vi sarebbero stati
alcuni inorgogliti nella loro mentalità carnale, pronti alle contese e
facili allo scandalo.
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24. Mentre
rivolgeva questi e simili pensieri nella sua mente, una notte, nel sonno, ebbe
questa visione. Vide una gallina piccola e nera, simile ad una colomba
domestica, con zampe e piedi rivestiti di piume. Aveva moltissimi pulcini, che
per quanto si aggirassero attorno a lei, non riuscivano a raccogliersi tutti
sotto le sue ali. Quando si svegliò, l'uomo di Dio, e riprese i suoi pensieri,
spiegò personalmente la visione. " La gallina, commentò, sono io, piccolo
di statura e di carnagione scura, e debbo unire alla innocenza della vita una
semplicità di colomba: virtù, che quanto è più rara nel mondo, tanto più
speditamente si alza al cielo. I pulcini sono i frati, cresciuti in numero e
grazia, che la forza di Francesco non riesce a proteggere dal turbamento
degli uomini e dagli attacchi delle lingue maligne ".
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"Andrò
dunque, e li raccomanderò alla santa Chiesa Romana: in tale modo i malevoli
saranno colpiti dalla verga della sua potenza e i figli di Dio, ovunque,
godranno di piena libertà, a maggior beneficio della salvezza eterna. Da questo
i figli riconosceranno le tenere premure della madre e ne seguiranno, con
particolare devozione, le orme venerande.. La sua protezione difenderà l'Ordine
dagli attacchi dei maligni, e il figlio di Belial non passerà
impunemente per la vigna del Signore. Persino lei, che è santa, emulerà
la gloria della nostra povertà e non permetterà che il torbido della superbia
possa offuscare i grandi pregi dell'umiltà. Conserverà illesi tra di noi i
vincoli della carità e della pace, colpendo con rigore e severità chi è causa
di discordia.
Alla sua presenza fiorirà sempre
la santa osservanza della purezza evangelica e non consentirà che svanisca
neppure per un istante il buon odore della vita".
Fu questa la vera e unica
intenzione che ebbe il Santo nel volere tale raccomandazione, e questi gli
argomenti santissimi della prescienza dell'uomo di Dio riguardo alla necessità
di affidarsi alla Chiesa per il tempo futuro.
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CAPITOLO XVII
CHIEDE IL SIGNORE
D' OSTIA COME SOSTITUTO DEL
PAPA
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25. Si portò
dunque a Roma, dove il signor papa Onorio e tutti i Cardinali lo accolsero con
grande devozione. Ed a ragione, perché si ripercuoteva visibilmente nella sua
vita e nelle parole il profumo della sua fama, e non era quindi possibile non
venerarlo. Predicò davanti al Papa ed ai Cardinali con animo franco e pieno di
ardore, attingendo dalla pienezza del cuore, come gli suggeriva lo Spirito.
Alla sua parola si commossero quelle altezze e, traendo profondi sospiri
dall'intimo, lavarono con lacrime l'uomo interiore.
Terminato il discorso e dopo
qualche istante di cordiale colloquio col Papa, alla fine così espose la sua
richiesta: "Non è facile, Signore, come sapete, per gente povera e umile
avere accesso a così grande maestà. Avete nelle mani il mondo e gli impegni
molto importanti non permettono di dedicarsi alle minuzie. Per questo,
Signore,--continuò --chiedo al tenerissimo affetto di vostra Santità di
concederci come papa il Signore d'Ostia, qui presente; così, rimanendo sempre
intatta la dignità della vostra preminenza, i frati potranno rivolgersi a lui
in tempo di necessità, ed essere, con vantaggio, difesi e governati".
Il Papa gradì una richiesta
tanto santa, e subito prepose all'Ordine, secondo la domanda dell'uomo di Dio,
il Signor Ugolino, allora vescovo d'Ostia. Il santo cardinale accettò con amore
il gregge, che gli era stato affidato, lo allevò premurosamente, e ne fu
insieme pastore ed alunno sino alla beata fine.
È a questa particolare
sottomissione che si deve la prerogativa di amore e la sollecitudine, che, da
sempre, la Chiesa Romana non cessa di testimoniare all'Ordine dei minori.
Fine della
Parte prima
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PARTE SECONDA
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Introduzione
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26.Tramandare le
azioni gloriose degli antenati è segno d'onore verso di loro, ma è anche una
prova di amore per i figli, che non li hanno conosciuti personalmente. Dal
ricordo delle loro gesta sono indotti al bene e convinti a migliorarsi, mentre
testimonianze indimenticabili rendono vivi ai loro occhi i padri ormai lontani
nel tempo. Ne possiamo trarre anzitutto--frutto certamente non piccolo--la
coscienza della nostra pochezza, quando mettiamo a confronto l'abbondanza dei
loro meriti e la nostra miseria.
Ora io ritengo che Francesco sia
stato come uno specchio santissimo della santità del Signore e immagine della
sua perfezione. Tutte le sue parole ed azioni hanno per così dire, un profumo
divino. Chi le esamina con diligenza e le segue umilmente, raggiunge ben presto
a questa scuola di saggezza la sua altissima sapienza. Per questo motivo, dopo
avere premesso, anche se con stile dimesso e quasi di corsa, alcuni episodi
riguardanti la sua persona, ritengo non superfluo aggiungere fra tanti qualche
altro cenno, per esaltare il Santo e risvegliare il nostro amore intorpidito.
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LO SPIRITO DI PROFEZIA DEL BEATO FRANCESCO
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CAPITOLO I
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27. Il beato
padre, come elevato al di sopra delle cose terrene, aveva assoggettato con
potere meraviglioso tutto quanto esiste nel mondo. Tenendo fisso sempre
l'occhio della intelligenza in quella somma luce, non solo conosceva per divina
rivelazione ciò che doveva fare, ma prevedeva profeticamente molti fatti,
penetrava i segreti dei cuori, conosceva ciò che avveniva lontano, prevedeva e
narrava in anticipo il futuro. Alcuni esempi comprovano quanto affermiamo.
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CAPITOLO II
SMASCHERA UN FRATE
RITENUTO SANTO
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28. Vi era un
frate, all'apparenza di grande santità e di vita integerrima però molto
singolare. Si dedicava continuamente alla preghiera, ed osservava con tanto
rigore il silenzio che di solito si confessava non a voce, ma con gesti. Si
infiammava alle parole della Scrittura e, dopo l'ascolto, dava segni di una
meravigliosa dolcezza interiore. In breve, era stimato da tutti tre volte
santo. Or avvenne che il beato padre un giorno si recò in quel luogo, vide il
fratello e ascoltò quelli che lo proclamavano santo. E mentre tutti lo
magnificavano ed esaltavano: "Basta, fratelli! -- esclamò --. Non state a
lodarmi delle finzioni diaboliche. Sappiate con certezza che è tentazione del
demonio e perfido inganno. Ne sono certo e la prova più sicura è che non vuole
confessarsi ".
I frati rimasero costernati e
particolarmente il vicario del Santo. " E come, andavano ripetendo, può
essere che sotto tanti segni di perfezione vi sia una tale mistificazione?".
E il Padre di rimando: "Comandategli di confessarsi due o almeno una volta
la settimana: se non lo farà, sappiate che ho detto il vero".
Il vicario lo prese in disparte,
dapprima scambiò con lui cordiali e liete parole e finalmente gli ordinò di
confessarsi. Ma quegli rifiutò con sdegno, e ponendosi un dito sulla bocca fece
capire col cenno del capo che in nessun modo si sarebbe confessato. I frati
ammutolirono, temendo lo scandalo del falso santo. Poco tempo dopo uscì
spontaneamente dall'Ordine, ritornò alla vita mondana ed al suo
vomito, e infine, dopo innumerevoli peccati, morì senza pentimento.
Si deve sempre evitare la
singolarità: non è altro che un bel precipizio. Lo dimostra chiaramente il caso
di tanti, amanti della singolarità, che si innalzano al cielo e scendono in
fondo all'abisso. Considera inoltre il valore di una confessione sincera,
che non solo è fonte ma anche espressione di santità.
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CAPITOLO III
CASO SIMILE CONTRO
LA SINGOLARITÀ
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29. Un fatto
simile avvenne ad un altro frate, Tommaso da Spoleto. Tutti credevano
fermamente e giuravano che fosse santo, ma il santo padre lo riteneva un uomo
perverso; l'apostasia dimostrò alla fine la verità del suo giudizio. Non durò a
lungo, perché non resiste molto una virtù basata sulla frode. Uscì dall'Ordine
ed è morto fuori di esso: ora si è accorto della sua riprovevole condotta.
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CAPITOLO IV
PREVEDE LA
DISFATTA DEI CRISTIANI PRESSO DAMIATA
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30. Al tempo in
cui l'esercito cristiano stringeva d'assedio Damiata, era presente anche il
Santo con alcuni compagni: avevano attraversato il mare desiderosi del
martirio.
Un giorno avuta notizia che i
nostri si disponevano a battaglia, si addolorò fortemente e rivolto al compagno
disse: "Il Signore mi ha mostrato che, se avverrà oggi lo scontro, andrà
male per i cristiani. Ma se dico questo, sarò creduto pazzo; se taccio, mi
rimorde la coscienza. Cosa ne pensi? ". "Padre,--rispose il
compagno--, non dare importanza al giudizio degli uomini; del resto non sarebbe
la prima volta oggi che sei giudicato pazzo. Libera la tua coscienza e abbi
timore di Dio piuttosto che degli uomini".
Allora il Santo balza fuori e
per il loro bene scongiura i cristiani a non dar battaglia, e minaccia la
disfatta. Ma essi presero a scherzo ciò che era verità, indurirono il loro
cuore e rifiutarono ogni avvertimento. Si avanza, si attacca, si combatte e si
passa al contrattacco da parte dei nemici. Durante la battaglia il Santo con
l'animo sospeso invita il compagno ad alzarsi e ad osservare; e poiché non vede
nulla una prima ed una seconda volta, glielo ordina per la terza volta. Ed
ecco: tutto l'esercito cristiano è in fuga, mettendo fine alla guerra non col
trionfo, ma con la vergogna. I nostri subirono tale disfatta da perdere seimila
uomini tra morti e prigionieri.
Il Santo era vinto dalla
compassione, né minore era il loro pentimento per l'accaduto. Soprattutto
compiangeva gli Spagnoli, che vedeva ridotti a ben pochi a causa del loro
maggiore slancio nel combattere.
Riflettano bene a ciò tutti i principi di questo mondo e
sappiano che non è facile combattere contro Dio, cioè contro la
volontà divina. L'ostinazione di solito porta a funesta rovina, perché
confidando nelle proprie forze non merita l'aiuto celeste. Se infatti si deve
sperare la vittoria dall'alto bisogna pure attaccare battaglia solo dietro
ispirazione divina.
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CAPITOLO V
SCOPRE I PENSIERI
SEGRETI Dl UN FRATE
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31. Il Santo
ritornava dai paesi d'Oltremare con un compagno, Leonardo d'Assisi. Sentendosi
stanco morto dal viaggio, montò momentaneamente su un asino. Il compagno che
seguiva a piedi e non era meno stanco, cominciò a borbottare tra sé, preso da
un certo risentimento umano: "Non giocavano certo a pari e caffo i
genitori di costui ed i miei. Ecco, lui va a cavallo ed io, a piedi, gli guido
l'asino".
Mentre rimuginava questi
pensieri, il Santo balzò da cavallo: "No, non è giusto, fratello--gli
dice--che io vada a cavallo e tu a piedi, perché nel mondo sei stato più nobile
e importante di me ".
Il frate rimase di stucco e
arrossì sentendosi scoperto dal Santo. Cadde ai suoi piedi: tra lacrime
abbondanti gli espose tutto il suo pensiero e chiese perdono.
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CAPITOLO VI
VEDE UN DIAVOLO
SULLA SCHIENA Dl UN FRATE.
SUO ATTEGGIAMENTO
CONTRO CHI SI ALLONTANA
DALL'' UNITÀ DEI
FRATELLI
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32. Vi era un
altro frate assai stimato dagli uomini, ma ancora più ricco di grazia presso
Dio. Invidioso dei suoi meriti, il padre di ogni invidia pensò di tagliare alle
radici l'albero, che sembrava ormai toccare il cielo e strappargli di
mano la corona. Gli gira attorno, lo turba, scuote e vaglia le sue attitudini
per trovare un inciampo adatto al frate. Gli immette così nell'animo il
desiderio di isolarsi sotto pretesto di maggiore perfezione, affinché cada più
facilmente quando gli piomberà addosso, e trovandosi solo non abbia chi lo
sollevi nella caduta.
In breve, si stacca dalla vita
religiosa dei fratelli, e se ne va per il mondo forestiero e pellegrino.
Dall'abito che portava ricavò una piccola tonaca, col cappuccio non cucito, e
così se ne andava errabondo, disprezzando in tutto se stesso. Ma mentre andava
vagando in questo modo, presto vennero meno le consolazioni divine, ed egli si
trovò agitato da tentazioni tempestose: le acque gli arrivavano sino al
collo e, desolato nello spirito e nel corpo, era come un uccello che
si precipita nella rete. Già come sull'orlo di una voragine, stava per
precipitare nel baratro, quando la Provvidenza paternamente ebbe compassione di
lui e rivolse il suo sguardo amoroso all'infelice. Ammaestrato dalla
tribolazione, rientrò finalmente in se stesso e disse: "Ritorna, o misero,
alla tua vita religiosa, perché lì è la tua salvezza ". E senza indugiare
un istante, si alzò e si avviò in fretta al grembo materno.
33. Quando giunse a Siena, tra
quei frati c'era anche Francesco. Ma --cosa incredibile! --appena il Santo lo
scorse, si allontanò per rinchiudersi con passo frettoloso nella sua cella. I
frati si domandavano turbati il motivo di tale comportamento. E il Santo disse
loro: "Perché vi meravigliate della mia fuga, se non ne comprendete il
motivo? Io ho fatto ricorso alla preghiera per salvare il fratello smarrito. Ho
visto nel mio figlio qualcosa che molto giustamente mi dispiacque. Ma ormai per
grazia del mio Cristo ogni inganno è svanito".
Il frate si inginocchiò e con
rossore confessò la sua colpa. Gli disse il Santo: "Ti perdoni il Signore;
ma in futuro guardati di non separarti mai più, col pretesto della
santificazione, dal tuo Ordine e dai fratelli". Da quel giorno il frate
prese ad amare l'Istituto e la fraternità, preferendo soprattutto quelle
comunità in cui era in vigore maggiormente la regolare osservanza.
Oh, quali meraviglie compie il
Signore nel consesso e nella comunità dei giusti! In essa chi è tentato trova aiuto chi cade
viene rialzato, il tiepido viene stimolato. In essa il ferro si aguzza
col ferro ed il fratello, con l'aiuto del fratello diviene saldo
come una roccaforte. Inoltre, se è vero che la folla del mondo è
di ostacolo a vedere Gesù, è anche certo che non lo impedisce affatto il
coro celeste degli angeli. Soltanto non fuggire: sii fedele sino alla morte
e riceverai la corona della vita.
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ALTRO CASO SIMILE
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34. Qualche tempo
dopo avvenne un fatto non molto diverso. Un altro frate non voleva ubbidire al
vicario del Santo, ma seguiva come suo superiore un confratello. Il Santo, che
era presente, lo ammonì per mezzo di una terza persona, ed egli si gettò ai
piedi del vicario e, lasciato il maestro che si era scelto, promise obbedienza
a colui che il Santo gli assegnò come superiore. Francesco trasse un profondo
sospiro, e rivolto al compagno, che aveva mandato per avvisarlo: "Ho
visto, fratello--gli disse--sul dorso del frate disobbediente un diavolo che lo
stringeva al collo. Sottomesso e tenuto a briglia da un tale cavaliere, dopo aver
scosso il morso dell'obbedienza, si lasciava guidare dalla sua volontà e
capriccio. Ma quando ho pregato il Signore per lui, subito il demonio si è
allontanato confuso".
Tanto penetrante era lo sguardo
di questo uomo, che pur avendo occhi deboli per le cose materiali, li aveva
perspicaci per quanto riguarda lo spirito.
E quale meraviglia che venga
oppresso da una ignobile soma chi rifiuta di portare il Signore della gloria?
Non c'è, dico, altra scelta: o portare un peso leggero, dal quale
piuttosto tu stesso sarai portato, oppure essere schiavo della iniquità, che ti
aderisce al collo come una macina da asino, più pesante di una massa di
piombo.
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CAPITOLO VII
LIBERA GLI
ABITANTI DI GRECCIO DAI LUPI
E DALLA GRANDINE
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35. Il Santo si
fermava volentieri nell'eremo di Greccio, sia perché lo vedeva ricco di
povertà, sia perché da una celletta appartata, costruita sulla roccia
prominente, poteva dedicarsi più liberamente alla contemplazione delle cose
celesti. È proprio questo il luogo, dove qualche tempo prima aveva celebrato il
Natale del Bambino di Betlemme, facendosi bambino col Bambino.
Ora, gli abitanti del luogo
erano colpiti da diversi mali: torme di lupi rapaci attaccavano bestiame e
uomini, e inoltre, la grandine stroncava ogni anno messi e viti. Un giorno
Francesco, mentre predicava, disse: "A gloria e lode di Dio Onnipotente,
ascoltate la verità che vi annunzio. Se ciascuno di voi confesserà i suoi
peccati e farà degni frutti di penitenza, vi do la mia parola che questo
flagello si allontanerà definitivamente ed il Signore, guardando a voi con
amore, vi arricchirà di beni temporali. Ma -- continuò -- ascoltate anche
questo: vi avverto pure che se, ingrati dei benefici, ritornerete al vomito,
si risveglierà la piaga, raddoppierà la pena e la sua ira infierirà su di voi
più crudelmente di prima ".
36 Da quel momento, per i meriti
e le preghiere del padre santo, cessarono le calamità, svanirono i pericoli, e
i lupi e la tempesta non recarono più molestia. Anzi, ciò che più
meraviglia, quando la grandine batteva i campi dei vicini e si appressava al
loro confine, o cessava lì o si dirigeva altrove.
Ma nella tranquillità crebbero
di numero e si arricchirono troppo di beni materiali. Ed il benessere portò le
conseguenze solite: affondarono il volto nel grasso e furono accecati
dalla pinguedine o meglio dallo sterco della ricchezza. E così,
ricaduti in colpe maggiori, si dimenticarono di Dio che li aveva salvati.
Ma non impunemente, perché il giusto castigo del Signore colpisce meno
severamente chi cade nel peccato una volta di chi è recidivo. Si risvegliò
contro di essi il furore di Dio ed ai flagelli di prima si aggiunse la guerra e
venne dal cielo una epidemia che fece innumerevoli vittime. Da ultimo, un
incendio vendicatore distrusse tutto il borgo.
È ben giusto che chi volge la
schiena ai benefici, vada in perdizione.
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CAPITOLO VIII
MENTRE PREDICA
AGLI ABITANTI Dl PERUGIA,
PREDICE LA GUERRA
CIVILE. LODE DELLA CONCORDIA
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37. Alcuni giorni
dopo il Padre scese dalla cella suddetta e rivolto ai frati presenti disse con
voce di pianto: "I Perugini hanno arrecato molto danno ai loro vicini ed
il loro cuore si è insuperbito, ma per loro ignominia. Perché si avvicina la
vendetta di Dio e questi ha già in pugno la spada". Attese alcuni giorni,
poi in fervore di spirito si diresse verso Perugia. I frati poterono dedurre
con tutta sicurezza che aveva avuto in cella una visione. Giunto a Perugia,
cominciò a parlare al popolo che si era dato convegno. E poiché i cavalieri
impedivano l'ascolto della parola di Dio, giostrando, secondo l'uso ed
esibendosi in spettacoli d'arme, il Santo, molto addolorato, li apostrofò:
"O uomini miseri e stolti, che non riflettete e non temete la punizione di
Dio! Ma ascoltate ciò che il Signore vi annunzia per mezzo di questo poverello.
Il Signore vi ha innalzati al di sopra di quanti abitano attorno,
e per questo dovreste essere più benevoli verso il prossimo e più riconoscenti
a Dio. E invece, ingrati per tanto beneficio, assalite con le armi in pugno i
vicini, li uccidete e li saccheggiate. Ebbene, vi dico: non la passerete
liscia! Il Signore a vostra maggiore punizione vi porterà a rovina con una
guerra fratricida, che vedrà sollevarsi gli uni contro gli altri. Sarete
istruiti dallo sdegno giacché nulla avete imparato dalla benevolenza".
Poco tempo dopo scoppia la
contesa: si impugnano le armi contro i vicini di casa, i popolani infieriscono
contro i cavalieri e questi, a loro volta, contro il popolo: furono tali
l'atrocità e la strage, che ne provarono compassione anche i confinanti, che
pure erano stati danneggiati.
Castigo ben meritato! Si erano
allontanati da Dio Uno e Sommo: era inevitabile che neppure tra loro rimanesse
l'unità. Non vi può essere per uno Stato un legame più forte di un amore
convinto a Dio, unito ad una fede sincera e senza ipocrisie.
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CAPITOLO IX
PREDICE AD UNA
DONNA LA CONVERSIONE DEL MARITO
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38. Mentre il
servo di Dio si recava alle Celle di Cortona, una nobildonna di Volusiano gli
andò incontro in tutta fretta. Dopo lungo cammino, finalmente lo raggiunse
ansimante, perché era persona molto delicata e gracile. Quando il padre
santissimo la vide così sfinita e trafelata, ne ebbe compassione e le chiese:
" Cosa desideri, donna? ". " Padre, che tu mi benedica ". E
il Santo: " Sei sposata o no? ".
"Padre,--rispose--ho un
marito molto crudele, che mi è di ostacolo nel servire Gesù Cristo. È questo il
mio vero tormento: a causa sua non posso mantenere i buoni propositi che il
Signore mi ispira. Perciò ti chiedo, o Santo di pregare per lui, affinché Dio
nella sua misericordia gli muti il cuore ".
Il Padre rimase ammirato della
donna dotata di un animo virile e così piena di senno pur essendo di giovane
età. E le rispose molto commosso: "Va, figlia benedetta, e sappi che tuo
marito in futuro ti sarà di consolazione ". E aggiunse: " Gli dirai
da parte di Dio e mia, che ora è tempo di salvezza, ma più tardi di
giustizia ". E la benedisse. La donna se ne tornò a casa ed incontrato il
marito riferì quanto le era stato ordinato. Lo Spirito Santo scese
improvvisamente su di lui, e trasformatolo da vecchio in uomo nuovo, lo indusse
a rispondere con tutta dolcezza: "Donna, serviamo il Signore e salviamo le
nostre anime qui nella nostra casa ".
"A me pare--soggiunse la
moglie--che dovremmo porre come fondamento, per così dire, nella nostra anima
la continenza, e poi edificarvi sopra le altre virtù ".
" Sì, piace anche a me,
come precisamente a te ", concluse il marito.
Vissero molti anni in castità, e
poi passarono da questa vita beatamente nello stesso giorno, uno come olocausto
del mattino e l'altro sacrificio della sera.
Donna invidiabile, che ha
piegato così il marito alla vera vita! Si avvera in lei il detto dell'Apostolo:
il marito non credente si salva per mezzo della moglie credente. Ma queste
donne, come dice un proverbio assai comune, oggi si possono contare sulle dita.
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CAPITOLO X
IL SANTO CONOSCE
IN SPIRITO
CHE UN FRATE HA
SCANDALIZZATO UN CONFRATELLO
E NE PREDICE L'
USCITA DALL'' ORDINE
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624
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39. Una volta
giunsero due frati dalla Terra di Lavoro ed il più anziano era stato spesso di
scandalo all'altro. Non era, veramente, un compagno ma un tiranno Il più
giovane però sopportava tutto con mirabile silenzio per amor di Dio.
Giunti ad Assisi, il più giovane
si recò da Francesco, perché gli era familiare. Il Santo, tra l'altro, gli
chiese: "Come si è comportato verso di te il tuo compagno in questo
viaggio?". "Abbastanza bene in tutto, rispose il frate ". E il
Santo di rimando: " Guardati, fratello, dal mentire sotto pretesto di umiltà.
Perché so come si è comportato verso di te; ma aspetta un poco e vedrai".
Il frate si meravigliò
moltissimo che in spirito fosse venuto a conoscere fatti accaduti a tanta
distanza. Non molto tempo dopo, il frate che aveva dato scandalo al compagno,
lasciò la vita religiosa e se ne uscì.
Senza dubbio è segno di animo
perverso e chiaro indizio di poco buon senso viaggiare assieme ad un buon
compagno e non essere dello stesso sentimento.
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CAPITOLO XI
CONOSCE CHE UN
GIOVANE
CHIEDE Dl ENTRARE
NELL' ORDINE
SENZA VOCAZIONE
DIVINA
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40. Nello stesso
tempo venne ad Assisi un giovane della nobiltà di Lucca desideroso di entrare
nell'Ordine. Presentato a Francesco, in ginocchio implorava a calde lacrime che
lo accettasse. Ma, osservandolo attentamente, l'uomo di Dio conobbe per illuminazione
del Signore che non era mosso dallo spirito: "Uomo miserabile e carnale,
-- gli disse il Santo--, perché pensi di poter mentire allo Spirito Santo e
a me? Tu piangi lacrime carnali e il tuo cuore non è con Dio. Vai pure, perché non
c'è niente di spirituale in te ".
Aveva appena terminato queste
parole, quando annunziarono che alla porta stavano i suoi genitori, giunti per
riprendere il figlio e riportarlo a casa. Ed egli, uscito loro incontro,
se ne ritornò volontariamente. I frati rimasero meravigliati e glorificavano
Dio nel suo servo.
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CAPITOLO XII
PREDICE AD UN
ECCLESIASTICO DA LUI GUARITO
CASTIGHI PEGGIORI
SE RICADRÀ NEL PECCATO
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41. Nel tempo in cui il santo padre giaceva
ammalato nel palazzo del vescovo di Rieti, era pure costretto in un letto,
perché infermo e attanagliato dai dolori, un canonico, di nome Gedeone, uomo
sensuale e mondano. Fattosi portare da Francesco, lo scongiurò con lacrime a
voler fare su di lui il segno della croce.
Rispose il Santo: "Come
posso benedirti se da gran tempo sei vissuto secondo i desideri della carne e
senza timore del giudizio di Dio?". E continuò: "Ecco, io ti segno
nel nome di Cristo. Ma tu ricordati che subirai pene maggiori se, una volta
guarito, ritornerai al tuo vomito". E concluse: "Il peccato della
ingratitudine riceve sempre castighi più gravi ".
Tracciato su di lui un segno di
croce, subito l'ammalato, che giaceva fino a quel momento rattrappito, si alzò
sano, ed esclamò esultante: " Eccomi guarito! ". Molti sono testimoni
che le ossa della sua schiena scricchiolarono, come i legni secchi quando sono
spezzati a mano. Ma passato poco tempo, dimenticatosi di Dio, si abbandonò di
nuovo alla sensualità. Una sera si trovava a cena da un canonico suo collega e
si fermò quella notte a casa di lui. All'improvviso crollò su tutti il tetto
della casa; ma, mentre gli altri scamparono alla morte, lui solo, lo
sventurato, fu schiacciato sotto il peso delle macerie e morì.
E non è meraviglia se, come
aveva predetto il Santo, fu colpito da un castigo più grave del primo: perché
si deve essere grati per il perdono ricevuto, e offende doppiamente la ricaduta
nel peccato.
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CAPITOLO XIII
LA TENTAZIONE DI
UN FRATE
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42. Durante la
permanenza del Santo nello stesso luogo, un frate della custodia della Marsica--uomo
di spirito--, era provato da gravi tentazioni. " Oh--pensò in cuor suo--se
avessi con me qualcosa di Francesco, anche solo un pezzettino delle sue unghie,
credo che di certo svanirebbe tutta questa burrasca di tentazioni e
ritornerebbe, con l'aiuto di Dio, il sereno ".
Ottenuto il permesso, si reca al
luogo ove era Francesco ed espone il motivo ad uno dei compagni del Padre.
"Non credo--gli risponde--che mi sarà possibile darti un ritaglio delle
sue unghie, perché quando gliele tagliamo, comanda di buttarle via e di non
conservare nulla". Proprio in quel momento chiamano il frate e gli dicono
di recarsi dal Santo, che lo desiderava: " Figlio mio,--gli dice -- cerca
le forbici per tagliarmi subito le unghie ". Quello presentò lo strumento
che teneva già in mano a questo scopo e, raccogliendo i ritagli avanzati, li
consegnò al frate, che li aveva chiesti. Questi li prese con devozione, li
conservò ancor più devotamente, e subito fu liberato da ogni tentazione.
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CAPITOLO XIV
UN UOMO OFFRE LA
STOFFA CHE IL SANTO AVEVA
CHIESTO
AL SUO GUARDIANO
IN PRECEDENZA
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43. Trovandosi
nello stesso luogo, vestito di una tonachetta consunta, il Padre dei poveri
disse ad uno dei compagni, che aveva scelto come suo guardiano: "Vorrei,
fratello, se ti fosse possibile, che tu mi trovassi la stoffa sufficiente per
una tonaca".
A questa domanda, il frate
ripensò più volte come provvedere la stoffa tanto necessaria e chiesta così
umilmente. Il mattino dopo, sul fare dell'alba, si avvia alla porta diretto
alla città per comperare la stoffa, ed ecco un uomo seduto sulla soglia e che
fa cenno di parlargli e gli dice: "Accetta da me per amore di Dio questa
stoffa per sei tonache: una tienila per te, e distribuisci le altre come meglio
ti piace, per la salvezza dell'anima mia ". Tutto contento il frate
ritornò da Francesco e gli parlò di quell'offerta venuta dal cielo.
"Accetta pure le tonache, -- rispose il Padre -- perché è stato inviato
proprio a questo scopo, per soccorrere in tale modo la mia necessità ". E
concluse: "Sia ringraziato Colui che non sembra pensare ad altri che a noi
".
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CAPITOLO XV
INVITA IL SUO
MEDICO A PRANZO
MENTRE I FRATI
SONO SPROVVISTI DI TUTTO
E IL SIGNORE
PROVVEDE ABBONDANTEMENTE AL NECESSARIO.
LA PROVVIDENZA DI
DIO VERSO I SUOI
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44. Trovandosi
Francesco in un eremo presso Rieti , era visitato ogni giorno dal medico per la
cura degli occhi.
Una volta il Santo disse ai
compagni: " Invitate il medico e preparategli un buon pranzo ".
"Padre,--rispose il
guardiano--te lo diciamo con rossore, ci vergogniamo ad invitarlo, tanto siamo
poveri in questo momento".
"Volete
forse che ve lo ripeta? " insistette il Santo.
Il medico era presente e
intervenne: "Io, fratelli carissimi, stimerò delizia la vostra penuria
".
I frati in tutta fretta
dispongono sulla tavola quanto c'è in dispensa: un po' di pane, non molto vino
e per rendere più sontuoso il pranzo, la cucina manda un po' di legumi. Ma la
mensa del Signore nel frattempo si muove a compassione della mensa dei
servi. Bussano alla porta e corrono ad aprire: c'è una donna che porge un
canestro pieno zeppo di bel pane, di pesci e di pasticci di gamberi, e sopra
abbondanza di miele ed uva.
A tale vista i poveri commensali
sfavillarono di gioia, e messa da parte per il giorno dopo quella miseria,
mangiarono di quei cibi prelibati. Il medico commosso esclamò: " Né noi
secolari e neppure voi frati conoscete veramente la santità di questo
uomo". E si sarebbero di certo pienamente sfamati, ma più che il cibo li
aveva saziati il miracolo.
Così l'occhio amoroso del Padre
non disprezza mai i suoi, anzi assiste con più generosa provvidenza chi è più
bisognoso. Il povero si pasce ad una mensa più ricca di quella del re, quanto
Dio supera in generosità l'uomo.
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LIBERA FRATE RICCERIO DA UNA TENTAZIONE
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44a. Un frate di
nome Riccerio, nobile di costumi quanto di nascita, aveva tanta stima dei
meriti di Francesco da credere che uno avrebbe meritato la grazia divina, se
avesse goduto della benevolenza del Santo, in caso contrario, sarebbe andato
incontro all'ira di Dio. Per questo aspirava ardentemente ad acquistarsi la sua
amicizia, ma temeva grandemente che il Santo trovasse in lui qualcosa di
vizioso, anche se nascosto, e che ciò lo allontanasse ancor più dalla sua
grazia. Questo timore lo torturava di continuo né riusciva a manifestarlo ad
alcuno. Ma un giorno, turbato come sempre, si avvicinò alla cella nella quale
Francesco stava in preghiera. Conoscendo nello stesso tempo il suo arrivo ed il
suo stato d'animo, l'uomo di Dio lo chiamò a sé e gli disse con benevolenza:
" Nessun timore, nessuna tentazione ti turbi mai più, figlio mio, perché
mi sei carissimo. E fra quanti mi sono più cari, ti amo di un amore
particolare. Vieni a me senza timore, quando ti piace, e da me riparti con
tutta libertà a tuo piacimento".
Il frate restò pieno di
meraviglia e di gioia alle parole del Santo e da allora in poi sicuro del suo
affetto, crebbe anche, come era suo convincimento, nella grazia del
Salvatore.
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CAPITOLO XVI
ESCE DALLA CELLA
PER BENEDIRE DUE FRATI
AVENDONE CONOSCIUTO
IL DESIDERIO
PER DIVINA
ISPIRAZIONE
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45. San Francesco
era solito passare l'intera giornata in una cella isolata e non ritornava tra i
frati se non quando urgeva la necessità del mangiare. Non andava però nemmeno
allora ad ore fisse, perché il desiderio prepotente della contemplazione lo
assorbiva assai spesso completamente.
Un giorno arrivarono da lontano
all'eremo di Greccio due frati di vita santa e gradita a Dio: volevano
unicamente vedere il Santo e riceverne la benedizione lungamente desiderata.
Essendo giunti e non trovandolo, perché si era già ritirato dal luogo comune
nella sua cella, furono presi da grande tristezza. E poiché si prevedeva una
lunga attesa non sapendo con certezza quando sarebbe uscito, presero la via del
ritorno afflitti, attribuendo ciò alle loro colpe. I compagni del Santo li
accompagnavano, cercando di alleviare la loro tristezza. Quando furono lontani
un tiro di sasso, all'improvviso si udi alle loro spalle il Santo che chiamava
ad alta voce, e poi disse ad uno dei compagni: " Di' ai miei frati che
sono venuti qui, di guardare verso di me ". I frati si voltarono verso di
lui, ed egli tracciando un segno di croce li benedisse con grandissimo affetto.
Ed essi tanto più contenti
quanto più vantaggiosamente avevano raggiunto l'intento per mezzo di un
miracolo, ritornarono a casa lodando e benedicendo il Signore.
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CAPITOLO XVII
CON LA PREGHIERA
FA SCATURIRE ACQUA
DA UNA ROCCIA
PER DISSETARE UN
CONTADINO
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46. Francesco
voleva un giorno recarsi ad un eremo per dedicarsi più liberamente alla
contemplazione; ma, poiché era assai debole, ottenne da un povero contadino di
poter usare del suo asino.
Si era d'estate, ed il
campagnolo che seguiva il Santo arrampicandosi per sentieri di montagna, era
stanco morto per l'asprezza e la lunghezza del viaggio. Ad un tratto, prima di
giungere all'eremo, si sentì venir meno riarso dalla sete. Si mise a gridare
dietro al Santo, supplicandolo di avere misericordia di lui, perché
senza il conforto di un po' d'acqua sarebbe certamente morto.
Il Santo, sempre compassionevole
verso gli afflitti, balzò dall'asino, e inginocchiato a terra alzò le mani al
cielo e non cessò di pregare fino a quando si sentì esaudito. "Su,
in fretta--gridò al contadino--là troverai acqua viva, che Cristo misericordioso
ha fatto scaturire ora dalla roccia per dissetarti ".
Mirabile compiacenza di Dio, che
si piega così facilmente ai suoi servi! L'uomo bevve l'acqua scaturita dalla
roccia per merito di chi pregava e si dissetò alla durissima selce.
Non vi era mai stato in quel luogo un corso d'acqua, né si trovò dopo, per
quante ricerche siano state fatte.
Quale meraviglia, se un uomo ripieno
di Spirito Santo riunisce in sé le opere mirabili di tutti i giusti? Non è
certo cosa straordinaria, se ripete azioni simili a quelle di altri Santi chi
ha il dono di essere unito a Cristo per una grazia particolare.
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CAPITOLO XVIII
IL SANTO NUTRE
ALCUNI UCCELLINI
ED UNO DI ESSI
MUORE PER LA SUA INGORDIGIA
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47. Un giorno
Francesco era seduto a mensa con i frati, quando entrarono due uccellini,
maschio e femmina, che poi ritornarono ogni giorno per beccare a piacimento le
briciole dalla tavola del Santo, preoccupati di nutrire i loro piccoli. Il
Santo ne è lieto, li accarezza come sempre e dà loro a bella posta la razione di
cibo quotidiano. Ma un giorno, padre e madre presentano i loro figlioletti ai
frati, essendo come stati allevati a loro spese e, affidandoli alle loro cure,
non si fanno più vedere. I piccoli familiarizzano con i frati, si posano sulle
loro mani e si aggirano in casa non come ospiti, ma di famiglia. Evitano le
persone secolari, perché si sentono allievi solamente dei frati. Il Santo
osserva stupito ed invita i frati a gioirne: "Vedete--dice-- cosa hanno
fatto i nostri fratelli pettirossi, come se fossero intelligenti? Ci hanno
detto:--Ecco, frati, vi presentiamo i nostri piccoli, cresciuti con le vostre
briciole. Disponete di loro come vi piace: noi andiamo ad altro
focolare--".
Così avendo presa piena
dimestichezza coi frati, prendevano tutti insieme il cibo. Ma l'ingordigia
ruppe la concordia, perché il maggiore cominciò con superbia a perseguitare i
più piccoli. Si saziava egli a volontà e poi scacciava gli altri dal cibo.
"Guardate--disse il Padre--questo ingordo: pieno e sazio lui, è invidioso degli
altri fratelli affamati. Avrà di certo una brutta morte". La sua parola fu
seguita ben presto dalla punizione: salì quel perturbatore della pace fraterna
su un vaso d'acqua per bere, e subito vi morì annegato. Non si trovò gatto o
bestia, che osasse toccare il volatile maledetto dal Santo.
È veramente un male che desta
orrore l'egoismo degli uomini, se persino negli uccelli viene punito in questo
modo. Ed è pure da temersi la condanna dei Santi, poiché le tiene dietro con
tanta facilità il castigo.
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CAPITOLO XIX
SI REALIZZA
COMPLETAMENTE
QUANTO AVEVA
PREDETTO DI FRATE BERNARDO
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48. In altra
occasione fece questa predizione di frate Bernardo, che era stato il secondo ad
entrare nell'Ordine: "Vi dico che per mettere alla prova frate Bernardo
sono stati designati demoni molto scaltri e peggiori degli altri spiriti.
Ma quantunque cerchino in tutti i modi di fare precipitare l' astro dal
cielo, ben diversa sarà la conclusione. Subirà certo tribolazione,
tentazioni ed afflizioni, ma alla fine riporterà vittoria di tutto".
Aggiunse ancora: "Presso a morire, svanita ogni burrasca e vinta ormai
ogni tentazione, fruirà di una pace e di una tranquillità meravigliosa. E terminato
il suo corso, passerà felicemente a Cristo ".
In realtà avvenne così: vari
miracoli resero celebre la sua morte e si avverò in pieno la parola del Santo.
Per questo, i frati alla sua morte confessarono: "Davvero, noi non
abbiamo conosciuto questo fratello, mentre viveva ".
Ma lasciamo ad
altri il compito di tessere le lodi di questo Bernardo |
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CAPITOLO XX
UN FRATE TENTATO DESIDERA UN AUTOGRAFO DEL SANTO
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49. Mentre il
Santo era sul monte della Verna, chiuso nella sua cella, un confratello
desiderava ardentemente di avere a sua consolazione uno scritto contenente
parole del Signore con brevi note scritte di proprio pugno da san Francesco.
Era infatti convinto che avrebbe potuto superare o almeno sopportare più
facilmente la grave tentazione, non della carne ma dello spirito, da cui si
sentiva oppresso.
Pur avendone un vivissimo
desiderio, non osava confidarsi col Padre santissimo ma ciò che non gli disse
la creatura, glielo rivelò lo Spirito.
Un giorno Francesco lo chiama:
" Portami--gli dice-- carta e calamaio, perché voglio scrivere le parole e
le lodi del Signore, come le ho meditate nel mio cuore ".
Subito gli portò quanto aveva
chiesto, ed egli, di sua mano, scrisse le Lodi di Dio e le parole che aveva in
animo. Alla fine aggiunse la benedizione del frate e gli disse: " Prenditi
questa piccola carta e custodiscila con cura sino al giorno della tua morte
".
Immediatamente fu libero da ogni
tentazione, e lo scritto, conservato, ha operato in seguito cose meravigliose.
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CAPITOLO XXI
DONA ALLO STESSO
FRATE LA SUA TONACA
COME DESIDERAVA
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50. Riguardo allo
stesso frate è rimasto famoso un altro fatto mirabile del padre santo. Mentre
infatti era ammalato nel palazzo episcopale di Assisi, detto frate pensò tra sé
e sé: "Ecco che il Padre si avvicina alla morte, e come sarei contento se,
una volta morto, potessi avere la tonaca del Padre mio!".
Come se il desiderio del cuore
si fosse espresso con la bocca, poco dopo Francesco lo chiama: "Ti do
questa tonaca,--gli dice--prendila, da oggi è tua. Io la porterò finché vivo,
ma alla mia morte deve passare a te ".
Meravigliato di tanta intuizione
del Padre, il frate accettò finalmente consolato la tonaca, che più tardi fu
portata in Francia per devozione.
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CAPITOLO XXII
DI NOTTE DIETRO
SUA RICHIESTA
VIENE TROVATO UN
PO' DI PREZZEMOLO
TRA ERBE SELVATICHE
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51. Negli ultimi
tempi della sua malattia, una notte chiese umilmente di mangiare del
prezzemolo, provandone vivo desiderio. Ma il cuoco, che era stato invitato a
portargliene, rispose che a quell'ora non avrebbe trovato nulla nell'orto:
"Nei giorni passati -- disse -- di continuo ho raccolto una quantità di
prezzemolo e tanto ne ho tagliato che riesco a mala pena a trovarne un filo in
piena luce del giorno. Tanto più non riuscirò a riconoscerlo tra le altre erbe
ora in piena notte".
"Vai fratello,--gli rispose
il Santo--non ti dispiaccia, e portami le prime erbe che toccherai con la tua
mano".
Andò il frate nell'orto e portò
in casa un mazzo di erbe che aveva strappato a caso senza nulla vedere. I frati
osservano quelle erbe selvatiche, le passano in rassegna con molta attenzione,
ed ecco in mezzo, prezzemolo tenero e ricco di foglie.
Avendone mangiato un poco, il
Santo provò molto conforto e rivolto ai frati: "Fratelli
miei,--disse--obbedite al primo comando, senza aspettare che venga ripetuto. E
non portate come pretesto la impossibilità, perché se da parte mia vi
comandassi anche qualcosa al di sopra delle forze, l'obbedienza troverebbe la
forza necessaria ".
Ecco fino a qual punto lo spirito
profetico faceva risaltare in lui il dono dello spirito!
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CAPITOLO XXIII
PREDICE UNA CARESTIA
NEL TEMPO
SUCCESSIVO ALLA SUA MORTE
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52. Gli uomini
santi a volte sono portati, per impulso dello Spirito Santo, a manifestare
alcune cose che li riguardano, o perché la gloria di Dio esige che si riveli
un colloquio o lo richiede il dovere della carità, a edificazione del
prossimo.
Per questo, un giorno il beato
padre riferì ad un frate, che amava moltissimo, queste parole, che proprio
allora aveva riportate dal suo incontro personale intimo con la Maestà
Divina: " Ora--disse--vive sulla terra un servo di Dio, in vista del
quale il Signore non permetterà che la fame infierisca sugli uomini,
sino a quando vivrà".
Non vi è nulla di vanità in
questo, ma è il racconto santo che la carità ha suggerito a nostro bene con
parole sante, modeste: quella carità, che non cerca il suo interesse.
E non poteva essere taciuto con
un silenzio inutile la prerogativa di un così grande amore di Cristo per il suo
servo.
Abbiamo infatti visto tutti coi
nostri occhi come siano trascorsi nella pace e nella quiete i tempi, sino a
quando è stato in vita il servo di Cristo e quale abbondanza vi sia stata di
ogni bene. Non si pativa fame della parola di Dio, perché i predicatori erano
allora soprattutto pieni di fervore ed i cuori di quanti ascoltavano erano
graditi a Dio. Chi portava l'abito religioso rifulgeva per esempi di santità.
L'ipocrisia dei sepolcri imbiancati non aveva ancora intaccato anime
così sante, né quanti sanno mascherarsi avevano sparso col loro
insegnamento tante novità e tante favole.
Giustamente quindi abbondavano i
beni materiali, poiché tutti amavano così sinceramente quelli eterni.
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53. Ma con la sua morte, si
invertì completamente l'ordine delle cose e tutto mutò: ovunque guerre e
sommosse e molti Stati furono subito devastati dall'infuriare di epidemie
diverse. Anche l'orrore della carestia si diffuse in lungo e in largo, causando
con la sua crudeltà, che supera tutti gli altri mali, numerosissimi morti. La
necessità infatti mutò in cibo tutto in quel momento e veniva triturato dal
dente dell'uomo anche ciò che i bruti solitamente rifiutavano. Si preparava
infatti il pane con gusci di noci e corteccia d'albero. Qualcuno ha chiaramente
ammesso che l'amore paterno sotto la spinta della fame non era rimasto
afflitto, per usare un eufemismo, per la morte del figlio.
Ma affinché sia del tutto palese
chi fosse quel servo fedele, per amore del quale la collera divina aveva
trattenuto la sua mano, lo rivelò Francesco stesso. Pochi giorni dopo la sua
morte, al frate al quale ancora in vita aveva predetto la calamità, manifestò
in modo chiaro che era lui il servo di Dio.
Infatti una notte il frate nel
sonno si sentì chiamare ad alta voce: "Fratello, è imminente la carestia,
che il Signore non ha permesso che venisse sulla terra, finché io ero
vivo". Il frate si svegliò a quella voce e riferì più tardi l'accaduto.
Tre notti dopo il Santo gli apparve nuovamente e gli ripeté la stessa cosa.
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CAPITOLO XXIV
LA CHIAROVEGGENZA
DEL SANTO E LA NOSTRA IGNORANZA
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54. Nessuno deve
meravigliarsi se questo profeta del nostro tempo si distingueva per tali
privilegi: il suo intelletto, libero dalla nebbia densa delle cose terrene e
non più soggetto alle lusinghe della carne, saliva leggero alle altezze celesti
e si immergeva puro nella luce. Irradiato in tal modo dallo splendore della
luce eterna, attingeva dalla Parola increata ciò che riecheggiava nelle parole.
Oh, quanto siamo diversi oggi, noi che avvolti dalle tenebre ignoriamo
anche le cose necessarie!
E quale la causa, se non perché
siamo amici della carne ed anche noi ci imbrattiamo di mondanità? Se invece assieme
alle mani, innalzassimo i nostri cuori al cielo, se stabilissimo la nostra
dimora nei beni eterni, verremmo forse a conoscere ciò che ignoriamo: Dio e noi
stessi.
Chi vive nel fango, vede
necessariamente solo fango; mentre non è possibile che l'occhio fisso al cielo
non comprenda le realtà celesti.
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LA POVERTA'
CAPITOLO XXV
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55. Mentre si
trovava in questa valle di lacrime, il beato padre disprezzava le povere
ricchezze comuni ai figli degli uomini e aspirava di tutto cuore alla
povertà, desiderando più alta gloria. E poiché osservava che la povertà, mentre
era stata intima del Figlio di Dio, veniva pressoché rifiutata da tutto il
mondo, bramò di sposarla con amore eterno. Perciò innamorato della sua
bellezza, per aderire più fortemente alla sposa ed essere due in un solo
spirito, non solo lasciò padre e madre, ma si distaccò da tutto. Da
allora la strinse in casti amplessi e neppure per un istante accettò di
non esserle sposo. Ripeteva ai suoi figli che questa è la via della perfezione,
questo il pegno e la garanzia delle ricchezze eterne. Nessuno fu tanto avido di
oro, quanto lui di povertà, né alcuno più preoccupato di custodire un tesoro,
quanto lui la gemma evangelica. Il suo sguardo in questo si sentiva
particolarmente offeso, se nei frati--o in casa o fuori-- vedeva qualcosa di
contrario alla povertà.
E in realtà, dall'inizio della
sua vita religiosa sino alla morte, ebbe come sua ricchezza una tonaca sola,
cingolo e calzoni: non ebbe altro. Il suo aspetto povero indicava chiaramente
dove accumulasse le sue ricchezze. Per questo, lieto, sicuro, agile alla corsa,
godeva di aver scambiato con un bene che valeva cento volte le ricchezze
destinate a perire.
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LA POVERTA' DELLE CASE
CAPITOLO XXVI
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642
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56. Insegnava ai
suoi a costruirsi piccole abitazioni e povere, di legno non di pietra, e cioè
piccole capanne, di forma umile. Spesso, parlando della povertà, ricordava ai
frati il detto evangelico: "Le volpi hanno tane e gli uccelli del cielo
nidi, ma il Figlio di Dio non ebbe dove posare il capo ".
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CAPITOLO XXVII
COMINCIA A
DEMOLIRE UNA CASA
PRESSO LA
PORZIUNCOLA
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643
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57. Una volta si
doveva tenere il Capitolo presso Santa Maria della Porziuncola. Mentre era
imminente il tempo fissato, il popolo di Assisi osservò che non vi era una
abitazione adatta e, all'insaputa dell'uomo di Dio, assente in quel periodo,
costruì una casa per il Capitolo, nel minor tempo possibile.
Quando il Padre ritornò, guardò
con meraviglia quella casa e ne fu molto amareggiato e addolorato. Subito, per
primo, si accinse ad abbatterla. Salì sul tetto e con mano vigorosa rovesciò
lastre e tegole. Pure ai frati comandò di salire e di togliere del tutto quel
mostro contrario alla povertà. Perché, diceva, qualunque cosa troppo vistosa
fosse stata tollerata in quel luogo, ben presto si sarebbe diffusa per l'Ordine
e sarebbe stata presa come esempio da tutti.
Ed avrebbe demolito dalle
fondamenta la casa, se i soldati presenti non si fossero opposti al fervore del
suo spirito, dichiarando che apparteneva non ai frati, ma al Comune.
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CAPITOLO XXVIII
DA UNA CASA DI
BOLOGNA FA USCIRE ANCHE
GLI INFERMI
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644
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58. Un'altra
volta, stava tornando da Verona con l'intenzione di passare per Bologna, quando
udi che vi era stata costruita una nuova casa dei frati. Poiché la voce diceva
"casa dei frati", egli cambiò direzione e passò altrove non andando a
Bologna. Mandò poi a dire ai frati di uscire subito da quella casa. Per questo
motivo, lasciato il luogo non vi rimasero neppure i malati, ma furono fatti
uscire assieme agli altri.
Né fu dato permesso di
ritornarvi sino a quando il Signor Ugolino, allora vescovo di Ostia e Legato in
Lombardia, predicando proclamò davanti a tutti che la suddetta casa era sua. Ne
è testimone e riferisce il fatto uno che trovandosi ammalato, fu in quella
occasione allontanato dalla casa.
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CAPITOLO XXIX
RIFIUTA DI ENTRARE
IN UNA CELLA
CHIAMATA CON IL
SUO NOME
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645
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59 Non voleva che
i frati abitassero in alcun luogo per quanto piccolo, se non constava con
certezza chi ne fosse il proprietario. Infatti nei suoi figli pretese sempre la
condizione di pellegrini, cioè che si raccogliessero sotto tetto altrui,
passassero da un luogo all'altro pacificamente e sentissero nostalgia della
patria.
Avvenne che nell'eremo di
Sarteano un frate chiedesse ad un confratello da dove venisse. "Dalla
cella di frate Francesco", rispose. Come l'udi, il Santo disse:
"Poiché hai dato alla cella il nome di Francesco, facendola mia proprietà,
cerca un altro che vi abiti, perché io non vi rimarrò più". E continuò:
" Il Signore, quando rimase nel deserto, dove pregò e digiunò per
quaranta giorni, non si fece costruire una cella né casa alcuna, ma dimorò
sotto una roccia del monte. Noi lo possiamo seguire, secondo la forma
prescritta, non possedendo nulla di proprio, quantunque non ci sia possibile
vivere senza l'uso di abitazioni ".
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CAPITOLO XXX
LA POVERTÀ NELL' ARREDAMENTO
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60. Questo uomo
non solo aborriva il lusso delle case, ma provava pure grande orrore per
l'abbondanza e la ricercatezza delle suppellettili. Non vedeva di buon occhio
nulla che sapesse di mondanità o nelle mense o nel vasellame. Tutto doveva
proclamare quasi in canto il loro stato di esuli e di pellegrini.
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CAPITOLO XXXI
LA MENSA PREPARATA
A GRECCIO NEL GIORNO DI PASQUA:
FRANCESCO SI
PRESENTA COME PELLEGRINO
SEGUENDO L' ESEMPIO DI CRISTO
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647
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61. Un giorno di
Pasqua, nell'eremo di Greccio i frati avevano preparata la mensa in modo più
accurato del solito, con tovaglie bianche e bicchieri di vetro. Anche il Padre
scende dalla cella per mangiare e vede la mensa rialzata da terra e preparata
con inutile ricercatezza. Ma se la mensa ride, egli non sorride affatto.
Di nascosto e adagio adagio
ritrae il passo, si pone in testa il cappello di un povero, presente in quel momento,
e con un bastone in mano se ne esce fuori. E alla porta aspetta che i frati
comincino a mangiare, perché erano soliti non aspettarlo quando non giungeva al
segnale fissato.
Hanno appena cominciato e quel
vero povero si mette a gridare dalla porta: "Per amore del Signore Iddio,
fate l'elemosina a questo pellegrino povero e ammalato".
"Entra pure qui, tu, per
amore di colui che hai invocato", gli rispondono i frati.
Entra subito e si presenta ai
commensali. Quale stupore dovette destare il pellegrino in quei comodi
cittadini!
Gli danno, a sua richiesta, una
scodella ed egli, seduto solo per terra, la pone sulla cenere. "Ora
sì,--esclama-- sto seduto come un frate minore!" E rivolto ai frati:
"Gli esempi della povertà del Figlio di Dio devono stimolare noi più degli
altri religiosi. Ho visto una mensa preparata con ricercatezza ed ho pensato
che non fosse quella di poveri che vanno di porta in porta ".
Il seguito del fatto dimostra
come Francesco fu simile a quel pellegrino, che nello stesso giorno era solo
in Gerusalemme, e nondimeno con le sue parole rese ardente il
cuore dei discepoli.
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CAPITOLO XXXII
CONTRO IL
DESIDERIO SMODATO DEI LIBRI
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648
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62. Insegnava a
cercare nei libri la testimonianza del Signore, non il valore materiale;
l'edificazione non la bellezza. In ogni caso voleva che se ne avessero pochi e
fossero sempre a disposizione dei frati che ne avessero bisogno. Un ministro
gli chiese licenza di tenere alcuni libri lussuosi e molto costosi. Si sentì
rispondere: "Per i tuoi libri non voglio perdere il libro del Vangelo, che
ho promesso di osservare. Tu farai come vorrai, ma non voglio che stendi un
tranello con il mio permesso ".
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LA POVERTA' NEI LETTI
CAPITOLOXXXIII
EPISODIO DEL
SIGNORE D' OSTIA E SUA LODE
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649
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63. Nei giacigli e
nei letti abbondava così ricca povertà che se uno poteva avere qualche povero
panno consunto sulla paglia, lo considerava un letto nuziale.
Mentre si teneva il Capitolo a
Santa Maria della Porziuncola, il Signor di Ostia con largo seguito di
cavalieri e di ecclesiastici si recò là a fare visita ai frati. Al vedere come
i frati dormivano per terra ed osservando i letti,--che avresti creduto covili
di fiere--scoppiò in lacrime amare: " Ecco, dove dormono i frati! "
esclamò di fronte a tutti, ed aggiunse: "Cosa sarà di noi miseri, che
usiamo malamente di tante cose superflue?".
Tutti i presenti, commossi sino
alle lacrime, si allontanarono assai edificati.
Questi era il Signore d'Ostia,
che fatto poi porta massima della Chiesa, si oppose sempre ai nemici, fino a
che rese al cielo, come ostia santa, I'anima beata.
O cuore generoso, o
viscere di carità! Posto in alto, si affliggeva di non avere alti meriti,
mentre in realtà era più insigne per la virtù che per la dignità. |
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CAPITOLO XXXIV
COSA GLI ACCADDE
UNA NOTTE PER UN GUANCIALE
DI PIUME
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650
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64. Poiché abbiamo
fatto cenno ai letti, viene a mente un altro episodio forse utile a ricordarsi.
Da quando convertito a Cristo
aveva dimenticato volontariamente le cose terrene, il Santo non
volle più coricarsi su un materasso, né avere sotto il capo un cuscino di
piume. Né infermità né ospitalità offertagli da altri potevano infrangere
questa barriera di severità.
Gli capitò però nell'eremo di
Greccio, che, essendo ammalato agli occhi più del solito, fu costretto controvoglia
a servirsi di un modesto cuscino. Durante la prima notte sul far del giorno, il
Santo chiama il compagno e gli dice " Fratello, non ho potuto dormire
questa notte e neppure stare in piedi a pregare. Mi trema il capo, si piegano
le ginocchia e mi sento scosso in tutto il corpo come se avessi mangiato pane
di loglio. Credo--aggiunse--che vi sia il diavolo in questo cuscino che ho
sotto il capo. Toglilo via, perché non voglio più avere il diavolo sotto la
testa".
Il frate cerca di consolare il
Padre, che continua a lamentarsi sottovoce, e prende a volo il cuscino, che gli
è stato gettato, per portarlo via. Sta per uscire, quando alI'improvviso perde
la parola, ed è colto da tanto orrore e bloccato in tale modo che non riesce a
muoversi dal luogo né ad articolare minimamente le braccia.
Poco dopo fu chiamato dal Santo,
che si era accorto del fatto: fu così liberato e, tornato indietro, raccontò
quello che gli era accaduto. "Ieri sera--gli disse il Santo-- mentre
recitavo compieta, ho capito con tutta chiarezza che il diavolo stava per
venire alla mia cella". E aggiunse: "Il nostro nemico è molto astuto
e di sottile ingegno: non potendo nuocere dentro all'anima, offre materia di
malcontento almeno al corpo".
Facciano bene attenzione quelli
che dispongono cuscini da ogni lato, così da appoggiarsi sul soffice
ovunque si rivoltino. Il diavolo segue volentieri la molta ricchezza, gode di
stare vicino a letti di gran pregio, particolarmente quando non si è costretti
da necessità e lo vieta l'ideale professato.
E al contrario l'antico
serpente rifugge dall'uomo spoglio d'ogni cosa, sia perché sdegna la
compagnia del povero, sia perché teme l'altezza della povertà. Se il frate
riflette che sotto le piume c'è il diavolo, il suo capo sarà contento della
paglia.
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ESEMPI DI AVVERSIONE AL DENARO
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CAPITOLO XXXV
SEVERA CORREZIONE
AD UN FRATE
CHE LO HA TOCCATO
CON LE MANI
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651
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65. Francesco,
sommamente innamorato di Dio, aveva un grande disprezzo per tutte le cose
terrene, ma soprattutto detestava il denaro. Cominciò a disprezzarlo in
modo tutto particolare fino dagli inizi della sua conversione e raccomandava ai
seguaci di fuggirlo come il diavolo in persona. Aveva suggerito loro questo
accorgimento, di fare lo stesso conto del denaro e dello sterco.
Un giorno entrò a pregare in
Santa Maria della Porziuncola un secolare e depose la sua offerta in denaro
presso la croce. Appena questi uscì, un frate la prese semplicemente con la
mano e la gettò sul muretto della finestra. La cosa fu riferita al Santo, ed il
frate vedendosi scoperto in fallo, corse per averne il perdono e si prostrò a
terra in attesa della punizione. Il Santo lo accusò e rimproverò aspramente per
avere toccato il denaro e gli comandò di togliere con la bocca la moneta dalla
finestra e di deporla sempre con la bocca fuori casa, su sterco d'asino. Il
frate eseguì volentieri l'ordine ed i presenti furono pieni di timore. Tutti
impararono a disprezzare ancor più il denaro, che era stato paragonato così
allo sterco, e venivano animati a questo atteggiamento ogni giorno da nuovi
esempi.
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CAPITOLO XXXVI
CASTIGO Dl UN
FRATE
CHE HA RACCOLTO DA
TERRA DEL DENARO
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652
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66. Una volta due
frati, camminando insieme giungono presso un ospedale dei lebbrosi. Sulla
strada scorgono del denaro e si fermano discutendo cosa fare di quello sterco.
Uno di essi, ridendosi degli scrupoli del fratello, vorrebbe raccoglierlo per
offrirlo a quelli che servono, a pagamento, i lebbrosi. Ma glielo impedisce il
compagno, col dirgli che è ingannato da falsa pietà. Ricorda pure al temerario
la parola della Regola, dalla quale risulta abbastanza chiaro che il denaro
trovato deve essere calpestato come polvere; ma quello, testardo di natura,
rifiuta gli avvertimenti. Trascurando la Regola, si china e raccoglie la
moneta. Ma non sfugge al castigo divino: sull'istante è reso muto, batte i
denti e non riesce a dire una parola.
A questo modo il castigo mise in
luce la sua insania, e quel superbo punito imparò ad obbedire alla legge del
padre. Infine, gettato via quel puzzo disgustoso, le sue labbra impure si
purificarono alle acque della penitenza e si aprirono alla lode.
Lo conferma il vecchio
proverbio: Correggi lo stolto e ti sarà amico.
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CAPITOLO XXXVII
RIMPROVERA UN
FRATE
CHE VORREBBE
METTERE DA PARTE DEL DENARO
CON IL PRETESTO DELLA NECESSITÀ
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653
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67. Il vicario del
Santo, frate Pietro di Cattanio aveva osservato che a Santa Maria della
Porziuncola arrivava un gran numero di frati forestieri e che le elemosine non
erano così abbondanti da bastare alle necessità. Si rivolse allora a Francesco
e gli disse: "Non so, fratello, cosa debba fare, perché non posso
provvedere a sufficienza ai molti frati, che giungono qui a frotte da ogni
parte. Permetti, ti prego, che si conservi parte dei beni dei novizi, che
vengono all'Ordine, per farvi ricorso e spenderli al momento opportuno ".
"Fratello
carissimo,--rispose il Santo--Dio ci liberi da una tale pietà, che per un uomo,
chiunque sia, ci comportiamo in modo empio verso la Regola".
E quello: " Allora, cosa
debbo fare? ".
"Spoglia--rispose--l'altare
della Vergine e portane via i vari arredi, se non potrai soddisfare
diversamente le esigenze di chi ha bisogno. Credimi, le sarà più caro che sia
osservato il Vangelo del Figlio suo e nudo il suo altare piuttosto che vedere
l'altare ornato e disprezzato il Figlio. Il Signore manderà poi chi possa
restituire alla Madre quanto ci ha dato in prestito".
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CAPITOLO XXXVIII
DENARO MUTATO IN
SERPENTE
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654
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68. Passava una
volta l'uomo di Dio con un compagno attraverso la Puglia e, presso Bari,
s'imbatté sulla strada in una gran borsa, chiamata fonda dai commercianti,
gonfia di monete. Il compagno richiama l'attenzione del Santo e con insistenza
vorrebbe indurlo a prendere da terra la borsa, per darne il denaro ai poveri.
Esalta la pietà per i poveri e loda l'opera di misericordia che si compirebbe
elargendo quella somma.
Il Santo si rifiuta
assolutamente e afferma che è una astuzia del diavolo. "Non si deve,
figlio,--dice--portare via ciò che è di altri. Donare la roba altrui non merita
gloria, ma va punito perché è peccato".
Si allontanano poi presi dalla
fretta di terminare il viaggio iniziato. Ma il compagno, deluso nella sua pietà
poco illuminata, non è contento e insiste nel proporre la trasgressione.
Il Santo accetta di ritornare
sul luogo, non per fare quanto il frate desidera, ma per mostrare a
quello stolto il mistero di Dio. Chiama un giovane, che era seduto
sull'orlo di un pozzo lungo la strada, affinché sulla parola di due o
tre testimoni si manifesti il segreto della Trinità. E ritornati tutti e
tre alla fonda, la vedono rigonfia di denaro.
Il Santo ordina che nessuno si
avvicini, per poter manifestare con la preghiera l'astuzia del demonio e, portatosi
a un tiro di sasso, si immerge in devota preghiera. Poi ritornato ordina al
compagno di sollevare la borsa, che in seguito al suo pregare racchiudeva un
serpente in vece del denaro.
Il frate trema sconcertato, e
preso non so da quale presentimento, rivolge nell'animo pensieri ben diversi da
prima. Ma infine, allontanando ogni dubbiosità del cuore per rispetto alla
santa obbedienza, afferra la borsa. Ed ecco, un grosso serpente sguscia dalla
borsa e rende palese al frate l'inganno diabolico. Concluse il Santo: "Il
denaro, o fratello, per i servi di Dio non è altro che il diavolo ed un
serpente velenoso".
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LA POVERTA' DEI VESTITI
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CAPITOLO XXXIX
IL SANTO
RIMPROVERA CON LA PAROLA E L' ESEMPIO
CHI SI VESTE CON
RAFFINATA DELICATEZZA
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655
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69. Rivestito di virtù dall'alto,
Francesco era interiormente caldo di fuoco divino, più di quanto lo fosse all'esterno
per il vestito del corpo. Detestava chi nell'Ordine indossava molte vesti ed
usava senza necessità indumenti delicati. Asseriva inoltre che dà segno di spirito
estinto colui che accampa la necessità, mosso non dalla ragione ma dai
sensi.
"Quando lo spirito --
diceva -- si intiepidisce e si raffredda gradatamente, è inevitabile che la
carne ed il sangue cerchino ciò che è loro proprio. Cosa rimane infatti
quando l'anima non trova più i suoi piaceri, se non che la carne si rivolga ai
suoi? Allora l'istinto naturale maschera il momento della necessità e la mentalità
carnale forma la coscienza".
E aggiungeva: " Ammettiamo
pure che un mio frate si trovi in vera necessità, che lo colpisca un qualsiasi
bisogno: quale ricompensa ne avrà, se cerca in tutta fretta di
soddisfarli e di allontanarli da sé? Gli è capitata un'occasione di merito, ma
ha dimostrato bellamente di non gradirla ". Con queste e simili parole
inchiodava quelli che erano intolleranti delle ristrettezze, perché il non
sopportarle pazientemente non vuole dire altro che desiderare nuovamente
l'Egitto.
Inoltre non voleva che per alcun
motivo i frati avessero più di due tonache, che tuttavia permetteva di
rinforzare cucendovi pezze.
Comandava di avere in orrore gli
indumenti delicati e rimproverava in modo durissimo, davanti a tutti, quanti
venivano meno. E per confondere questi tali col suo esempio, cucì del sacco
ruvido sulla propria tonaca; anche in morte chiese che la tonaca per le esequie
fosse ricoperta di sacco grossolano.
Tuttavia ai frati stretti da
malattia o altra necessità, permetteva che portassero sotto, aderente alla
pelle, una tonaca morbida, in modo però che all'esterno l'abito si conservasse
sempre ruvido e vile.
Diceva infatti: "Tanto si
mitigherà il rigore e trionferà la tiepidezza, che i figli di un padre povero
non si vergogneranno di portare abiti di scarlatto, mutandone solo il
colore". Ne deriva che non è a te, o Padre, che mentiamo noi
figli degeneri, ma la nostra iniquità mente piuttosto a se stessa.
Ecco infatti, che diventa più chiara della luce e cresce ogni giorno più.
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CAPITOLO XL
CHI SI ALLONTANA
DALLA POVERTA',
SARÀ PUNITO DALLA MISERIA
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70. A volte il Santo era solito anche
ripetere: "Quanto i frati si allontaneranno dalla povertà, altrettanto il
mondo si allontanerà da loro, e cercheranno, ma non troveranno. Ma se
rimarranno abbracciati alla mia signora povertà, il mondo li nutrirà, perché
sono stati dati al mondo per la sua salvezza".
E ancora: "Vi è un patto
tra il mondo ed i frati: i frati si obbligano a dare al mondo il buon esempio,
ed il mondo a provvedere alle loro necessità. Se, rompendo i patti, i frati
ritireranno da parte loro il buon esempio, il mondo per giusto castigo ritrarrà
la mano".
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Per riguardo alla
povertà, l'uomo di Dio aveva paura del gran numero di frati, perché se non in
realtà, almeno in apparenza anche ciò è segno di ricchezza. Perciò diceva:
"Oh, potesse venire, dico, venga il giorno in cui il mondo vedendo i frati
minori assai di raro, ne abbia stima per il loro piccolo numero!".
Stretto da un legame
indissolubile a madonna Povertà, non mirava alla sua dote presente, ma a quella
futura.
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Cantava pure con
più fervido affetto e gaudio più lieto i salmi che magnificano la povertà, come
quello che dice: La speranza dei poveri non sarà delusa in eterno, e
l'altro: Vedano i poveri e si rallegrino.
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DEL CHIEDERE L'ELEMOSINA
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CAPITOLO XLI
ELOGIO DEL
CHIEDERE L' ELEMOSINA
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659
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71. Il Padre usava molto più volentieri
delle elemosine raccolte di porta in porta che di quelle fatte spontaneamente.
Diceva che vergognarsi di mendicare è contrario alla salvezza, mentre ribadiva,
nel mendicare è santa la vergogna che non ritrae il piede. Per lui era
meritevole di lode il rossore, che spunta su un volto sensibile, ma non
altrettanto l'imbarazzo che confonde. A volte esortando i suoi a domandare la
carità, usava queste parole: "Andate, perché in questo ultimo tempo i
frati minori sono stati dati al mondo, affinché gli eletti compiano verso di
essi azioni degne di essere premiate dal Giudice: Ciò che avete fatto ad uno
di questi miei fratelli minori l'avete fatto a me. Per questo diceva che il
suo ordine aveva ricevuto un singolare privilegio dal Grande Profeta,
che ne aveva indicato così chiaramente il nome.
E pertanto voleva che i frati abitassero
non solo nelle città, ma anche negli eremi, affinché tutti vi trovassero
occasione di merito e fosse tolta ai malvagi ogni apparenza di scusa.
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CAPITOLO XLII
ESEMPIO DEL SANTO
NEL CHIEDERE L' ELEMOSINA
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660
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72. Per non
offendere neppure una volta quella santa sposa, il servo del Dio altissimo si
comportava solitamente così: se, invitato da persone facoltose, prevedeva di
essere onorato con mense piuttosto copiose, prima andava elemosinando alle case
vicine tozzi di pane e poi, così ricco di povertà, correva a sedersi a tavola.
A chi gli chiedeva perché
facesse così, rispondeva che per un feudo di un'ora, non voleva lasciare una
eredità stabile. " È la povertà--diceva--che ci ha fatti eredi e re
del regno dei cieli, non le vostre false ricchezze ".
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CAPITOLO XLIII
COME SI COMPORTÒ
IN CASA DEL SIGNOR D' OSTIA
E SUA RISPOSTA AL VESCOVO
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661
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73. Un giorno
Francesco fece visita al papa Gregorio, di veneranda memoria, quando era ancora
di dignità inferiore. Avvicinandosi l'ora del pranzo, andò ad elemosinare e, di
ritorno, dispose sulla tavola del vescovo frustoli di pane nero.
Il vescovo, quando li vide,
sentì piuttosto vergogna, soprattutto a causa dei nuovi invitati. Il Padre con
volto lieto distribuì ai cavalieri e ai cappellani commensali i tozzi di pane:
tutti li accettarono con particolare devozione, e alcuni di essi ne mangiarono,
altri li conservarono per riverenza. Finito il pranzo, alzatosi, il vescovo
chiamò nella sua stanza l'uomo di Dio, e protendendo le braccia, lo strinse
amorosamente: "Fratello mio,--gli disse--perché nella casa che è tua e dei
tuoi fratelli, mi hai fatto il torto di andare per l'elemosina?".
"Anzi,--rispose il
Santo--vi ho reso onore, onorando un Signore più grande. Perché Dio si compiace
della povertà, e soprattutto della mendicità volontaria. Da parte mia ritengo
dignità regale e insigne nobilità seguire quel Signore, che pur essendo
ricco si è fatto povero per noi ". E aggiunse: "Trovo maggiori
delizie in una mensa povera preparata con piccole elemosine, che in una ricca
dove a mala pena si conta il numero delle portate".
Il vescovo ne rimase moltissimo
edificato e disse al Santo: "Figlio, fa pure ciò che ti sembra bene,
perché il Signore è con te ".
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CAPITOLO XLIV
ESORTA CON L'
ESEMPIO E LA PAROLA
A CHIEDERE L'
ELEMOSINA
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74. Da principio,
sia per allenare se stesso alla mortificazione sia per indulgenza verso la
ritrosia dei frati, spesso andava per l'elemosina lui solo. Ma una volta,
vedendo che molti non sentivano l'esigenza della loro vocazione, disse: "Carissimi
fratelli, il Figlio di Dio era più nobile di noi, eppure per noi si è fatto
povero in questo mondo. Per suo amore abbiamo scelto la via della povertà:
non dobbiamo sentirci umiliati di andare per l'elemosina. Non è mai decoroso per
gli eredi del regno arrossire della caparra della eredità celeste.
Vi dico che molti nobili e sapienti si uniranno alla nostra
congregazione e si sentiranno onorati di chiedere l'elemosina. Pertanto voi,
che ne siete la primizia, gioite ed esultate, e non rifiutate di compiere ciò
che trasmetterete da fare a quei santi.
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CAPITOLO XLV
RIMPROVERO AD UN
FRATE
CHE RIFIUTAVA DI
MENDICARE
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75. Francesco
ripeteva spesso che il vero frate minore non dovrebbe lasciar passare molto
tempo, senza andare per l'elemosina. "E quanto è più nobile--diceva--un
mio figlio, tanto più sia pronto ad andare, perché in tale modo accumula meriti
".
Vi era in un luogo un certo
frate che non si prestava per la questua, ma valeva per quattro a tavola.
Notando il Santo che era amico del ventre, partecipe del frutto, ma non della
fatica, un giorno lo riprese così: "Va' per la tua strada, frate mosca,
perché vuoi mangiare il sudore dei tuoi fratelli e rimanere ozioso nell'opera
di Dio. Ti rassomigli a frate fuco, che lascia lavorare le api, ma vuole
essere il primo a mangiare il miele ".
Quell'uomo carnale, vedendosi
scoperto nella sua voracità, ritornò al mondo, che non aveva ancora
abbandonato. Uscì dalla Religione e chi non aveva contato niente per la
questua, non contò più nulla come frate. Chi valeva molti a tavola, finì per
essere un pluridemonio.
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CAPITOLO XLVI
VA INCONTRO AD UN
FRATE CHE PORTA L' ELEMOSINA
E GLI BACIA LA
SPALLA
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76. Un'altra volta
un frate se ne tornava con l'elemosina da Assisi alla Porziuncola. Giunto nelle
vicinanze del luogo, cominciò a cantare e a lodare Iddio ad alta voce. Appena
lo udi il Santo balzò in piedi, corse fuori e, baciata la spalla dei frate, si
caricò la bisaccia sulle proprie spalle, ed esclamò: "Sia benedetto il mio
fratello, che va prontamente, questua con umiltà e ritorna pieno di gioia
".
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CAPITOLO XLVII
INDUCE ALCUNI
CAVALIERI A CHIEDERE L' ELEMOSINA
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77. Mentre
Francesco, pieno di malattie e quasi prossimo a morire, si trovava nel luogo di
Nocera, il popolo di Assisi mandò una solenne deputazione a prenderlo per
non lasciare ad altri la gloria di possedere il corpo dell'uomo di Dio. I
cavalieri, che lo trasportavano a cavallo con molta devozione raggiunsero la
poverissima borgata di Satriano, proprio quando la fame e l'ora facevano sentire
il bisogno di cibo. Ma per quanto cercassero, non trovarono nulla da comprare.
Allora i cavalieri tornarono da Francesco e gli dissero: "È necessario che
tu ci dia parte delle tue elemosine, perché qui non riusciamo a trovare nulla
da comprare ".
"Per questo motivo voi non
trovate,--rispose il Santo --perché confidate più nelle vostre mosche che in
Dio ". Chiamava evidentemente mosche i denari. " Ma --
continuò--ripassate dalle case dove siete già stati e chiedete umilmente
l'elemosina, offrendo in luogo dei denari l'amore di Dio! Non vergognatevi,
perché dopo il peccato viene concesso tutto in elemosina e quel grande
Elemosiniere dona largamente e con bontà a tutti, degni e indegni".
Deposta la vergogna, i cavalieri
andarono subito a chiedere la carità, e trovarono da comprare assai più
"per amore di Dio" che col denaro. Tutti offrirono a gara, con volto
lieto, e non dominò più la fame, dove prevalse la ricca povertà.
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CAPITOLO XLVIII
AD ALESSANDRIA UN
PEZZO Dl CAPPONE
VIENE CAMBIATO IN
PESCI
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78. Nella questua
cercava più il vantaggio delle anime di chi donava, che un aiuto materiale alla
carne e voleva essere di esempio agli altri sia nel dare che nel ricevere.
Mentre si recava a predicare ad
Alessandria di Lombardia, fu ospitato devotamente da un uomo timorato di Dio e
di lodevole fama, che lo pregò di mangiare, secondo quanto prescrive il
Vangelo, di tutto quello che gli fosse posto davanti. Ed egli acconsentì
volentieri, vinto dalla gentilezza dell'ospite.
Questi corre in tutta fretta e
prepara con ogni cura all'uomo di Dio un cappone di sette anni. Mentre il
patriarca dei poveri è seduto a mensa e tutta la famiglia è in festa,
improvvisamente si presenta alla porta un figlio di Belial, che si
fingeva mancante del necessario, ma era povero soprattutto della grazia. Nel
chiedere l'elemosina, mette avanti l'amore di Dio e con voce pietosa domanda di
essere aiutato in nome di Dio.
Appena il Santo ode il nome
benedetto al di sopra di tutte le cose e per lui dolce più del miele,
prende molto volentieri una coscia del pollo che gli era stato servito e,
messala su un pane, la manda al mendicante. Ma, per dirla in breve, quel
disgraziato mette via ciò che gli è stato donato per poter screditare il Santo.
79 Il giorno dopo il Santo, come
era solito, predica la parola di Dio al popolo, che si è radunato.
All'improvviso quello scellerato manda un grido, mentre cerca di mostrare a
tutto il popolo il pezzo di cappone. " Ecco--strilla --che uomo è questo
Francesco che vi predica e che voi onorate come santo: guardate la carne che mi
ha data ieri sera, mentre mangiava ".
Tutti danno sulla voce a quel
briccone e lo insultano come indemoniato, perché in realtà sembrava a tutti
essere pesce, ciò che lui sosteneva fosse invece una coscia di cappone. Infine
anche quel miserabile, stupito del miracolo, fu costretto ad ammettere che
avevano ragione. Il disgraziato ne sentì vergogna, e pentito espiò una colpa
così palese: davanti a tutti chiese perdono al Santo, manifestando l'intenzione
perversa avuta. Anche la carne riprese il suo aspetto, dopo che il falso
accusatore si fu ricreduto.
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QUELLI CHE RINUNZIANO AL MONDO
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CAPITOLO XLIX
IL SANTO
RIMPROVERA UN TALE
CHE HA DISTRIBUITO
I SUOI BENI
NON Al POVERI MA
AI PARENTI
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80. A chi voleva
entrare nell'Ordine il Santo insegnava a ripudiare anzitutto il mondo,
offrendo a Dio prima i beni esterni, poi a fare il dono interiore di se stessi.
Non ammetteva all'Ordine se non chi si era spogliato di ogni avere, senza
ritenere nulla assolutamente, sia per la parola del santo Vangelo, sia perché
non fosse di scandalo il peculio personale.
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668
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81. Un giorno,
dopo una predica del Santo nella Marca di Ancona, si presentò uno, che gli
chiese umilmente di entrare nell'Ordine. "Se ti vuoi unire ai poveri di
Dio-- gli rispose Francesco--distribuisci prima i tuoi beni ai poveri del
mondo". A queste parole quegli se ne andò e, guidato da amore carnale,
distribuì i suoi averi ai parenti, niente ai poveri. Ritornato ed avendo
riferito al Santo la sua generosa munificenza: "Va per la tua strada,
frate mosca,--gli disse con ironia il Padre--perché non sei ancora uscito
dalla tua casa e dalla tua parentela. Ai tuoi consanguinei hai dato i tuoi
beni, ed hai defraudato i poveri: non sei degno dei poveri servi di Dio.
Hai cominciato dalla carne ed hai posto un fondamento rovinoso per un edificio
spirituale".
Se ne ritornò quell'uomo
carnale ai parenti e riprese i suoi beni, perché non avendo voluto
lasciarli ai poveri, aveva ben presto abbandonato il suo proposito di
perfezione.
Quanti oggi si ingannano con
questa messinscena della distribuzione dei loro beni e vogliono dare inizio ad
una vita di perfezione con un comportamento così mondano!
Infatti nessuno si consacra a
Dio per arricchire i suoi parenti, ma per riscattare i suoi peccati col prezzo
della misericordia, e così acquistare la vita eterna col frutto di opere
buone.
Inoltre insegnava spesso che
"se i frati si trovavano in necessità " dovevano ricorrere ad
estranei piuttosto che ai postulanti, anzitutto per l'esempio, poi per evitare ogni
specie di turpe interesse.
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CAPITOLO L
UNA VISIONE
RELATIVA ALLA POVERTÀ
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82. Piace qui
riportare una visione del Santo, degna di essere ricordata.
Una notte, terminata finalmente
una lunga preghiera, si assopì a poco a poco e si addormentò.
Quell'anima santa viene
introdotta nel santuario di Dio, e vede in sogno, tra l'altro, una donna
di questo aspetto: la testa sembrava d'oro, il petto e le braccia d'argento, il
ventre di cristallo e le gambe di ferro. Era alta di statura, di complessione
snella e armoniosa. Ma la donna, nonostante fosse di bella presenza, indossava
uno squallido mantello.
Al mattino, alzatosi, il Padre
espose la visione a frate Pacifico, uomo santo, senza spiegarne il significato.
Molti l'hanno interpretato a loro piacimento. Ma non credo che sia fuori luogo
tenere l'interpretazione suggerita dallo Spirito Santo al predetto Pacifico,
durante il racconto stesso.
"Questa donna di bella
presenza--spiegò--è l'anima bella di san Francesco. La testa d'oro significa la
contemplazione e la conoscenza delle verità eterne; il petto e le braccia
d'argento sono le parole del Signore che meditava nel suo cuore e concretizzava
nelle opere. Il cristallo rigido e trasparente indica rispettivamente la sua
sobrietà e castità; il ferro la sua tenace perseveranza. Infine il povero
mantello significa lo spregevole e minuscolo corpo, che riveste la sua anima
preziosa ".
Tuttavia molti altri, che
hanno lo spirito di Dio, per questa donna intendono la povertà, in quanto
sposa del Padre "Questa--affermano--l'ha resa d'oro il premio della
gloria, d'argento la divulgazione della fama, cristallina la professione di
vivere senza denaro in perfetta coerenza dentro e fuori, di ferro la
perseveranza finale. Ma a questa nobile donna hanno intessuto uno straccio di
mantello gli uomini con la loro mentalità carnale ".
Altri, in numero maggiore,
applicano questa visione all'Ordine, seguendo la successione dei periodi
secondo l'uso di Daniele.
Ma che si riferisca al Padre è
evidente soprattutto dal fatto che non volle assolutamente interpretarla, per
non peccare di vanagloria. Mentre se andasse riferita all'Ordine, non l'avrebbe
passata sotto silenzio.
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LA COMPASSIONE DI SAN FRANCESCO VERSO I POVERI
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CAPITOLO LI
PROVA COMPASSIONE
PER I POVERI
E INVIDIA PER I PIÙ
POVERI Dl LUI
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670
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83. Chi potrebbe
esprimere la compassione di questo uomo verso i poveri? Era certamente di cuore
buono per natura, ma lo divenne doppiamente per la carità che gli venne data
dall'alto. Perciò l'animo di Francesco si struggeva davanti ai
poveri, e quando non poteva porgere la mano, donava almeno il suo affetto.
Qualunque fosse il bisogno e
qualsivoglia necessità vedeva in altri, rivolgendo l'animo con rapida
riflessione, li riferiva a Cristo. Così in tutti i poveri riconosceva il Figlio
della Madonna povera e portava nudo nel cuore Colui, che lei aveva portato nudo
tra le braccia.
Anzi, mentre aveva allontanato
da sé ogni invidia, non poté rimaner privo della sola invidia della povertà. Se
vedeva qualcuno più povero di lui, ne provava subito un sentimento di gelosia,
e cimentandosi in una gara di povertà, temeva di essere superato a suo
confronto.
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84. Una volta,
mentre andava predicando, incontrò sulla strada un povero. Osservando la sua
nudità, si rivolse addolorato al compagno: "La miseria di questo uomo ci
fa grande vergogna e rimprovera sommamente la nostra povertà ".
" Perché, fratello? "
chiese il compagno.
E il Santo con accento triste:
"Ho scelto per mia ricchezza e mia donna la povertà; ma ecco che
rifulge maggiormente in costui. Non sai tu che si è sparsa per tutto il mondo
la fama che noi siamo i più poveri per amore di Cristo? Ma questo povero ci
convince che le cose non stanno così".
O invidia, quale non si è mai
vista! O emulazione, che i figli dovrebbero emulare! Questa non è l'invidia che
si affligge dei beni altrui o che si rabbuia ai raggi del sole. Non è quella
che si contrappone alla pietà e si torce per il livore. O forse tu pensi che la
povertà evangelica non abbia nulla che susciti invidia? Essa ha Cristo, e per
mezzo di lui ha il tutto in tutte le cose. Perché allora sei così avido
di rendite, o ecclesiastico dei nostri giorni? Domani riconoscerai che
Francesco è stato ricco, quando nella tua mano troverai le rendite dei
tormenti.
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CAPITOLO LII
CORREGGE UN FRATE
CHE SPARLA DI UN POVERO
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85. Un altro
giorno della sua predicazione, un poveretto, per di più infermo era al luogo
dov'era Francesco. Questi sentendo compassione per la duplice disgrazia, cioè
miseria e malattia, cominciò a parlare col compagno della povertà.
Era già passato, nei riguardi
del sofferente, dalla commiserazione all'affetto del cuore, quando il compagno
lo interruppe: "Sì, fratello, è povero, ma forse in tutta la provincia non
c'è nessuno più ricco di desideri".
Il Santo lo rimproverò lì su due
piedi e ingiunse al compagno che stava confessandogli la sua colpa: "Su,
presto: togliti la tonaca, inginocchiati ai piedi del povero e accusa
apertamente la tua colpa. E non soltanto gli chiederai perdono, ma in più
insisterai che preghi per te!".
Il frate obbedì e quando
ritornò, dopo aver compiuto la sua penitenza, il Santo gli disse: "Quando
vedi un povero, fratello, ti è messo innanzi lo specchio del Signore e della
sua Madre povera. Allo stesso modo nei malati devi considerare quali infermità
si è addossato per noi! ".
Veramente, Francesco portava
sempre sul cuore quel mazzetto di mirra, sempre fissava il volto del suo
Cristo, sempre rimaneva a contatto dell'Uomo dei dolori, che conosce
tutte le sofferenze!
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CAPITOLO LIII
REGALA IL MANTELLO AD UNA
VECCHIERELLA
PRESSO CELANO
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86. Un inverno a
Celano Francesco portava addosso. avvolto come un mantello, un panno che gli
aveva prestato un amico dei frati, di Tivoli.
Mentre alloggiava nel palazzo
del vescovo dei Marsi, s'imbatté in una vecchierella, che chiedeva l'elemosina.
Slacciò subito il pezzo di stoffa dal collo e, quantunque appartenesse ad
altri, lo donò alla povera vecchierella, dicendo: "Va', fatti un vestito,
ché ne hai veramente bisogno". La vecchietta, piena di stupore,--non so se
per timore o per la grande gioia--prende dalle sue mani il panno e si allontana
il più velocemente che può, lo taglia subito con le forbici per evitare, che
ritardando, abbia a doverlo restituire. Ma, visto che il pezzo di stoffa, una
volta tagliato, non basta a confezionare un vestito, fatta coraggiosa dalla
benevolenza sperimentata poco prima, ritorna dal Santo e gli espone come la
stoffa è insufficiente. Questi allora si rivolge al compagno, che ne ha indosso
altrettanto, e gli dice: "Senti, fratello, quello che dice questa
vecchierella? Sopportiamo il freddo per amore di Dio e dona a questa poveretta
il tuo panno perché possa terminare il suo vestito". Come l'aveva dato
lui, lo donò anche il compagno ed ambedue rimasero spogli, per rivestire la vecchietta.
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CAPITOLO LIV
DONA IL MANTELLO
AD UN ALTRO POVERO
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87. In altra
circostanza, mentre ritornava da Siena, si imbatté in un povero. Il Santo disse
al compagno: "Fratello, dobbiamo restituire il mantello a questo
poveretto, perché è suo. Noi l'abbiamo avuto in prestito sino a quando
non ci capitasse di incontrare uno più povero".
Il compagno, che aveva in mente
il bisogno del Padre caritatevole, opponeva forte resistenza perché non
provvedesse all'altro trascurando se stesso.
"Io non voglio essere
ladro--rispose il Santo--e ci sarebbe imputato a furto, se non lo dessimo
ad uno più bisognoso". L'altro cedette, ed egli donò il mantello.
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CAPITOLO LV
ALTRO FATTO SIMILE
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88. Un fatto
simile accadde alle Celle di Cortona. Francesco aveva indosso un mantello
nuovo, che i frati avevano procurato proprio per lui, quando giunse un povero,
che piangeva la morte della moglie e la famiglia lasciata nella miseria.
"Ti dò questo mantello per
amore di Dio--gli disse il Santo--a condizione che non lo ceda a nessuno, se
non te lo pagherà profumatamente ".
Corsero immediatamente i frati
per prendersi il mantello e impedire che fosse dato via. Ma il povero, reso
ardito dallo sguardo del Santo, si mise a difenderlo con mani ed unghie come
suo. Alla fine, i frati riscattarono il mantello ed il povero se ne andò con il
prezzo ricevuto.
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CAPITOLO LVI
REGALA IL MANTELLO
AD UNO
PERCHÉ NON ABBIA
PIÙ' IN ODIO IL SUO PADRONE
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89. Una volta il
Santo incontrò un povero a Colle, nella campagna di Perugia. L'aveva già
conosciuto quando era ancora nel mondo, e gli disse: "Fratello, come
stai?". Ma quello, con l'animo pieno di livore, si mise a scagliare
maledizioni contro il suo padrone, che gli aveva tolti i suoi averi: "Sto
proprio male, grazie al mio padrone: che il Signore Onnipotente lo maledica!
".
Francesco sentì pietà più per la
sua anima che per il suo corpo, perché mostrava di covare un odio mortale e gli
disse: " Fratello, perdona per amore di Dio al tuo padrone: salverai la
tua anima e può darsi che ti restituisca il maltolto. Altrimenti hai perduto i
tuoi beni e perderai anche l'anima"
"Non gli posso
assolutamente perdonare, -- rispose l'altro -- se prima lui non mi restituisce
quanto mi ha preso".
Francesco aveva indosso un
mantello. " Ecco,--gli propose--, ti dò questo mantello e ti prego di
perdonare al tuo padrone, per amore del Signore Dio ". Raddolcito e mosso
da quella bontà, prese il dono e perdonò i torti del padrone.
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CAPITOLO LVII
REGALA AD UN
POVERO UN LEMBO DELLA SUA VESTE
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90. Un giorno un
povero gli chiese l'elemosina ed egli, non avendo niente per le mani, scucì un
lembo della tonaca e lo regalò al povero.
Altre volte, allo stesso fine,
si tolse perfino i calzoni. Tanta era la tenera compassione che provava per i
poveri e tanto l'affetto che lo spingeva a seguire le orme di Cristo povero.
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CAPITOLO LVIII
FA DARE ALLA MADRE
DI DUE FRATI, PERCHÉ POVERA,
LA PRIMA COPIA DEL
NUOVO TESTAMENTO
CHE EBBE L' ORDINE
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91. Un'altra volta
venne dal Santo la madre di due frati, a chiedere fiduciosamente l'elemosina.
Provandone vivo dolore, il Padre si rivolse al suo vicario, frate Pietro di
Cattanio: "Possiamo dare qualcosa in elemosina a nostra madre?".
Perché chiamava madre sua e di tutti i frati la madre di qualsiasi religioso.
Gli rispose frate Pietro: "In casa non c'è niente da poterle dare".
"Abbiamo solo--aggiunse --un Nuovo Testamento, che ci serve per le letture
a mattutino, essendo noi senza breviario".
Gli rispose Francesco: " Dà
alla nostra madre il Nuovo Testamento: lo venda secondo la sua necessità,
perché è proprio lui che ci insegna ad aiutare i poveri. Ritengo per certo che
sarà più gradito al Signore l'atto di carità che la lettura ".
Così fu regalato il libro alla
donna e fu alienato per questa santa carità il primo Testamento che ebbe
l'Ordine.
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CAPITOLO LIX
DONA IL MANTELLO
AD UNA POVERA DONNA
MALATA D' OCCHI
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92. Mentre san
Francesco si trovava nel vescovado di Rieti per curarsi gli occhi, una povera
donna di Machilone venne dal medico, perché anche lei aveva una malattia simile
a quella del Santo. Questi, parlando familiarmente al suo guardiano, cominciò a
poco a poco a persuaderlo all'incirca così:"Frate guardiano, dobbiamo
restituire ciò che è di altri ".
"Certo, padre, se abbiamo
qualcosa che non sia nostro ".
"Restituiamo--continuò--questo
mantello, che abbiamo ricevuto in prestito da quella poveretta, perché non ha
nulla in borsa per le sue spese".
" Ma -- obbiettò il
guardiano -- questo mantello è mio e non lo ho avuto in prestito da nessuno.
usalo finché vorrai, e quando non lo vuoi più usare, rendilo a me ". E in
realtà il guardiano l'aveva comprato poco prima, perché era necessario a san
Francesco.
"Frate guardiano, --
continuò il Santo -- tu mi sei sempre stato cortese: ti prego, mostra ora la
tua cortesia ".
"Ebbene padre, --concluse
il guardiano--fa come vuoi, come ti suggerisce lo Spirito".
Francesco chiamò allora un
secolare molto affezionato e gli disse: "Prendi questo mantello e dodici
pani, va' da quella donna poverella e dille così: Il povero, al quale hai
imprestato il mantello, ti ringrazia, ma ora riprendi ciò che è tuo
".
Quello andò e riferì come gli
era stato ordinato. La donna pensò che si volesse deriderla e gli rispose
arrossendo: "Lasciami in pace col tuo mantello! Non capisco di
che cosa parli ".
L'altro insistette e gli lasciò
tutto nelle mani. E la donna convinta che non c'era inganno, per timore che le
venisse tolta una fortuna così impensata, si alzò nottetempo e, senza pensare
alla cura degli occhi, se ne ritornò a casa col mantello.
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CAPITOLO LX
GLI APPAIONO TRE
DONNE LUNGO LA STRADA
E SCOMPAIONO DOPO
AVERLO SALUTATO
IN UN MODO NUOVO
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93. Riferirò in
breve un fatto mirabile, di interpretazione dubbia, ma quanto a verità
certissimo.
Francesco, il povero di Cristo,
mentre da Rieti era diretto a Siena per la cura degli occhi stava attraversando
la pianura presso Rocca Campiglia, in compagnia di un medico affezionato
all'Ordine.
Ed ecco apparire lungo la strada
al passaggio del Santo tre povere donne. Erano tanto simili di statura, di età,
di aspetto, che le avresti dette tre copie modellate su un unico stampo. Quando
Francesco fu vicino, esse, chinando il capo con riverenza gli rivolsero questo
singolare saluto: " Ben venga, signora povertà ". Il Santo si riempì
subito di gaudio indicibile, perché non c'era per lui saluto più gradito di
quello che esse gli avevano rivolto.
Pensando dapprima che le donne
fossero realmente povere, si rivolse al medico che l'accompagnava: "Ti
prego, per amore di Dio, fa' in modo che possa dare qualcosa a quelle
poverette". Quello prontissimo trasse fuori la borsa e, balzato di sella,
diede a ciascuna alcune monete.
Proseguirono quindi un poco per
la strada intrapresa, quando tutto ad un tratto volgendo attorno lo sguardo,
frate e medico, non videro ombra di donne in tutta la pianura. Altamente
stupiti aggiunsero anche questo fatto alle meraviglie del Signore, perché
evidentemente non potevano essere donne, quelle che erano volate via più rapide
degli uccelli.
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L'AMORE DI SAN FRANCESCO ALLA PREGHIERA
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CAPITOLO LXI
IL TEMPO, IL LUOGO
ED IL FERVORE
DELLA SUA PREGHIERA
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94. Francesco,
uomo di Dio, sentendosi pellegrino nel corpo lontano dal Signore,
cercava di raggiungere con lo spirito il cielo e, fatto ormai concittadino
degli Angeli, ne era separato unicamente dalla parete della carne. L'anima era
tutta assetata del suo Cristo e a Lui si offriva interamente nel corpo e nello
spirito.
Delle meraviglie della sua
preghiera diremo solo qualche tratto, per quanto abbiamo visto con i nostri
occhi ed è possibile esporre ad orecchio umano, perché siano d'esempio ai
posteri.
Trascorreva tutto il suo tempo
in santo raccoglimento, per imprimere nel cuore la sapienza; temeva di tornare
indietro se non progrediva sempre. E se a volte urgevano visite di secolari o
altre faccende, le troncava più che terminarle, per rifugiarsi di nuovo nella
contemplazione. Perché a lui, che si cibava della dolcezza celeste, riusciva
insipido il mondo, e le delizie divine lo avevano reso di gusto difficile per i
cibi grossolani degli uomini.
Cercava sempre un luogo
appartato, dove potersi unire non solo con lo spirito, ma con le singole
membra, al suo Dio. E se all'improvviso si sentiva visitato dal Signore,
per non rimanere senza cella, se ne faceva una piccola col mantello. E se a
volte era privo di questo, ricopriva il volto con la manica, per non svelare la
manna nascosta.
Sempre frapponeva fra sé e gli
astanti qualcosa, perché non si accorgessero del contatto dello sposo:
così poteva pregare non visto anche se stipato tra mille, come nel cantuccio di
una nave. Infine, se non gli era possibile niente di tutto questo, faceva un
tempio del suo petto.
Assorto in Dio e dimentico di se
stesso, non gemeva né tossiva, era senza affanno il suo respiro e scompariva
ogni altro segno esteriore.
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95. Questo il suo
comportamento in casa. Quando invece pregava nelle selve e in luoghi solitari,
riempiva i boschi di gemiti, bagnava la terra di lacrime, si batteva con la
mano il petto; e lì, quasi approfittando di un luogo più intimo e riservato,
dialogava spesso ad alta voce col suo Signore: rendeva conto al Giudice,
supplicava il Padre, parlava all'Amico, scherzava amabilmente con lo Sposo. E
in realtà, per offrire a Dio in molteplice olocausto tutte le fibre
del cuore, considerava sotto diversi aspetti Colui che è sommamente Uno.
Spesso senza muovere le labbra, meditava a lungo dentro di sé e, concentrando
all'interno le potenze esteriori, si alzava con lo spirito al cielo. In tale
modo dirigeva tutta la mente e l'affetto a quell'unica cosa che chiedeva
a Dio: non era tanto un uomo che prega,
quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente.
Ma di quanta dolcezza sarà stato
inondato, abituato come era a questi trasporti? Soltanto lui lo sa, io
non posso che ammirarlo. Solo chi ne ha esperienza, lo può sapere; ma è negato
a chi non l'esperimenta. Quando il suo spirito era nel pieno del fervore,
egli con tutto l'esteriore e con tutta l'anima completamente in
deliquio si ritrovava già nella perfettissima patria del regno dei
cieli.
Il Padre era solito
non trascurare negligentemente alcuna visita dello Spirito: quando gli si
presentava, l'accoglieva e fruiva della dolcezza che gli era stata data, fino a
quando il Signore lo permetteva. Così, se avvertiva gradatamente alcuni tocchi
della grazia mentre era stretto da impegni o in viaggio, gustava quella
dolcissima manna a varie e frequenti riprese. Anche per via si fermava,
lasciando che i compagni andassero avanti, per godere della nuova visita dello
Spirito e non ricevere invano la grazia.
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CAPITOLO LXII
CELEBRAZIONE
DEVOTA DELLE ORE CANONICHE
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96. Recitava le
ore canoniche con riverenza pari alla devozione. E quantunque fosse malato
d'occhi, di stomaco, di milza e di fegato, non voleva appoggiarsi durante la
salmeggiatura a muro o parete, ma assolveva l'obbligo delle ore sempre in piedi
e senza cappuccio, senza guardare attorno e senza interruzioni.
Quando camminava a piedi, si
fermava sempre per recitare le ore; se era a cavallo, scendeva a terra.
Un giorno ritornava da Roma
sotto una pioggia incessante: discese dal cavallo per dire l'Ufficio e
fermatosi ritto in piedi per lungo tempo, si bagnò tutto.
Ripeteva: " Se il corpo
mangia tranquillo il suo cibo, destinato ad essere con lui pasto di vermi, con
quanta pace e tranquillità l'anima deve prendere il suo cibo, che è il suo Dio!
".
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CAPITOLO LXIII
NELLA PREGHIERA
ALLONTANA LE DISTRAZIONI
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97. Credeva di
peccare gravemente, se mentre pregava era turbato da vani fantasmi. Quando ciò
capitava, ricorreva alla confessione per accusarsene subito. L'aveva resa così
abituale questa premura, che molto raramente era tormentato da questo genere di
mosche.
Durante una quaresima, aveva
fatto un piccolo vaso, per utilizzare i ritagli di tempo e non perderne neppure
uno. Ma un giorno, mentre recitava devotamente Terza, gli capitò di fermare per
caso gli occhi su quel vaso, e si accorse che l'uomo interiore era stato
ostacolato nel fervore. Afflitto perché la voce del cuore diretta all'orecchio
divino aveva subìto una interruzione, finita Terza, disse ai frati presenti:
" Ah, lavoro inutile che ha avuto tanto potere di me da deviare a sé il
mio spirito! Lo sacrificherò al Signore, perché ha impedito il
sacrificio diretto a lui ".
Detto ciò, afferrò il vaso e lo
gettò nel fuoco, dicendo: " Vergogniamoci di lasciarci distrarre da
fantasie inutili quando nel tempo della preghiera parliamo col Gran Re ".
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CAPITOLO LXIV
UN' ESTASI
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98. Spesso
rimaneva assorto preso da tanta dolcezza di contemplazione, che rapito fuori di
sé, non faceva capire a nessuno ciò che esperimentava di sovrumano. Tuttavia
anche da un solo fatto, che una volta avvenne in pubblico, possiamo dedurre con
quale frequenza dovesse essere profondamente immerso nella dolcezza celeste.
Un giorno doveva attraversare
sul dorso di un asino Borgo San Sepolcro, e poiché aveva fissato di riposare in
un lebbrosario, molti vennero a sapere del passaggio dell'uomo di Dio.
Accorrono da ogni parte, uomini e donne, desiderosi di vederlo e di toccarlo
con la devozione consueta. E che dire? Lo toccano e lo scuotono, gli tagliano
pezzi dell'abito per conservarli. Ma Francesco sembra insensibile a tutto e
niente avverte, come un morto, di ciò che avviene. Lo conducono finalmente al
luogo fissato, e dopo aver lasciato alle spalle Borgo da un pezzo, come se
provenisse da altro luogo, quel contemplatore delle cose celesti chiese
preoccupato quando sarebbero giunti a Borgo.
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CAPITOLO LXV
SUO CONTEGNO DOPO
LA PREGHIERA
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99. Quando
ritornava dalle sue preghiere personali, durante le quali si trasformava
quasi in un altro uomo, cercava di conformarsi quanto più poteva agli
altri, per il timore che, se appariva col volto raggiante, il venticello
dell'ammirazione non gli togliesse il merito guadagnato. Anzi spesso ripeteva
ai suoi intimi: "Quando il servo di Dio nella preghiera è visitato dal
Signore con qualche nuova consolazione, deve prima di terminare, alzare
gli occhi al cielo e dire al Signore a mani giunte:--Tu, o Signore, hai
mandato dal cielo questa dolce consolazione a me indegno peccatore: io te la
restituisco, affinché tu me la metta in serbo, perché io sono un ladro del tuo
tesoro--". E ancora: " Signore, toglimi il tuo bene in questo
mondo, e conservamelo per il futuro".
E continuava: " Così deve
comportarsi, in modo che, quando esce dalla preghiera, si mostri agli altri
così poverello e peccatore, come se non avesse conseguito nessuna nuova grazia
". E spiegava: "Per una mercede di poco valore capita di perdere un
bene inestimabile e di provocare facilmente il nostro benefattore a non ridarlo
più".
Infine, era suo costume alzarsi
a pregare così di nascosto e silenziosamente, che nessuno dei compagni poteva
accorgersi che si alzava o pregava. Quando invece alla sera si metteva a letto,
faceva rumore e quasi strepito, per far sentire a tutti che andava a coricarsi.
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CAPITOLO LXVI
UN VESCOVO LO
SORPRENDE IN PREGHIERA
E DIVENTA MUTO
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687
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100. Il vescovo di
Assisi andò un giorno, com'era sua consuetudine, per una visita amichevole da
Francesco, che stava pregando nel luogo della Porziuncola.
Appena entrato, si dirige con
poco riguardo, senza essere stato invitato, alla cella del Santo e, spinta la
porticina, fa per entrare, quando, nello sporgere il capo, lo vede in
preghiera: all'istante è scosso da tremore e mentre le membra si irrigidiscono
perde anche la parola. Subito, per volontà di Dio, è respinto violentemente
fuori e, sempre all'indietro, è trascinato lontano.
A mio parere, o il vescovo era
indegno di assistere a quel segreto misterioso, o Francesco meritava di godere più
a lungo della grazia, che già pregustava. Pieno di stupore, il vescovo ritornò
dai frati e, confessata la sua colpa con un cenno di parola, riacquistò la
favella.
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CAPITOLO LXVII
COME UN ABATE
SPERIMENTÒ L' EFFICACIA
DELLA SUA PREGHIERA
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688
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101. L'abate del
monastero di San Giustino, nella diocesi di Perugia, incontrò un giorno
Francesco e, sceso velocemente da cavallo, si intrattenne brevemente con lui a
parlare della salvezza della sua anima. Quando alla fine si allontanò, gli
chiese umilmente di pregare per lui. "Pregherò, signore, volentieri",
rispose Francesco.
L'abate si era allontanato di
poco, quando il Santo, rivolto al compagno, gli disse: "Aspetta un poco,
perché voglio soddisfare il debito di ciò che ho promesso". Aveva infatti
questa abitudine, di non gettare dietro le spalle la preghiera richiesta ma di
adempiere quanto prima una tale promessa. Mentre il Santo supplicava il
Signore, subito l'abate provò nello spirito un calore insolito ed una dolcezza
sconosciuta fino a quel momento e, rapito fuori dai sensi, gli sembrò proprio
di venire meno. Si fermò un istante, poi ritornato in se stesso, constatò la
potenza della preghiera di san Francesco.
Per questo provò un amore sempre
più grande per l'Ordine e riferì a molti il fatto come un miracolo.
Questi sono i piccoli doni che
devono farsi tra loro i servi di Dio, tale lo scambio vicendevole che si
addice loro riguardo al dare e al ricevere. Quel santo amore, che a
volte è chiamato spirituale, è contento del frutto dell'orazione; la carità tiene
poco conto dei poveri doni terreni. Credo sia proprio dell'amore santo aiutare
ed essere aiutati nella lotta spirituale, raccomandare ed essere raccomandati davanti
al tribunale di Cristo.
Ma a quale grado di preghiera
pensi che dovesse salire chi ha potuto in tale modo innalzare un altro con i
suoi meriti?
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COMPRENSIONE DEL SANTO NELLA SACRA SCRITTURA E POTENZA DELLE SUE PAROLE
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CAPITOLO LXVIII
SUA SCIENZA E
MEMORIA
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689
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102. Quantunque
questo uomo beato non avesse ricevuta nessuna formazione di cultura umana,
tuttavia, istruito dalla sapienza che discende da Dio e, irradiato dai
fulgori della luce eterna, aveva una comprensione altissima delle Scritture. La
sua intelligenza, pura da ogni macchia, penetrava le oscurità dei misteri,
e ciò che rimane inaccessibile alla scienza dei maestri era aperto all'affetto
dell'amante.
Ogni tanto leggeva nei Libri
Sacri, e scolpiva indelebilmente nel cuore ciò che anche una volta sola aveva
immesso nell'animo. "Per lui, la memoria teneva il posto dei libri",
perché il suo orecchio, anche in una volta sola, afferrava con sicurezza ciò
che l'affetto andava meditando con devozione. Affermava che questo metodo di
apprendere e di leggere è il solo fruttuoso, non quello di consultare migliaia
e migliaia di trattati. Riteneva vero filosofo colui che non antepone nulla al
desiderio della vita eterna. Affermava ancora che perviene facilmente dalla
scienza umana alla scienza di Dio, colui che, leggendo la Scrittura, la
scruta più con l'umiltà che con la presunzione. Spesso scioglieva con una sola
frase questioni dubbie e senza profusioni di parole dimostrava grande
intelligenza e profonda penetrazione.
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CAPITOLO LXIX
PREGATO DA UN
FRATE PREDICATORE
ESPONE UN DETTO PROFETICO
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690
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103. Mentre
dimorava presso Siena, vi capitò un frate dell'Ordine dei predicatori, uomo
spirituale e dottore in sacra teologia. Venne dunque a far visita al beato
Francesco e si trattennero a lungo insieme, lui e il Santo in dolcissima
conversazione sulle parole del Signore. Poi il maestro lo interrogò su
quel detto di Ezechiele: Se non manifesterai all'empio la sua empietà,
domanderò conto a te della sua anima. Gli disse: "Io stesso, buon
padre, conosco molti ai quali non sempre manifesto la loro empietà, pur sapendo
che sono in peccato mortale. Forse che sarà chiesto conto a me delle loro
anime?".
E poiché Francesco si diceva
ignorante e perciò degno più di essere da lui istruito, che di rispondere sopra
una sentenza della Scrittura, il dottore aggiunse umilmente: "Fratello,
anche se ho sentito alcuni dotti esporre questo passo, tuttavia volentieri
gradirei a questo riguardo il tuo parere".
"Se la frase va presa in
senso generico,--rispose Francesco --io la intendo così: Il servo di Dio deve
avere in se stesso tale ardore di santità di vita, da rimproverare tutti gli
empi con la luce dell'esempio e l'eloquenza della sua condotta. Così, ripeto,
lo splendore della sua vita ed il buon odore della sua fama, renderanno
manifesta a tutti la loro iniquità ".
Il dottore rimase molto
edificato, per questa interpretazione, e mentre se ne partiva, disse ai
compagni di Francesco: "Fratelli miei, la teologia di questo uomo,
sorretta dalla purezza e dalla contemplazione, vola come aquila. La
nostra scienza invece striscia terra terra ".
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CAPITOLO LXX
DILUCIDAZIONI DATE
ALLE DOMANDE DI UN CARDINALE
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691
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104. Un'altra
volta, trovandosi a Roma in casa di un cardinale, fu interrogato su alcuni
passi oscuri, ed espose con tanta chiarezza quei concetti profondi, da far
pensare che fosse sempre vissuto in mezzo alle Scritture. Perciò il signor
cardinale gli disse: "Io non ti interrogo come letterato, ma come uomo che
ha lo spirito di Dio. E per questo accetto volentieri il senso della tua
risposta, perché so che proviene da Dio solo".
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CAPITOLO LXXI
ESORTATO ALLA LETTURA
DELLA SCRITTURA,
ESPONE AD UN FRATE
QUALE SIA LA SUA SCIENZA
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692
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105. Francesco era
infermo e pieno di dolori da ogni parte. Vedendolo così, un giorno gli disse un
suo compagno: "Padre, tu hai sempre trovato un rifugio nelle Scritture;
sempre ti hanno offerto un rimedio ai tuoi dolori. Ti prego anche ora fatti
leggere qualche cosa dai profeti: forse il tuo spirito esulterà nel Signore
". Rispose il Santo: "E bene leggere le testimonianze della
Scrittura, ed è bene cercare in esse il Signore nostro Dio. Ma, per quanto mi
riguarda, mi sono già preso tanto dalle Scritture, da essere più che
sufficiente alla mia meditazione e riflessione. Non ho bisogno di più, figlio: conosco
Cristo povero e Crocifisso ".
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CAPITOLO LXXII
FRATE PACIFICO
VEDE ALCUNE SPADE SPLENDENTI
SULLA PERSONA DEL SANTO
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693
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106. Vi era nella
Marca d'Ancona un secolare, che dimentico di sé e del tutto all'oscuro di Dio,
si era completamente prostituito alla vanità. Era chiamato "il Re dei
versi", perché era il più rinomato dei cantori frivoli ed egli stesso
autore di canzoni mondane. In breve, la gloria del mondo lo aveva talmente reso
famoso, che era stato incoronato dall'Imperatore nel modo più sfarzoso.
Mentre camminava così avvolto
nelle tenebre e si tirava addosso il castigo avvinto nei lacci della
vanità, la pietà divina, mossa a compassione, pensò di richiamare ii misero,
perché non perisse, lui che giaceva prostrato a terra. Per disposizione
della Provvidenza divina, si incontrarono, lui e Francesco, presso un certo
monastero di povere recluse.
Il Padre vi si era recato per
far visita alle figlie con i suoi compagni, mentre l'altro era venuto a casa di
una sua parente con molti amici.
La mano di Dio si posò su di lui, e vide proprio con i suoi occhi corporei
Francesco segnato in forma di croce da due spade, messe a traverso, molto
splendenti: l'una si stendeva dalla testa ai piedi, I'altra, trasversale, da
una mano all'altra, all'altezza del petto. Personalmente non conosceva il beato
Francesco; ma dopo un così notevole prodigio, subito lo riconobbe. Pieno di
stupore, all'istante cominciò a proporsi una vita migliore, pur rinviandone
l'adempimento al futuro. Ma il Padre, quando iniziò a predicare davanti a
tutti, rivolse contro di lui la spada della parola di Dio. Poi, in
disparte, lo ammonì con dolcezza intorno alla vanità e al disprezzo del mondo,
e infine lo colpì al cuore minacciandogli il giudizio divino.
L'altro, senza frapporre indugi,
rispose: "Che bisogno c'è di aggiungere altro? Veniamo ai fatti. Toglimi
dagli uomini, e rendimi al grande Imperatore!".
Il giorno seguente, il Santo lo
vestì dell'abito e lo chiamò frate Pacifico, per averlo ricondotto alla pace
del Signore. E tanto più numerosi furono quelli che rimasero edificati dalla
sua conversione, quanto maggiore era stata la turba dei compagni di vanità.
Godendo della compagnia del
Padre, frate Pacifico cominciò ad esperimentare dolcezze, che non aveva ancora
provate. Infatti poté un'altra volta vedere ciò che rimaneva nascosto agli
altri: poco dopo, scorse sulla fronte di Francesco un grande segno di
Thau, che ornato di cerchietti multicolori, presentava la
bellezza del pavone.
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CAPITOLO LXXIII
L' EFFICACIA DEI
SUOI DISCORSI
E TESTIMONIANZA Dl
UN MEDICO
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694
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107. Il
predicatore del Vangelo Francesco, quando predicava a persone incolte, usava
espressioni semplici e materiali, ben sapendo che vi è più necessità di virtù
che di parole. Tuttavia tra persone spirituali e più colte cavava dal cuore
parole profonde, che davano vita. Con poco spiegava ciò che era inesprimibile,
e unendovi movimenti e gesti di fuoco, trascinava tutti alle altezze celesti.
Non si serviva del congegno
delle distinzioni, perché non dava ordine a discorsi, che non ideava da se
stesso. Alla sua parola dava voce di potenza Cristo, vera potenza e sapienza.
Un medico, persona colta ed
eloquente, disse una volta: "Mentre ritengo parola per parola le prediche
degli altri, solo mi sfugge ciò che Francesco dice nella sua esuberanza. E, se
cerco di ricordare alcune parole, non mi sembrano più quelle che prima hanno stillato
le sue labbra ".
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CAPITOLO LXXIV
CON LA POTENZA
DELLA SUA PAROLA,
PER MEZZO Dl FRATE
SILVESTRO SCACCIA I DEMONI
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695
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108. Le sue parole
conservavano tutta la loro efficacia non solo se pronunciate direttamente, ma
anche se trasmesse per mezzo di altri non ritornavano senza frutto.
Arrivò un giorno ad Arezzo,
mentre tutta la città era scossa dalla guerra civile e minacciava prossima la
sua rovina. Il servo di Dio venne ospitato nel borgo fuori città, e vide sopra
di essa demoni esultanti, che rinfocolavano i cittadini a distruggersi fra di
loro. Chiamò frate Silvestro, uomo di Dio e di ragguardevole semplicità, e gli
comandò: "Va' alla porta della città, e da parte di Dio Onnipotente
comanda ai demoni che quanto prima escano dalla città".
Il frate pio e semplice si
affrettò ad obbedire, e dopo essersi rivolto a Dio con inno di lode, grida davanti
alla porta a gran voce: "Da parte di Dio e per ordine del nostro padre
Francesco, andate lontano di qui, voi tutti demoni!". La città poco dopo
ritrovò la pace e i cittadini rispettarono i vicendevoli diritti civili con
grande tranquillità.
Più tardi parlando loro,
Francesco all'inizio della predicazione disse: " Parlo a voi come a
persone un tempo soggiogate e schiave dei demoni. Però so che siete stati
liberati per le preghiere di un povero ".
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CAPITOLO LXXV
LA CONVERSIONE DEL
MEDESIMO FRATE SILVESTRO.
UNA SUA VISIONE
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696
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109. Credo che non
sia fuori luogo aggiungere qui la conversione del predetto Silvestro, come sia
stato mosso dallo Spirito ad entrare nell'Ordine.
Silvestro era un sacerdote
secolare della città di Assisi, e da lui un tempo l'uomo di Dio aveva comprato
pietre per riparare una chiesa. Quando vide, in quei giorni, frate Bernardo,
che dopo il Santo fu la prima pianticella dell'Ordine, lasciare completamente i
suoi beni e darli ai poveri, si sentì acceso da una cupidigia insaziabile e si
lamentò col servo di Dio per le pietre, che un tempo gli aveva vendute, come se
non gli fossero state pagate completamente. Francesco, osservando che l'animo
del sacerdote era corroso dal veleno delI'avarizia, ebbe un sorriso di
compassione. Ma, desiderando di portare in qualunque modo refrigerio a quella
arsura maledetta, gli riempì le mani di denaro, senza contarlo.
Prete Silvestro si rallegrò dei
soldi ricevuti, ma più ancora ammirò la liberalità di chi donava. Ritornato a
casa, ripensò più volte a quanto gli era accaduto, biasimandosi santamente e
meravigliandosi di amare, pur essendo ormai vecchio, il mondo, mentre quel
giovane disprezzava in tale modo tutte le cose. Quando poi fu pieno di buone
disposizioni, Cristo gli aprì il seno della sua misericordia, gli mostrò
quanto valessero le opere di Francesco, quanto fossero preziose davanti a lui e
come con il loro splendore riempissero tutta la terra.
Vide infatti,
in sogno, una croce d'oro, che usciva dalla bocca di Francesco: la sua cima
arrivava ai cieli, bracci protesi lateralmente cingevano tutto attorno il
mondo.
Il sacerdote, compunto a quella
vista, scacciò ogni ritardo dannoso, lasciò il mondo e divenne perfetto
imitatore dell'uomo di Dio. Cominciò a condurre nell'Ordine una vita perfetta e
la terminò in modo perfettissimo con la grazia di Cristo.
Ma, quale meraviglia che
Francesco sia apparso crocifisso, lui che ha amato tanto la croce? Non è certo
sorprendente che, essendo così radicata nel suo cuore la croce, che opera cose
mirabili, e venendo su da un terreno buono, abbia prodotto fiori, fronde e
frutti meravigliosi! Nient'altro, di specie diversa, poteva nascere da questa
terra, che la croce gloriosa fin da principio aveva presa in tale modo tutta
per sé.
Ma ritorniamo al nostro
argomento.
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CAPITOLO LXXVI
UN FRATE VIENE
LIBERATO DAGLI ASSALTI DEL DEMONIO
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697
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110. Un frate era
da lungo tempo gravemente molestato da una tentazione di spirito, la quale è
più sottile e peggiore dello stimolo della carne. Finalmente, presentatosi a
Francesco, si gettò umilmente ai suoi piedi. Ma, scoppiato in pianto
dirotto e amarissimo, non era capace di dire parola, essendo impedito da forti
singhiozzi. Il Padre ne sentì pietà, e comprendendo che era tormentato da
istigazioni maligne: "Io vi ordino, o demoni,--esclamò--in virtù di Dio di
non tormentare più d'ora avanti il mio fratello, come avete osato finora".
Subito si dissipò quel buio
tenebroso, il frate si alzò libero e non sentì più alcun tormento, come se ne
fosse sempre stato esente.
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CAPITOLO LXXVII
UNA SCROFA
MALVAGIA UCCIDE A MORSI UN AGNELLO
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698
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111 Già da altre
pagine risulta abbastanza chiaro che la sua parola era di una potenza sorprendente
anche a riguardo degli animali. Tuttavia toccherò appena un episodio che ho
alla mano.
Il servo dell'Altissimo era
stato ospitato una sera presso il monastero di San Verecondo, in diocesi di
Gubbio, e nella notte una pecora partorì un agnellino. Vi era nel chiuso una
scrofa quanto mai crudele, che, senza pietà per la vita dell'innocente, lo
uccise con morso feroce.
Al mattino, alzatisi, trovano
l'agnellino morto e riconoscono con certezza che proprio la scrofa è colpevole
di quel delitto. All'udire tutto questo, il pio padre si commuove, e
ricordandosi di un altro Agnello, piange davanti a tutti l'agnellino morto:
"Ohimé, frate agnellino, animale innocente, simbolo vivo sempre utile agli
uomini! Sia maledetta quell'empia che ti ha ucciso e nessuno, uomo o bestia,
mangi della sua carne!".
Incredibile! La scrofa malvagia
cominciò subito a star male, e dopo aver pagato il fio in tre giorni di
sofferenze, alla fine subì una morte vendicatrice. Fu poi gettata nel fossato
del monastero, dove rimase a lungo e, seccatasi come un legno, non servì di
cibo a nessuno per quanto affamato.
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CONTRO LE FAMILIARITÀ CON DONNE
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CAPITOLO LXXVIII
SI DEVE EVITARE LA
FAMILIARITÀ CON DONNE.
COME SI COMPORTAVA
CON LORO
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699
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112. Comandava che
fossero evitate del tutto le familiarità con donne, dolce veleno che corrompe
anche gli uomini santi. Temeva infatti che l'animo fragile si spezzasse presto
e quello forte si indebolisse. E ripeteva che, se non si tratta di una persona
di virtù più che sperimentata, intrattenersi familiarmente con esse senza
esserne contagiati è tanto facile, quanto, secondo la Scrittura, camminare
sul fuoco senza scottarsi i piedi.
Per mostrare con i fatti ciò che
diceva, presentava in se stesso un modello perfetto di virtù. Le donne
infatti gli erano così moleste, da far credere che si trattasse non di cautela
o di esempio, ma di paura o di orrore.
Quando la loro loquacità
importuna dava origine a contesa, induceva al silenzio con un parlare breve ed
umile e il volto a terra. Altre volte fissava gli occhi al cielo, quasi volesse
ricavarne ciò che avrebbe risposto a quelle cicale mondane. Quelle invece, che
avevano reso il loro animo dimora della sapienza con una santa e perseverante
devozione, le istruiva con meravigliosi, ma brevi discorsi.
Quando si intratteneva con una
donna, parlava ad alta voce, in modo che tutti potessero udire. Una volta
confidò ad un compagno: "Ti confesso la verità, carissimo: se le guardassi
in faccia, ne riconoscerei solamente due. Dell'una e dell'altra mi è noto il
volto, di altre no "..
Benissimo, Padre, perché
guardarle non santifica nessuno. Ottimamente, ripeto, perché la loro presenza
non porta alcun vantaggio, ma moltissimo danno anche di tempo. Sono, queste
cose, un impedimento a chi vuole affrontare un viaggio arduo e contemplare il
volto pieno di ogni grazia.
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CAPITOLO LXXIX
UNA PARABOLA
CONTRO GLI SGUARDI RIVOLTI ALLE DONNE
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700
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113. Era solito
colpire gli occhi non casti con questa parabola.
Un re potentissimo inviò, in
tempi successivi, due nunzi alla regina. Ritorna il primo e riferisce
semplicemente la risposta al suo messaggio. Ritorna l'altro, e dopo aver
riferito in breve la risposta, tesse una lunga storia della bellezza della
sovrana. "A dir vero, Signore, ho proprio visto una donna bellissima.
Felice chi può goderne!".
"Servo malvagio,--lo
investe il re--hai fissato i tuoi occhi impudichi sulla mia sposa? È chiaro che
tu avresti voluto far tuo un oggetto che hai esaminato così
attentamente!".
Fa richiamare il primo e gli
chiede: "Che ti sembra della regina?". "Molto bene di
certo,--risponde il messo --perché ha ascoltato in silenzio ed ha risposto con
saggezza ". "E non ti sembra bella?". "Guardare a questo
tocca a te. Mio compito era di riferire le parole ".
Il re pronuncia allora la
sentenza: "Tu casto di occhi, più casto di corpo, rimani nel mio
appartamento. Costui invece, fuori di casa, perché non violi il mio talamo!
".
Ripeteva poi il Padre:
"Quando si è troppo sicuri di sé, si è meno prudenti di fronte al nemico.
Se il diavolo può far suo un capello in un uomo, ben presto lo fa diventare una
trave. E non desiste anche se per lungo tempo non è riuscito a far crollare chi
ha tentato, purché alla fine gli si arrenda. Questo è il suo intento, e non si
occupa di altro giorno e notte ".
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CAPITOLO LXXX
ESEMPIO DEL SANTO
CONTRO L' ECCESSIVA FAMILIARITÀ
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701
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114. Una volta
Francesco era diretto a Bevagna, ma indebolito dal digiuno non era in grado di
arrivare al paese. Il compagno allora mandò a chiedere umilmente a una devota
signora del pane e del vino per il Santo. Appena la donna conobbe la cosa,
assieme ad una figlia, vergine consacrata a Dio, si avviò di corsa, per portare
al Santo quanto era necessario. Ristorato e ripreso alquanto vigore, rifocillò
a sua volta madre e figlia con la parola di Dio. Ma nel parlare ad esse, non le
guardò mai in faccia.
Mentre quelle ritornavano a
casa, il compagno gli disse: "Perché fratello, non hai guardato la santa
vergine, che è venuta a te con tanta devozione? ". E il Padre: "Chi
non dovrebbe aver timore di guardare la sposa di Cristo? Se poi si predica
anche con gli occhi ed il volto, essa da parte sua poteva ben guardarmi, ma non
occorreva che la guardassi io"..
Spesso parlando di queste cose,
asseriva che è frivolo ogni colloquio con donne, fatta eccezione della sola
confessione o, come capita, di qualche brevissimo consiglio. E commentava:
"Di cosa dovrebbe trattare un frate minore con una donna, se non della
santa penitenza o di un consiglio di vita più perfetta, quando gliene faccia
religiosa richiesta? ".
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LE TENTAZIONI CHE AFFRONTÒ IL SANTO
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CAPITOLO LXXXI
LE TENTAZIONI DEL
SANTO E COME NE SUPERÒ UNA
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702
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115. Mentre
crescevano i meriti di Francesco, cresceva pure il disaccordo con l'antico
serpente. Quanto maggiori erano i suoi carismi, tanto più sottili i tentativi e
più violenti gli attacchi che quello gli moveva. E quantunque lo avesse spesso
conosciuto per esperienza come valoroso guerriero, che non veniva meno neppure
un istante nel combattimento, tuttavia tentava ancora di aggredirlo, pur risultando
quegli sempre vincitore.
Ad un certo momento della sua
vita, il Padre subì una violentissima tentazione di spirito, sicuramente a
vantaggio della sua corona. Per questo, era angustiato e pieno di sofferenza,
mortificava e macerava il corpo, pregava e piangeva nel modo più penoso. Questa
lotta durò più anni. Un giorno, mentre pregava in Santa Maria della
Porziuncola, udi in spirito una voce: "Francesco, se avrai fede quanto
un granello di senapa, dirai al monte che si sposti ed esso si muoverà ".
"Signore, -- rispose il
Santo ---qual è il monte, che io vorrei trasferire?".
E la voce di nuovo: "Il
monte è la tua tentazione ".
"O Signore,
--rispose il Santo in lacrime--avvenga a me, come hai detto".
Subito sparì ogni tentazione e
si sentì libero e del tutto sereno nel più profondo del cuore.
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CAPITOLO LXXXII
IL DIAVOLO LO
CHIAMA PER TENTARLO Dl LUSSURIA,
MA IL SANTO LO VINCE
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703
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116. Nell'eremo
dei frati di Sarteano il maligno, che sempre invidia il progresso spirituale
dei figli di Dio, ebbe addirittura questa presunzione.
Vedendo che il Santo attendeva
continuamente alla sua santificazione, e non tralasciava il guadagno di
oggi soddisfatto di quello del giorno precedente, una notte, mentre pregava
nella sua celletta, lo chiamò per tre volte:
"Francesco, Francesco,
Francesco".
"Cosa vuoi?".
E quello: "Nel mondo non vi
è nessun peccatore, che non ottenga la misericordia di Dio, se pentito.
Ma chiunque causa la propria morte con una penitenza rigida non troverà
misericordia in eterno ".
Il Santo riconobbe subito, per
rivelazione, l'astuzia del nemico, come cercava di indurlo alla tiepidezza. Ma,
cosa crederesti? Il nemico non tralasciò di rinnovargli un altro assalto.
Vedendo che in tale modo non era riuscito a nascondere il laccio, ne prepara un
altro, cioè uno stimolo carnale. Ma inutilmente, perché non poteva essere
ingannato dalla carne, chi aveva scoperto l'inganno dello spirito. Gli manda
dunque il diavolo, una violentissima tentazione di lussuria.
Appena il Padre la nota, si
spoglia della veste e si flagella con estrema durezza con un pezzo di corda.
"Orsù, frate asino,--esclama--così tu devi sottostare, così subire il
flagello! La tonaca è dell'Ordine, non è lecito appropriarsene indebitamente.
Se vuoi andare altrove, va' pure ".
117. Ma poiché
vedeva che con i colpi della disciplina la tentazione non se ne andava, mentre
tutte le membra erano arrossate di lividi, aprì la celletta e, uscito
nell'orto, si immerse nudo nella neve alta. Prendendo poi la neve a piene mani
la stringe e ne fa sette mucchi a forma di manichini, si colloca poi dinanzi ad
essi e comincia a parlare così al corpo:
"Ecco, questa più grande è
tua moglie; questi quattro, due sono i figli e due le tue figlie; gli altri due
sono il servo e la domestica, necessari al servizio. Fa' presto, occorre
vestirli tutti, perché muoiono dal freddo. Se poi questa molteplice
preoccupazione ti è di peso, servi con diligenza unicamente al Signore ".
All'istante il diavolo confuso
si allontanò, ed il Santo ritornò nella sua cella, glorificando Dio.
Un frate di spirito, che allora attendeva
alla preghiera, osservò tutto, perché splendeva la luna in cielo.
Ma, quando più tardi il Santo si accorse che un frate l'aveva visto nella
notte, molto spiaciuto, gli ordinò di non svelare l'accaduto a nessuno, fino a
che fosse in vita.
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CAPITOLO LXXXIII
LIBERA UN FRATE
TENTATO.
VANTAGGI DELLA TENTAZIONE
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704
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118. Una volta un
frate, che era tentato, sedeva tutto solo vicino al Santo e gli disse:
"Prega per me, Padre buono: sono convinto che sarò subito liberato dalle
mie tentazioni, se ti degnerai di pregare per me. Sono proprio afflitto oltre
le mie forze, e so che anche tu lo hai capito".
"Credimi figlio -- gli
rispose Francesco--: proprio per questo ti ritengo ancor più servo di Dio, e
sappi che più sei tentato e più mi sei caro ". E soggiunse: "Ti dico
in verità che nessuno deve ritenersi servo di Dio, sino a quando non sia
passato attraverso prove e tribolazioni. La tentazione superata è, in un
certo senso, l'anello, col quale il Signore sposa l'anima del suo servo.
"Molti si lusingano per
meriti accumulati in lunghi anni, e godono di non avere mai sostenuto prove. Ma
sappiamo che il Signore ha tenuto in considerazione la loro debolezza di
spirito, perché ancor prima dello scontro, il solo terrore li avrebbe
schiacciati. Infatti i combattimenti difficili vengono riservati solo a chi ha
un coraggio esemplare".
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LOTTA COI DEMONI
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CAPITOLO LXXXIV
I DEMONI LO
PERCUOTONO. BISOGNA EVITARE LE CORTI
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705
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119. Questo uomo
non soltanto veniva attaccato da Satana con tentazioni, ma anche si azzuffava
con lui corpo a corpo.
Una volta il signor Leone,
cardinale di Santa Croce, lo pregò di rimanere un po' di tempo con lui a Roma.
Francesco scelse una torre solitaria, che essendo all'interno fatta a volta,
presentava nove vani simili alle stanzette di un eremo.
La prima notte, dopo aver
pregato Dio, si accingeva a riposare, quando fattisi vivi i demoni gli
mossero una lotta spietata. Lo fustigarono per lunghissimo tempo e tanto
duramente da lasciarlo alla fine quasi mezzomorto.
Quando se ne andarono, ripreso
finalmente il respiro il Santo chiama il compagno, che dormiva sotto un'altra
volta: "Fratello,--gli dice appena arrivato--voglio che tu rimanga vicino
a me, perché ho paura ad essere solo. Poco fa i demoni mi hanno percosso".
Il Santo era preso da tremore e da agitazione in tutto il corpo, come uno in
preda ad una violentissima febbre.
120. Passarono così tutta la
notte svegli, e Francesco disse al compagno: " I demoni sono i castaldi di
nostro Signore, ed egli stesso li incarica di punire le nostre mancanze. È
segno di grazia particolare, se non lascia nulla di impunito nel suo servo,
finché è vivo in questo mondo.
"Io, a dir vero, non mi
ricordo di una colpa, che per misericordia di Dio non abbia espiata col
pentimento, perché, nella sua paterna bontà, si è sempre degnato mostrarmi,
mentre meditavo e pregavo, cosa gli piacesse e cosa l'offendesse. Ma forse ha
permesso che mi assalissero i suoi castaldi, perché non do buon esempio agli
altri col fermarmi nel palazzo dei nobili.
"I miei frati, che dimorano
in luoghi miseri, vedendo che me ne sto con i cardinali penseranno che io
abbondi di delizie. Perciò, fratello, ritengo più giusto che rifugga dai
palazzi chi è posto ad esempio degli altri, e renda forti quelli che soffrono
ristrettezza, condividendo gli stessi disagi".
Giunti così al mattino
raccontarono tutto al cardinale e lo salutarono.
Lo ricordino bene i frati che
vivono a palazzo, e sappiano che sono figli abortivi, sottratti al seno della loro
madre. Non condanno l'obbedienza, ma biasimo l'ambizione, l'ozio, le delizie.
Infine, anche a tutte le obbedienze possibili metto innanzi nel modo più
assoluto Francesco.
lmeno si tolga ciò che, essendo
gradito agli uomini, dispiace a Dio.
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CAPITOLO LXXXV
UN ESEMPIO
RIGUARDO ALLO STESSO ARGOMENTO
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706
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121. Mi viene a
mente un episodio, che, a mio parere, non si può tralasciare.
Un frate, vedendo che alcuni
religiosi si intrattenevano in una corte, sedotto da non so quale vanagloria,
volle anche lui farsi "palatino" come loro. E mentre bruciava dal
desiderio di quella vita principesca, una notte vide in sogno i predetti
confratelli, fuori della abitazione dei frati e separati dalla loro comunità.
Inoltre, chini su un truogolo da maiali, lurido e ripugnante, stavano mangiando
dei ceci, mescolati a sterco umano.
A tale vista, il frate stupì
altamente e, alzatosi alla prima luce dell'alba, non si curò più della corte.
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CAPITOLO LXXXVI
TENTAZIONI CHE Il
SANTO SUBI' IN UN LUOGO SOLITARIO.
VISIONE DI UN FRATE
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707
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122. Il Santo
giunse una volta con il compagno ad una chiesa, lontano dall'abitato.
Desiderando pregare tutto solo, avvisò il compagno: "Fratello, vorrei
rimanere qui da solo questa notte. Tu va all'ospedale e torna da me per tempo
domattina ".
Rimasto dunque solo, rivolse a
Dio lunghe e devotissime preghiere, e alla fine guardò attorno, dove potesse
reclinare il capo per dormire. Ma subito turbato nello spirito cominciò
a sentirsi oppresso dallo spavento e dal tedio e a tremare in tutto il corpo.
Sentiva chiaramente che il diavolo dirigeva contro di lui i suoi assalti, e
udiva folle di demoni che scorazzavano con strepito sul tetto dell'edificio.
Immediatamente si alzò e, uscito
fuori, si fece il segno della croce, esclamando: "Da parte di Dio
Onnipotente vi comando, demoni, che riversiate sul mio corpo tutto ciò che è in
vostro potere. Lo sopporto volentieri, perché non ho un nemico peggiore del mio
corpo: mi farete così giustizia del mio avversario e gli infliggerete la
punizione in vece mia ".
Quelli, che si erano riuniti per
atterrire il suo animo, incontrando uno spirito più pronto anche se in una
carne debole, subito si dileguarono confusi dalla vergogna.
123.
Fattosi giorno, ritorna il compagno, e trovando il Santo prostrato davanti all'altare,
aspetta fuori del coro e anche lui nel frattempo si mette a pregare
fervorosamente, davanti ad una croce. Rapito in estasi, vede fra tanti seggi in
cielo uno più bello degli altri, ornato di pietre preziose e tutto raggiante di
gloria. Ammira dentro di sé quel nobile trono, e va ripensando tacitamente a
chi possa appartenere. Ma nel frattempo sente una voce che gli dice:
"Questo trono appartenne ad un angelo che è precipitato, ed ora è
riservato all'umile Francesco ".
Rientrato in se stesso, il frate
vede Francesco che ritorna dalla preghiera. Gli si prostra subito dinnanzi, con
le braccia in forma di croce, e si rivolge a lui non come ad uno che viva sulla
terra, ma quasi ad un essere che regni già in cielo: " Prega per me il
Figlio di Dio, Padre, che non tenga conto dei miei
peccati ".
L'uomo di Dio gli tende la mano
e lo rialza, sicuro che nella preghiera ha ricevuto una visione.
Alla fine, mentre si allontanano
dal luogo, il frate chiede a Francesco: " Padre, cosa ne pensi di te
stesso? ". Ed egli rispose: " Mi sembra di essere il più grande
peccatore, perché se Dio avesse usata tanta misericordia con qualche
scellerato, sarebbe dieci volte migliore di me".
A queste parole, subito lo
Spirito disse interiormente al frate: "Conosci che è stata vera la tua
visione da questo: perché questo uomo umilissimo sarà innalzato per la sua
umiltà a quel trono che è stato perduto per la superbia ".
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CAPITOLO LXXXVII
UN FRATE LIBERATO
DALLA TENTAZIONE
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708
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124. Un frate di
spirito e che viveva da molti anni nell'Ordine, era afflitto da una forte
tentazione della carne e sembrava quasi inghiottito nel vortice della
disperazione. Ogni giorno gli si raddoppiava la pena, mentre la coscienza, più
scrupolosa che delicata, lo spingeva a confessarsi di un nonnulla. Perché, a
dir vero, non ci si dovrebbe confessare con tanta premura di avere una
tentazione, ma se mai di aver ceduto, anche poco, alla tentazione. Egli poi
provava tanta vergogna, che per timore di rivelare tutto ad un solo sacerdote--
tanto più che erano solo ombre-- divideva in più parti le sue ansie e ne
confidava un po' agli uni e un po' agli altri.
Ma mentre un giorno stava
passeggiando con Francesco, gli dice il Santo: "Fratello, ti ordino di non
confessare più a nessuno la tua tribolazione. E non aver paura, perché ciò che
avviene attorno a te, senza il tuo consenso, ti sarà attribuito a merito, non a
colpa. Ogni volta che sarai nell'angustia, dì con il mio permesso sette Pater
Noster ".
Meravigliato come il Santo
avesse conosciuto tutto, fu ricolmo di gioia e poco dopo si trovò libero da
ogni tormento.
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LA VERA LETIZIA DELLO SPIRITO
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CAPITOLO LXXXVIII
LA LETIZIA
SPIRITUALE E SUA LODE.
IL MALE DELLA MALINCONIA
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125. Questo Santo
assicurava che la letizia spirituale è il rimedio più sicuro contro le mille
insidie e astuzie del nemico. Diceva infatti: "Il diavolo esulta
soprattutto, quando può rapire al servo di Dio il gaudio dello spirito.
Egli porta della polvere, che cerca di gettare negli spiragli, per . quanto
piccoli della coscienza e così insudiciare il candore della mente e la mondezza
della vita. Ma--continuava-- se la letizia di spirito riempie il cuore,
inutilmente il serpente tenta di iniettare il suo veleno mortale.
I demoni non possono recare danno al servo di Cristo, quando lo vedono santamente
giocondo. Se invece l'animo è malinconico, desolato e piangente, con tutta
facilità o viene sopraffatto dalla tristezza o è trasportato alle gioie
frivole ".
Per questo il Santo cercava di
rimanere sempre nel giubilo del cuore, di conservare l'unzione dello spirito e l'olio
della letizia. Evitava con la massima cura la malinconia, il peggiore di
tutti i mali, tanto che correva il più presto possibile all'orazione, appena ne
sentiva qualche cenno nel cuore.
"Il servo di
Dio--spiegava--quando è turbato, come capita, da qualcosa, deve alzarsi subito
per pregare, e perseverare davanti al Padre Sommo sino a che gli restituisca
la gioia della sua salvezza. Perché, se permane nella tristezza, crescerà
quel male babilonese e, alla fine, genererà nel cuore una ruggine indelebile,
se non verrà tolta con le lacrime.
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CAPITOLO LXXXIX
ASCOLTA UN ANGELO
SUONARE LA CETRA
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710
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126. Al tempo in
cui soggiornava a Rieti per la cura degli occhi, chiamò un compagno che, prima
d'essere religioso, era stato suonatore di cetra, e gli disse: "Fratello,
i figli di questo mondo non comprendono i piani di Dio. Perché anche gli
strumenti musicali, che un tempo erano riservati alle lodi di Dio, sono stati
usati dalla sensualità umana per soddisfare gli orecchi. Io vorrei, fratello,
che tu in segreto prendessi a prestito una cetra, e la portassi qui per dare a
frate corpo, che è pieno di dolori, un po' di conforto con qualche bel
verso". Gli rispose il frate: "Mi vergogno non poco, padre, per
timore che pensino che io sono stato tentato da questa leggerezza".
Il Santo allora tagliò corto:
"Lasciamo andare allora, fratello. È bene tralasciare molte cose perché
sia salvo il buon nome ".
La notte seguente, mentre il
Santo era sveglio e meditava su Dio, all'improvviso risuona una cetra con
meravigliosa e soavissima melodia. Non si vedeva persona, ma proprio dal
continuo variare del suono, vicino o lontano si capiva che il citaredo andava e
ritornava. Con lo spirito rivolto a Dio, il Padre provò tanta soavità in quella
melodia dolcissima, da credere di essere passato in un altro mondo.
Al mattino alzatosi, il Santo
chiamò il frate e dopo avergli raccontato tutto per ordine, aggiunse: "Il
Signore che consola gli afflitti, non mi ha lasciato senza consolazione. Ed
ecco che mentre non mi è stato possibile udire le cetre degli uomini, ne ho
sentita una più soave ".
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CAPITOLO XC
QUANDO IL SANTO
ERA LIETO Dl SPIRITO,
CANTAVA IN FRANCESE
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127. A volte si
comportava così. Quando la dolcissima melodia dello spirito gli ferveva nel petto,
si manifestava all'esterno con parole francesi, e la vena dell'ispirazione
divina, che il suo orecchio percepiva furtivamente traboccava in giubilo alla
maniera giullaresca.
Talora--come ho visto con i miei
occhi--raccoglieva un legno da terra, e mentre lo teneva sul braccio sinistro,
con la destra prendeva un archetto tenuto curvo da un filo e ve lo passava
sopra accompagnandosi con movimenti adatti come fosse una viella, e cantava in
francese le lodi del Signore.
Bene spesso tutta questa
esultanza terminava in lacrime ed il giubilo si stemperava in compianto della
passione del Signore. Poi il Santo, in preda a continui e prolungati sospiri ed
a rinnovati gemiti, dimentico di ciò che aveva in mano, rimaneva proteso verso
il cielo.
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CAPITOLO XCI
RIPRENDE UN FRATE
TRISTE E
GLI INSEGNA COME
DEBBA COMPORTARSI
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712
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128. Un giorno
vide un suo compagno con una faccia triste e melanconica. Sopportando la cosa a
malincuore, gli disse: "Il servo di Dio non deve mostrarsi agli altri
triste e rabbuiato, ma sempre sereno. Ai tuoi peccati, riflettici nella tua
stanza e alla presenza di Dio piangi e gemi. Ma quando ritorni tra i frati,
lascia la tristezza e conformati agli altri ". E poco dopo: "Gli
avversari della salvezza umana hanno molta invidia di me e siccome non riescono
a turbarmi direttamente, tentano sempre di farlo attraverso i miei compagni
".
Amava
poi tanto l'uomo pieno di letizia spirituale, che per ammonimento generale fece
scrivere in un capitolo queste parole: " Si guardino i frati di non mostrarsi
tristi di fuori e rannuvolati come degli ipocriti, ma si mostrino lieti nel
Signore, ilari e convenientemente graziosi ".
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CAPITOLO XCII
COME SI DEVE
TRATTARE IL CORPO
PERCHÉ NON MORMORI
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129. Il Santo disse pure una volta: "si
deve provvedere a frate corpo con discrezione, perché non susciti una tempesta
di malinconia. E affinché non gli sia di peso vegliare e perseverare
devotamente nella preghiera, gli si tolga l'occasione di mormorare. Potrebbe
infatti dire: -- Vengo meno dalla fame, non posso portare il peso del tuo
esercizio--. Se poi, dopo aver consumato vitto sufficiente borbottasse, sappi
che il giumento pigro ha bisogno degli sproni e l'asinello svogliato attende il
pungolo".
Fu questo l'unico insegnamento,
nel quale la condotta del Padre non corrispose alle parole. Perché soggiogava
il suo corpo, assolutamente innocente, con flagelli e privazioni e gli
moltiplicava le percosse senza motivo. Infatti il calore dello spirito
aveva talmente affinato il corpo, che come l'anima aveva sete di Dio, così
ne era sitibonda in molteplici modi anche la sua carne santissima.
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LA LETIZIA FATUA
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CAPITOLO XCIII
CONTRO LA
VANAGLORIA E L' IPOCRISIA
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714
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130. Mentre teneva
in grande pregio la gioia spirituale, evitava con cura quella vana, convinto
che si deve amare diligentemente ciò che aiuta a progredire, e allo stesso modo
si deve evitare ciò che è dannoso. La vanagloria, la stroncava ancora in germe,
non permettendo che rimanesse neppure un istante ciò che potesse offendere gli
occhi del suo Signore. Spesso infatti quando si sentiva molto elogiare, se ne
addolorava e gemeva assumendo subito un aspetto triste.
Un inverno, il Santo aveva il
povero corpo coperto di una sola tonaca, rafforzata con pezze molto grossolane.
Il guardiano, che era anche suo compagno, comprò. una pelle di volpe e gliela
portò dicendo: " Padre, tu soffri di milza e di stomaco: prego la tua
carità nel Signore di permettere di cucire all'interno della tonaca questa
pelle. Se non la vuoi tutta, almeno accettane una parte in corrispondenza dello
stomaco ". Francesco rispose: "Se vuoi che porti sotto la tonaca
questa pelliccia, fammene porre un'altra della stessa misura all'esterno.
Cucita al di fuori sarà indizio della pelle nascosta sotto ".
Il frate ascoltò, ma non era del
parere, insistette, ma non ottenne di più. Alla fine il guardiano si arrese, e
fece cucire una pelliccia sull'altra, perché Francesco non apparisse di fuori
diverso da quello che era dentro.
O esempio di coerenza, identico
nella vita e nelle parole! Lo stesso dentro e fuori, da suddito e da superiore!
Tu non desideravi alcuna gloria né esterna né privata, perché ti gloriavi
solamente del Signore. Ma, per carità, non vorrei offendere chi usa
pellicce, se oso dire che una pelle prende il posto dell'altra. Sappiamo
infatti che sentirono bisogno di tuniche di pelle, perché si trovarono
spogli dell'innocenza.
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CAPITOLO XCIV
SI ACCUSA DI
IPOCRISIA
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715
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131. Una volta,
intorno a Natale, si era radunata molta folla per la predica presso l'eremo di
Poggio. Francesco esordi a questo modo: "Voi mi credete un uomo santo e
perciò siete venuti qui con devozione. Ebbene, ve lo confesso, in tutta questa
quaresima, ho mangiato cibi conditi con lardo.
E così più di una volta attribuì
a gola, ciò che invece aveva concesso alla malattia.
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CAPITOLO XCV
SI ACCUSA DI
VANAGLORIA
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716
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132. Con eguale
fervore subito svelava e confessava candidamente davanti a tutti il sentimento
di vanagloria, che a volte si impossessava del suo spirito.
Un giorno, una vecchierella gli
andò incontro, mentre attraversava Assisi e gli chiese l'elemosina. Il Santo
non aveva altro che il mantello e subito glielo donò generosamente. Ma,
avvertendo che nell'animo stava infiltrandosi un sentimento di vano
compiacimento, subito davanti a tutti confessò di averne provato vanagloria.
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CAPITOLO XCVI
PAROLE DEL SANTO
CONTRO I SUOI AMMIRATORI
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133. Cercava con ogni cura di nascondere nel
segreto del suo cuore i doni del Signore, perché non voleva che, se gli erano
occasione di gloria umana, gli fossero pure causa di rovina. E spesso quando
molti lo proclamavano santo, rispondeva così: "Posso avere ancora figli e
figlie: non lodatemi come fossi sicuro ! Non si deve lodare nessuno, fino a che
è incerta la sua fine. Quando Colui che mi ha concesso il mutuo--così
continuava--volesse ritirarlo, rimarrebbe solo il corpo e l'anima, come li
hanno pure gli infedeli ". Questa era la risposta a chi lo lodava.
Rivolto poi a sé diceva: "
Se l'Altissimo avesse concesso grazie così grandi ad un ladrone, sarebbe più
riconoscente di te, Francesco! ".
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CAPITOLO XCVII
PAROLE DEL SANTO
CONTRO QUELLI CHE
LODANO SE STESSI
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718
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134. Ripeteva
spesso ai frati: " Nessuno deve lusingarsi con ingiusto vanto per quelle
azioni, che anche il peccatore potrebbe compiere. Il peccatore--spiegava--può
digiunare, pregare, piangere, macerare il proprio corpo. Ma una sola cosa non
gli è possibile: rimanere fedele al suo Signore. Proprio di questo dobbiamo
gloriarci, se diamo a Dio la gloria che gli spetta, se da servitori
fedeli attribuiamo a lui tutto il bene che ci dona.
"Il peggiore nemico
dell'uomo è la sua carne: è del tutto incapace di ripensare al passato per
pentirsene, niente sa prevedere per tutelarsi. Unica sua preoccupazione è
approfittare senza scrupoli del tempo presente. E ciò che è
peggio--aggiungeva--essa si usurpa e attribuisce a propria gloria quanto non è
stato dato a lei, ma all'anima. La carne raccoglie lode dalle virtù e plauso,
da parte della gente, dalle veglie e dalle preghiere. Niente lascia all'anima e
anche dalle lacrime cerca profitto ".
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OCCULTAMENTO DELLE STIMMATE
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CAPITOLO XCVIII
RISPOSTA A CHI LO
INTERROGAVA A QUESTO RIGUARDO
E CON QUANTA
PREMURA LE COPRIVA
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135. Non è
possibile passare sotto silenzio con quanta premura ha coperto e nascosto i
gloriosi segni del Crocifisso, degni di essere venerati anche dagli spiriti più
grandi.
Da principio, quando il vero
amore di Cristo aveva già trasformato nella sua stessa immagine l'amante,
cominciò a celare e ad occultare il tesoro con tanta cautela, da non farlo
scoprire per lungo tempo neppure ai suoi intimi. Ma la divina Provvidenza non
permise che rimanesse sempre nascosto e non giungesse agli occhi dei suoi cari.
Anzi il fatto di trovarsi in punti delle membra visibili a tutti non permise
che continuasse a rimanere occulto.
Uno dei compagni una volta,
vedendo le stimmate nei piedi, gli disse: "Cosa è ciò, buon
fratello?".
" Pensa ai
fatti tuoi ", gli rispose.
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136. Un'altra
volta lo stesso frate gli chiese la tonaca per sbatterla. Vedendola macchiata
di sangue, disse al Santo, dopo averla restituita: "Che sangue è quello,
di cui sembra macchiata la tonaca?". Il Santo mettendosi un dito
sull'occhio, rispose: "Domanda cosa sia questo, se non sai che è un
occhio!".
Per questo raramente si lavava
tutte intiere le mani, ma bagnava soltanto le dita, per non manifestare la cosa
ai presenti. Ancor più raramente si lavava i piedi, e quanto di raro
altrettanto di nascosto. Se uno gli chiedeva di baciargli la mano, la
presentava a metà: tendeva solo le dita e quel tanto indispensabile per porvi
un bacio. Capitava anche che invece della mano porgesse la manica.
Per non lasciare vedere i piedi,
portava calzerotti di lana dopo aver posto sulle ferite una pelle per mitigarne
la ruvidezza. E benché non potesse nascondere del tutto ai compagni le stimmate
delle mani e dei piedi, sopportava però a malincuore che altri le osservasse.
Per questo, anche gli stessi compagni con molta prudenza, quando per necessità
il Santo scopriva le mani, volgevano altrove lo sguardo.
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CAPITOLO XCIX
UN FRATE RIESCE A
VEDERLE CON UN PIO INGANNO
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137. Mentre
Francesco si trovava a Siena, nell'inverno o nella primavera del 1226, giunse
colà un frate da Brescia. Desiderava molto vedere le stimmate del Padre e
scongiurò con insistenza frate Pacifico a ottenergli questa possibilità.
Questi gli rispose: "
Quando starai per ripartire di qui, gli chiederò che dia da baciare le mani.
Appena le avrà date, io ti farò un cenno cogli occhi, e tu potrai
vederle".
Quando furono pronti per il
ritorno, si recarono ambedue dal Santo. Inginocchiatisi, Pacifico dice a
Francesco: "Ti preghiamo di benedirci, carissima madre, e dammi la tua
mano da baciare!". Subito la bacia, mentre egli l'allunga con riluttanza,
e fa cenno al compagno di guardarla. Poi chiede l'altra, la bacia e la mostra
all'altro.
Quando stavano allontanandosi,
venne al Padre il sospetto che gli avessero teso un pio inganno, come era in
realtà. E giudicando empia quella che era soltanto una pia curiosità, richiamò
subito frate Pacifico: "Ti perdoni il Signore --gli disse --perché ogni
tanto mi rechi grandi pene ".
Pacifico si prostrò subito e gli
chiese umilmente: "Quale pena ti ho recata, carissima madre?".
Francesco non rispose e la cosa finì nel silenzio.
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CAPITOLO C
UN FRATE VEDE LA
FERITA DEL COSTATO
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138. Le ferite
delle mani e dei piedi erano note ad alcuni per la posizione stessa delle
membra, accessibile alla vista di tutti. Nessuno invece fu degno di vedere,
finché il Santo fu vivo, la ferita del costato, eccettuato uno solo e per una
sola volta. Quando faceva sbattere la tonaca, si copriva col braccio destro la
ferita del costato. Altre volte applicava al fianco trafitto la mano sinistra e
così copriva quella santa ferita.
Un suo compagno però mentre un
giorno gli faceva un massaggio, lasciò scivolare la mano sulla ferita
causandogli un grande dolore.
Un altro frate che cercava
curiosamente di sapere ciò che era nascosto agli altri, disse al Santo:
"Vuoi, Padre, che ti sbattiamo la tonaca?". "Ti ricompensi il
Signore-- rispose Francesco--perché ne ho proprio bisogno".
Mentre si spogliava, il frate
osservando attentamente vide ben chiara la ferita sul costato. Costui è il solo
che l'ha vista mentre era vivo; degli altri nessuno se non dopo morte.
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CAPITOLO CI
LA VIRTU' DEVE RIMANERE
NASCOSTA
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139. In questo
modo Francesco aveva rifiutato ogni gloria che non sapesse di Cristo e aveva
inflitto un ripudio radicale al plauso umano. Ben sapeva che il prezzo della
fama diminuiva quello segreto della coscienza; e sapeva pure che non è minore
perfezione custodire le virtù acquisite che acquistarne delle nuove.
Ahimé! per noi invece la vanità
è stimolo maggiore della carità ed il plauso del mondo prevale sull'amore di
Cristo. Non distinguiamo gli affetti, non esaminiamo di che spirito siamo.
Pensiamo che sia voluto dalla carità ciò che invece è frutto solo di
vanagloria. Pertanto se abbiamo fatto anche solo un po' di bene, non siamo in
grado di portarne il peso, ce ne liberiamo del tutto durante la vita e così lo
perdiamo nel viaggio verso l'ultimo lido. Sopportiamo pazienti di non essere
buoni, ma non ci rassegniamo a non sembrarlo né a non essere creduti tali. Così
viviamo completamente nella ricerca della stima degli uomini, perché non siamo
altro che uomini.
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L'UMILTA'
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CAPITOLO CII
UMILTA' Dl
FRANCESCO NEL CONTEGNO, NEL SENTIRE
E NEI SUOI COSTUMI
CONTRO L' AMOR PROPRIO
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140. Di tutte le
virtù è custode e decoro l'umiltà. Se questa non è messa come fondamento
dell'edificio spirituale, quando esso sembra innalzarsi si avvia alla rovina.
Francesco ne era provvisto con
particolare abbondanza, affinché non mancasse nulla ad uno già ricco di tanti
doni. Nella stima di sé non era altro che un peccatore, mentre in realtà era
onore e splendore di ogni santità. Sulla virtù delI'umiltà cercò di edificare
se stesso, per gettare un fondamento secondo l'insegnamento di Cristo.
Dimentico dei meriti, aveva davanti agli occhi solo i difetti, mentre
rifletteva che erano assai più le virtù che gli mancavano di quelle che aveva.
Unica sua grande ambizione, diventare migliore in modo da aggiungere nuove
virtù, non essendo soddisfatto di quelle già acquisite.
Umile nel contegno, più umile
nel sentimento, umilissimo nella propria stima. Da nulla si poteva distinguere
che questo principe di Dio aveva la carica di superiore, se non da
questa fulgidissima gemma, che cioè era il minimo tra i minori. Questa la
virtù, questo il titolo, questo il distintivo che lo indicava ministro
generale. La sua bocca non conosceva alcuna alterigia, i suoi gesti nessuna
pompa, i suoi atti nessuna ostentazione.
Pur conoscendo per rivelazione
divina la soluzione di molti problemi controversi, quando li esponeva metteva
innanzi il parere degli altri. Credeva che il consiglio dei compagni fosse più
sicuro ed il loro modo di vedere più saggio E affermava che non ha lasciato
tutto per il Signore, chi mantiene il gruzzolo del proprio modo di
pensare. Infine, per sé preferiva il biasimo alla lode, perché questa lo
spingeva a cadere, la disapprovazione invece lo obbligava ad emendarsi.
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CAPITOLO CIII
SUA UMILTA' COL
VESCOVO DI TERNI E CON UN CONTADINO
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141. Aveva
predicato una volta al popolo di Terni ed il vescovo della città, mentre alla
fine della predicazione gli rivolgeva parole di elogio davanti a tutti, si
espresse così: "In questa ultima ora Dio ha illuminato la sua
Chiesa con questo uomo poverello e di nessun pregio, semplice e senza cultura.
Perciò siamo tenuti a lodare sempre il Signore, ben sapendo che non ha fatto
così con nessun altro popolo ".
Udite queste parole, il Santo
accettò con incredibile piacere che il vescovo lo avesse indicato spregevole
con parole tanto chiare, ed entrati in chiesa, si gettò ai suoi piedi, dicendo:
"In verità, signor vescovo, mi hai fatto grande onore, perché mentre altri
me lo tolgono, tu solo hai lasciato intatto ciò che è mio. Hai separato, voglio
dire, il prezioso dal vile, da uomo prudente come sei, dando lode a Dio e a me
la mia miseria".
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142. Non soltanto
con i maggiori di lui si mostrava umile il servo di Dio, ma anche con i pari e
gli inferiori, più disposto ad essere ammonito e corretto, che ad ammonire gli
altri.
Un giorno, montato su un
asinello, perché debole e infermo non poteva andare a piedi, attraversava il
campo di un contadino, che stava lavorando. Questi gli corse incontro e gli
chiese premuroso se fosse frate Francesco. Avendogli risposto umilmente che era
proprio lui quello che cercava: "Guarda --disse il contadino -- di essere
tanto buono quanto tutti dicono che tu sia, perché molti hanno fiducia in te. Per
questo ti esorto a non comportarti mai diversamente da quanto si spera ".
Francesco, a queste parole,
scese dall'asino e, prostratosi, davanti al contadino, più volte gli
baciò i piedi umilmente ringraziandolo che si era degnato di ammonirlo.
In conclusione, aveva raggiunto
tanta celebrità da essere ritenuto da moltissimi santo, eppure si riteneva vile
davanti a Dio e agli uomini. Non insuperbiva né della fama né della
santità, che lo distingueva, ma neppure dei così numerosi e santi frati e figli
che gli erano stati dati come inizio della ricompensa per i suoi meriti.
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CAPITOLO CIV
IN UN CAPITOLO
RINUNCIA AL GOVERNO DELL' ORDINE
E SUA PREGHIERA
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143. Per
conservare la virtù della santa umiltà, pochi anni dopo la sua conversione,
rinunciò in un Capitolo alla presenza di tutti, all'ufficio di governo
dell'Ordine: "Da oggi avanti sono morto per voi. Ma ecco fra Pietro di
Cattanio, al quale io e voi tutti dobbiamo obbedire ".
E inchinatosi subito davanti a
lui, promise "obbedienza e riverenza". I frati piangevano,
prorompendo per il dolore in alti gemiti, vedendosi come divenuti orfani di
tanto padre.
Francesco si alzò, e con le mani
giunte e gli occhi elevati al cielo: "O Signore,--pregò--ti raccomando la
famiglia, che sino ad ora tu mi hai affidata. Ed ora, non potendo io averne
cura per le infermità che tu sai, dolcissimo Signore l'affido ai ministri.
Siano tenuti a renderne ragione a te o Signore, nel giorno del
giudizio, se qualche frate o per loro negligenza o cattivo esempio oppure
anche per una severità eccessiva, sarà perito ".
Da quel momento rimase suddito
sino alla morte, comportandosi più umilmente di qualsiasi altro frate.
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CAPITOLO CV
RINUNCIA AI SUOI
COMPAGNI
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144. In altra
circostanza rinunciò, mettendoli a disposizione del vicario, a tutti i suoi
compagni con queste parole: "Non voglio sembrare singolare con questo
privilegio di libertà, ma i frati mi accompagnino di luogo in luogo, come il
Signore li ispirerà ". E aggiunse: " Ho visto tempo fa un cieco che
aveva come guida di viaggio un cagnolino".
Questa era appunto
la sua gloria: mettere da parte ogni apparenza di singolarità e ostentazione,
perché abitasse in lui la virtù di Cristo. |
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CAPITOLO CVI
CONTRO QUELLI CHE
AMBISCONO LE CARICHE.
DESCRIZIONE DEL FRATE MINORE
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729
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145. Vedeva che
alcuni desideravano ardentemente le cariche dell'Ordine, delle quali si
rendevano indegni, oltre al resto, anche per la sola ambizione di governare. E
diceva che questi non erano frati minori, ma avevano dimenticato la loro
vocazione ed erano decaduti dalla gloria. Confutava poi con
abbondanza di argomenti alcuni miserabili, che sopportavano a malincuore di
essere rimossi dai vari uffici, perché più che l'onere cercavano l'onore.
Un giorno disse al suo compagno:
" Non mi sembrerebbe di essere frate minore se non fossi nella
disposizione che ti descriverò. Ecco--spiegò--essendo superiore dei frati vado
al capitolo, predico, li ammonisco, e alla fine si grida contro di me: --Non è
adatto per noi un uomo senza cultura e dappoco. Perciò non vogliamo che
tu regni su di noi, perché non sei eloquente, sei semplice ed ignorante.
Alla fine sono scacciato con obbrobrio, vilipeso da tutti. Ti dico: se non
ascolterò queste parole conservando lo stesso volto, la stessa letizia di
animo, lo stesso proposito di santità, non sono per niente frate minore".
E aggiungeva: " Il
superiorato è occasione di caduta, la lode di precipizio. L'umiltà del suddito
invece porta alla salvezza dell'anima. Perché allora volgiamo l'animo più ai
pericoli che ai vantaggi, quando abbiamo la vita per acquistarci meriti?".
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CAPITOLO CVII
VUOLE CHE I FRATI
SIANO SOGGETTI AL CLERO
E NE SPIEGA IL
MOTIVO
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146. Francesco
voleva che i suoi figli vivessero in pace con tutti e verso tutti senza
eccezione si mostrassero piccoli.
Ma insegnò con le parole e con
l'esempio ad essere particolarmente umili coi sacerdoti secolari.
"Noi - ripeteva - siamo
stati mandati in aiuto del clero per la salvezza delle anime, in modo da
supplire le loro deficienze. Ognuno riceverà la mercede non secondo l'autorità,
ma secondo il lavoro svolto. Sappiate - continuava - che il bene delle
anime è graditissimo al Signore, e ciò si può raggiungere meglio se si è in
pace che in discordia con il clero.
"Se poi essi ostacolano la
salvezza dei popoli, a Dio spetta la vendetta, ed egli darà a ciascuno la
paga a suo tempo. Perciò siate sottomessi all'autorità, affinché,
per quanto sta in voi, non sorga qualche gelosia. Se sarete figli della
pace, guadagnerete al Signore clero e popolo. Questo è più gradito a Dio,
che guadagnare solo la gente, con scandalo del clero".
E concludeva: "Coprite i
loro falli, supplite i vari difetti, e quando avrete fatto questo, siate più
umili ancora ".
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CAPITOLO CVIII
RISPETTO
DIMOSTRATO AL VESCOVO DI IMOLA
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147. Essendosi
recato a Imola, città della Romagna, si presentò al vescovo della diocesi per
chiedergli il permesso di predicare.
"Basto io--rispose il
vescovo--a predicare al mio popolo". Francesco chinò il capo e uscì
umilmente. Ma poco dopo, eccolo dentro di nuovo.
"Che vuoi, frate? --
riprese il vescovo --. Cosa domandi ancora?".
"Signore,--rispose
Francesco--se un padre scaccia il figlio da una porta, deve necessariamente
entrare da una altra ".
Vinto dalla sua umiltà, il
vescovo con volto lieto lo abbracciò, esclamando: "D'ora in poi tu e i
tuoi frati predicate pure nella mia diocesi, con mio generale permesso, perché
la tua santa umiltà lo ha meritato ".
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CAPITOLO CIX
IL SUO CONTEGNO
UMILE CON SAN DOMENICO E VICEVERSA.
IL LORO RECIPROCO
AMORE
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148. Si trovarono insieme
a Roma, in casa del cardinale d'Ostia che poi fu Sommo Pontefice, le fulgide
luci del mondo san Francesco e san Domenico.
Sentendoli parlare fra loro del
Signore con tanta dolcezza, alla fine il vescovo disse: " Nella Chiesa
primitiva i pastori erano poveri e persone di carità, senza cupidigia.
Perché--chiese-- tra i vostri frati quelli che emergono per dottrina e buon
esempio, non li facciamo vescovi e prelati?".
Fra i due Santi sorse una gara,
non per precedersi nella risposta, ma perché l'uno proponeva all'altro l'onore
ed anzi voleva costringerlo a parlare per primo. In realtà si superavano a
vicenda nella venerazione che nutrivano reciprocamente.
Alla fine vinse l'umiltà in
Francesco, perché non si mise avanti e vinse pure in Domenico, perché ubbidì
umilmente e rispose per primo.
Disse dunque Domenico al
vescovo: " Signore, i miei frati, se lo capiscono, sono già posti in alto
grado, e per quanto sta in me non permetterò che ottengano altra dignità
". Dopo questa breve e convinta risposta, Francesco si inchinò al vescovo
e disse a sua volta: " Signore, i miei frati proprio per questo sono stati
chiamati Minori, perché non presumano di diventare maggiori. Il nome
stesso insegna loro a rimanere in basso ed a seguire le orme dell'umiltà
di Cristo, per essere alla fine innalzati più degli altri al cospetto
dei Santi. Se volete--continuò--che portino frutto nella Chiesa di Dio,
manteneteli e conservateli nello stato della loro vocazione, e riportateli in
basso anche contro loro volontà. Per questo, Padre, ti prego: affinché non
siano tanto più superbi quanto più poveri e non si mostrino arroganti verso gli
altri, non permettere in nessun modo che ottengano cariche". Queste furono
le risposte dei Santi.
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733
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149 Cosa ne dite,
voi figli di santi? La gelosia e l'invidia provano che siete figli
degeneri, e non meno l'ambizione degli onori dimostra che siete spuri. Vi
mordete e divorate a vicenda. Ma la guerra e le liti non
provengono che dalle passioni. Voi dovete lottare contro le potenze
delle tenebre, avete una dura battaglia contro gli eserciti dei
demoni, e invece vi combattete a vicenda.
I Padri si guardano con affetto, pieni di
saggezza, con la faccia rivolta verso il propiziatorio. I figli invece
trovano gravoso anche solo vedersi. Cosa farà il corpo, se ha il cuore diviso?
Certamente, l'insegnamento della pietà cristiana porterebbe nel mondo intiero
maggior frutto, se un più forte vincolo di carità unisse i ministri della
parola di Dio. Perché a dir vero, ciò che diciamo o insegniamo è reso sospetto
da questo soprattutto, che in noi segni evidenti rendono palese un certo
lievito di odio. So pure che non sono in causa i giusti, che vi sono dall'una e
dall'altra parte, ma i malvagi. E a buon diritto crederei che si dovrebbero
estirpare perché non corrompano i Santi.
Cosa dovrei poi dire di quelli che hanno grandi
aspirazioni? I Padri hanno raggiunto il regno non per la via della
grandezza, ma dell'umiltà. I figli invece si aggirano nel cerchio
dell'ambizione e non cercano neppure la via della città loro dimora.
Ma cosa ne deriva? Se non seguiamo la loro via, non ne conseguiremo neppure la
gloria.
Non sia mai, Signore! Fa` che siamo umili sotto le ali di umili maestri, fa'
che si vogliano bene quelli che sono consanguinei di spirito, e possa tu
vedere i figli dei tuoi figli, la pace in Israele.
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CAPITOLO CX
I DUE SANTI SI
RACCOMANDANO A VICENDA
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734
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150. Terminate le
risposte dei servi di Dio, come abbiamo riferito, il Signor di Ostia rimase
molto edificato del loro parere e ringraziò di cuore Dio.
Al momento di separarsi,
Domenico pregò Francesco che si degnasse di cedergli la corda di cui era cinto.
Francesco si mostrava restio, rifiutando con umiltà pari alla carità con cui
Domenico insisteva. Tuttavia vinse la santa perseveranza del richiedente, che
cinse la corda sotto la tunica interiore con grandissima devozione. Poi si
presero la mano e si raccomandarono caldamente a vicenda. E il Santo disse al
Santo: "Frate Francesco vorrei che il mio e il tuo diventassero un solo
Ordine e che noi vivessimo nella Chiesa con la stessa regola ".
Da ultimo, quando si lasciarono,
san Domenico disse ai molti che erano lì presenti: "In verità vi dico, che
gli altri religiosi dovrebbero seguire questo santo uomo, Francesco, tanta è la
perfezione della sua santità".
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L'OBBEDIENZA
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CAPITOLO CXI
PER PRATICARE LA
VERA OBBEDIENZA
VUOLE AVERE SEMPRE
UN GUARDIANO
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735
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151. Desiderando
questo mercante astutissimo guadagnare in più modi e ridurre a merito tutta la
vita terrena, volle essere guidato dalle redini dell'obbedienza e sottomettersi
al governo altrui. E così non solo rinunciò all'ufficio di generale, ma per una
obbedienza più perfetta, chiese un guardiano personale da considerare suo
speciale superiore.
Disse infatti a frate Pietro di
Cattanio, al quale aveva già promesso santa obbedienza: "Ti prego, per
amore di Dio, di incaricare uno dei miei compagni a fare le tue veci a mio
riguardo, in modo che gli obbedisca devotamente come a te. Conosco il frutto
dell'obbedienza e so che non passa un momento di tempo senza frutto colui che ha
sottomesso il proprio collo al giogo di un altro".
La sua domanda fu accettata e,
ovunque, rimase suddito fino alla morte, obbedendo sempre con riverenza al suo
guardiano.
Un giorno disse ai suoi
compagni: "Tra le altre grazie, che la bontà divina si è degnata
concedermi, mi ha dato anche questa, che obbedirei con la stessa diligenza ad
un novizio di una sola ora, se mi fosse dato come guardiano, e ad uno che fosse
molto vecchio di religione ed esperto". E concluse: "Il suddito deve
considerare nel suo superiore non l'uomo, ma Colui per amore del quale si è
reso suddito. Inoltre quanto più è insignificante chi comanda, tanto più è
meritevole l'umiltà di chi obbedisce ".
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CAPITOLO CXII
RITRATTO DEL VERO
OBBEDIENTE.
LE TRE SPECIE Dl OBBEDIENZA
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736
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152 In altra circostanza, Francesco si
trovava seduto in mezzo ai compagni, e disse sospirando: " A malapena c'è
in tutto il mondo qualche religioso, che obbedisca perfettamente al suo
superiore ". Sorpresi, i compagni gli chiesero: "Spiegaci, Padre,
quale sia la perfetta e somma obbedienza ".
Ed egli raffigurò il vero
obbediente in un corpo morto: " Prendi un corpo esanime e ponilo dove ti
piace: vedrai che non rifiuta se mosso, non mormora ovunque sia posto, non
reclama se viene allontanato. Se lo poni sulla cattedra, non guarderà in alto
ma in basso. Se viene collocato nella porpora, sembrerà doppiamente pallido.
Questi--esclamò --è il vero obbediente: colui che non giudica perché sia
rimosso, non si cura dove sia messo, non insiste per essere trasferito.
Innalzato ad una carica, mantiene l'umiltà che gli è abituale. Più è onorato e
più si reputa indegno ".
Un'altra volta parlando dello
stesso argomento, chiamò propriamente licenze quelle concesse dietro domanda,
sacre ubbidienze quelle imposte e non richieste. L'una e l'altra --diceva--sono
buone, ma la seconda è più sicura. Però la più perfetta di tutte, in cui non ha
nessuna parte la carne e il sangue, riteneva fosse l'ubbidienza, per cui
si va "per divina ispirazione tra gli infedeli", sia per la salvezza
del prossimo, sia per desiderio del martirio. Chiedere questa, la giudicava
cosa molto gradita a Dio.
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CAPITOLO CXIII
NON SI DEVE
COMANDARE
PER OBBEDIENZA CON
LEGGEREZZA
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737
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153. Riteneva che
si dovesse comandare in nome delI'obbedienza raramente, e non scagliare da
principio il dardo, che dovrebbe essere l'ultima arma. "Non si
deve--ripeteva--mettere subito mano alla spada". Ma chi non si affretta ad
eseguire il precetto dell'obbedienza, non teme Dio e non tiene in nessun
conto gli uomini.
Niente di più vero. Cos'è
infatti l'autorità in mano ad un superiore temerario, se non una spada in mano
ad un pazzo? E d'altra parte, c'è un caso più disperato di un religioso che
disprezza l'obbedienza?
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CAPITOLO CXIV
GETTA NEL FUOCO IL
CAPPUCCIO Dl UN FRATE,
CHE ERA VENUTO
SPINTO DA DEVOZIONE
MA SENZA PERMESSO
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738
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154. Una volta
tolse il cappuccio ad un frate, che era venuto da solo senza obbedienza e lo
fece gettare in un gran fuoco. Nessuno si mosse per togliere il cappuccio,
perché temevano il volto alquanto adirato del Padre. Allora il Santo ordinò di
estrarlo dalle fiamme ed era perfettamente illeso.
Forse questo è avvenuto per i
meriti del Santo, ma probabilmente anche per il merito del frate, perché era
stato avvinto dal devoto desiderio di vedere il padre santissimo. Gli era però
mancata la discrezione, unica guida delle virtù.
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IL BUONO E IL CATTIVO ESEMPIO
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CAPITOLO CXV
IL BUON ESEMPIO DI UN FRATE E
IL COSTUME DEI
PRIMI FRATI
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739
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155. Affermava che
i frati minori sono stati mandati dal Signore in questo ultimo tempo per
offrire esempi di luce a chi è avvolto dal buio dei peccati. E ripeteva che
all'udire le opere virtuose dei santi frati dispersi nel mondo, si sentiva
come inebriato di soavissimo profumo e cosparso di unguento prezioso.
Un frate di nome Barbaro una
volta offese con una parola ingiuriosa un confratello alla presenza di un
nobile dell'isola di Cipro. Ma appena si accorse che il confratello ne era
rimasto piuttosto offeso, si accese di ira contro se stesso, e preso dello
sterco d'asino se lo mise in bocca per masticarlo: "Mastichi sterco questa
lingua, che ha sputato veleno di ira sul mio fratello".
A tale vista, il cavaliere ne fu
sbigottito, poi rimase molto edificato. Da quel momento mise se stesso ed i
suoi beni a disposizione dei frati con grande generosità.
Tutti i frati osservavano
immancabilmente questa usanza: se per caso uno scagliava contro un altro una
parola che fosse causa di turbamento, subito si prostrava per terra e
accarezzava con santi baci i piedi dell'offeso, anche contro sua volontà.
Il Santo gongolava di gioia
nell'udire tali cose, perché vedeva che i suoi figli da soli praticavano esempi
di santità e ricolmava delle più elette benedizioni quei frati, che con la
parola e l'esempio inducevano i peccatori all'amore di Cristo. Traboccante
com'era di zelo per le anime, voleva che anche i suoi figli gli
rassomigliassero completamente.
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CAPITOLO CXVI
MALEDIZIONE E PENA DEL SANTO
PER ALCUNI FRATI
Dl CATTIVA CONDOTTA
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740
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156. La sua
terribile sentenza di maledizione colpiva quelli che con opere inique e cattivi
esempi violavano la santità dell'Ordine.
Gli fu riferito un giorno che
erano stati ricevuti dal vescovo di Fondi, due
frati, i quali, sotto pretesto di un maggior disprezzo di sé, coltivavano una
barba più lunga del conveniente. Il vescovo li aveva apostrofati: "Badate
bene di non deturpare con la presunzione di queste novità la bellezza
dell'Ordine".
Il Santo si alzò di scatto, e levando
le mani al cielo, col volto inondato di lacrime, proruppe in queste parole
di preghiera o piuttosto di maledizione: "Signore Gesù Cristo, tu che hai
scelto i dodici Apostoli, dei quali anche se uno venne meno, gli altri però
rimasero fedeli ed hanno predicato il santo Vangelo animati dall'unico Spirito,
tu, o Signore, in questa ultima ora, memore della antica misericordia.
hai fondato
l'Ordine dei frati a sostegno della tua fede e perché per loro mezzo si
adempisse il mistero del tuo Vangelo. Chi dunque ti darà soddisfazione per
loro, se quelli che hai mandato a questo scopo, non solo non mostrano a tutti
esempi di luce, ma piuttosto le opere delle tenebre?
"Da Te, o Signore
santissimo, e da tutta la curia celeste e da me tuo piccolo siano maledetti
quelli che col loro cattivo esempio confondono e distruggono ciò che un tempo
tu hai edificato per mezzo dei santi frati di questo Ordine e non cessi di
edificare!".
Dove sono quelli che si
dichiarano felici della sua benedizione e si vantano di essersi accaparrati a
loro piacimento la sua amicizia? Se, Dio non voglia, si troverà che hanno
mostrato le opere delle tenebre con pericolo del prossimo, senza
pentirsene, guai a loro, guai di dannazione eterna!
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741
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157. " I
frati più buoni--diceva--si sentono confusi per le opere dei frati cattivi, e
anche se essi personalmente non hanno peccato, vengono giudicati dall'esempio
dei malvagi. Proprio per questo mi trafiggono con una spada acuta e me la
ripassano tutto il giorno per le viscere ". Era soprattutto per questo
motivo che si sottraeva alla compagnia dei frati, perché non gli capitasse di
udire riguardo all'uno o all'altro qualcosa di spiacevole, che gli rinnovasse
il dolore.
E continuava: "Verrà tempo,
in cui questa diletta Religione di Dio sarà talmente infamata dai cattivi
esempi, che si proverà vergogna a uscire in pubblico. Quelli che verranno in
quelle circostanze all'Ordine, vi saranno condotti unicamente dall'azione dello
Spirito Santo, non li contaminerà né la carne né il sangue e saranno
veramente benedetti da Dio. Non compiranno azioni di grande merito, per
il raffreddarsi della carità, la virtù che spinge i santi ad agire
fervorosamente. Però sopraggiungeranno per loro tentazioni immense, e quanti
allora avranno superato la prova, saranno migliori dei loro predecessori. Ma
guai a quelli, che soddisfatti della sola apparenza di vita religiosa,
intorpidiranno nell'ozio e non rimarranno saldi nelle tentazioni permesse per
provare i giusti! Perché soltanto chi avrà superato la prova, dopo
essere stato nel frattempo tribolato dalla malizia degli empi, riceverà la
corona di vita ".
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CAPITOLO CXVII
DIO GLI RIVELA LO
STATO DELL' ORDINE
E CHE NON VERRA'' MAI MENO
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742
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158. Il Santo
trovava grandissima consolazione nelle visite del Signore e da esse veniva
assicurato che le fondamenta del suo Ordine sarebbero rimaste sempre stabili.
Riceveva anche la promessa che sicuramente nuovi eletti avrebbero preso il
posto di chi si perdeva. Essendo turbato per i cattivi esempi, e avendo fatto
ricorso un giorno, così amareggiato, alla preghiera, si sentì apostrofato a
questo modo dal Signore: "Perché tu, omiciattolo, ti turbi? Forse io ti ho
stabilito pastore del mio Ordine in modo tale che tu dimenticassi che io ne
rimango il patrono principale? Per questo io ho scelto te, uomo semplice,
perché quelli che vorranno, seguano le opere che compirò in te e che devono
essere imitate da tutti gli altri. Io vi ho chiamati: vi conserverò e
pascolerò, supplirò con nuovi religiosi il vuoto lasciato dagli altri, al
punto di farli nascere se non fossero già nati. Non turbarti dunque, ma attendi
alla tua salvezza perché se l'Ordine si riducesse anche a soli tre frati,
rimarrà il mio aiuto sempre stabile ".
Da quel giorno era solito
affermare che la virtù di un solo frate santo supera una quantità, sia pur
grande, di imperfetti, come un solo raggio di luce dissipa le tenebre più
fitte
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CONTRO L' OZIO E GLI OZIOSI
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CAPITOLO CXVIII
DIO GLI RIVELA
QUANDO È SUO SERVO
E QUANDO NON LO È
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743
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159. Dal momento in cui Francesco rigettò le cose caduche e cominciò ad
aderire strettamente al Signore, non volle perdere nemmeno una
particella di tempo. Aveva già accumulato abbondanza di meriti nei
tesori del Signore, eppure era sempre come all'inizio, sempre più pronto ad
ogni esercizio spirituale. Riteneva gran peccato non fare qualcosa di bene e
giudicava un retrocedere il non progredire sempre.
Mentre dimorava in una cella a
Siena, una notte chiamò a sé i compagni che dormivano: "Ho invocato il
Signore-- spiegò loro-- perché si degnasse indicarmi quando sono suo servo e
quando no. Perché non vorrei essere altro che suo servo. E il Signore, nella
sua immensa benevolenza e degnazione, mi ha risposto ora:--Riconosciti
mio servo veramente, quando pensi, dici, agisci santamente--. Per questo vi ho
chiamati, fratelli, perché voglio arrossire davanti a voi, se a volte avrò
mancato in queste tre cose ".
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CAPITOLO CXIX
PENITENZA PREVISTA
ALLA PORZIUNCOLA
PER LE PAROLE OZIOSE
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744
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160. In altra
circostanza, alla Porziuncola, considerando che il frutto dell'orazione
svanisce quando è seguita da conversazioni inutili, prescrisse questo rimedio
per evitare il difetto delle parole oziose: "Qualunque frate proferisca
una parola oziosa o inutile sia tenuto a dire subito la sua colpa e a
recitare per ogni parola oziosa un Pater Noster. Voglio poi che, se il
frate confesserà spontaneamente la colpa, dica il Pater Noster per la
sua anima. se invece sarà prima redarguito da un altro, lo applichi per l'anima
di chi lo ha richiamato ".
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CAPITOLO CXX
LABORIOSITÀ DEL
SANTO E DISGUSTO PER GLI OZIOSI
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745
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161. Quanto ai
fannulloni, che non si applicano con impegno ad alcun lavoro, diceva che sono
destinati ad essere rigettati dalla bocca del Signore. Nessun ozioso
poteva comparire alla sua presenza, senza essere da lui biasimato aspramente.
In realtà egli, modello di ogni perfezione, faticava e lavorava con le sue
mani, preoccupato di non perdere un attimo di quel dono preziosissimo che è il
tempo.
"Voglio--disse una
volta--che tutti i miei frati lavorino e stiano occupati, e chi non sa impari
qualche mestiere". E eccone il motivo: "Affinché--continuava--siano
meno di peso agli uomini, e nell'ozio la lingua o il cuore non vadano vagando
tra cose illecite ".
Il guadagno poi o la mercede del
lavoro, non lo lasciava all'arbitrio di chi lavorava, ma del guardiano o della
famiglia religiosa.
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CAPITOLO CXXI
LAMENTO RIVOLTO AL
SANTO
CONTRO GLI OZIOSI
E I GOLOSI
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162. Mi sia
permesso, o padre santo, di elevare ora al cielo un lamento per quelli che si
dicono tuoi. Molti hanno in odio gli esercizi delle virtù, e volendo riposare
prima ancora di lavorare, dimostrano di essere figli non di Francesco, ma di
Lucifero. Abbiamo più abbondanza di gente che si dà ammalata che di
combattenti, mentre, essendo nati per il lavoro, dovrebbero ritenere la
loro vita una milizia. Non amano rendersi utili con il lavoro, non son
capaci con la contemplazione. Dopo che hanno causato turbamento in tutti con la
loro vita singolare, lavorando più con le mascelle che con le mani, detestano
chi li riprende apertamente e non permettono di essere toccati neppure con
la punta delle dita.
Ma ancor più mi colpisce la loro
impudenza, perché, al dire di san Francesco, a casa loro sarebbero vissuti solo
a costo di molto sudore, ed ora senza faticare, si nutrono col sudore dei
poveri.
Prodigio di scaltrezza! Non
fanno niente e ti sembrano sempre occupati. Conoscono bene gli orari della
tavola, e se a volte li stuzzica troppo la fame, accusano il sole di essersi
addormentato. Ed io, buon padre, dovrei credere degne della tua gloria le
mostruosità di questi uomini? Ma non lo sono neppure della tua tonaca! Tu hai
sempre insegnato ad accumulare in questo tempo malsicuro e fugace ricchezze di
meriti, perché non capiti di dover mendicare nella vita futura. Questi invece,
destinati a finire poi in esilio, non hanno neppure il vero gusto della patria.
Questo morbo infierisce tra i sudditi, perché i superiori fingono di non
vedere, come se fosse possibile sostenere i loro vizi e non condividerne il
castigo.
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I MINISTRI DELLA PAROLA DI DIO
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CAPITOLO CXXII
QUALITÀ DEL
PREDICATORE
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163. Voleva che
i ministri della parola di Dio attendessero agli studi sacri e non fossero
impediti da nessun altro impegno. Diceva infatti che sono stati scelti da un
gran re per bandire ai popoli gli editti che ascoltano dalla sua bocca.
"Il predicatore--diceva--deve
prima attingere nel segreto della preghiera ciò che poi riverserà nei discorsi.
Prima deve riscaldarsi interiormente, per non proferire all'esterno fredde
parole". È un ufficio, sottolineava, degno di riverenza, e tutti devono
venerare quelli che lo esercitano: "Essi sono la vita del corpo, gli
avversari dei demoni, essi sono la lampada del mondo ".
Riteneva poi i dottori in sacra
teologia degni di particolari onori. Per questo una volta fece scrivere come
norma generale: "Dobbiamo onorare e venerare tutti i teologi e quanti ci
dispensano la parola di Dio come quelli che ci somministrano spirito e
vita".
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E scrivendo una
volta al beato Antonio, fece iniziare la lettera così: " A frate Antonio,
mio vescovo ".
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CAPITOLO CXXIII
CONTRO QUELLI CHE
SONO AVIDI DI UNA LODE VANA.
SPIEGAZIONE DI UN PASSO PROFETICO
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749
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164. Però diceva
che sono da compiangersi i predicatori, che vendono spesso il loro ministero
per un soldo di vanagloria. E cercava a volte di guarire il loro gonfiore con
questo rimedio: "Perché vi gloriate della conversione degli uomini, quando
li hanno convertiti con le loro preghiere i miei frati semplici? ". Ed
anzi commentava così il passo che dice: Perfino la sterile ha partorito
numerosi figli: "La sterile è il mio frate poverello, che non ha il
compito di generare figli nella Chiesa. Ma nel giudizio ne avrà dato alla luce
moltissimi, perché in quel giorno il giudice ascriverà a sua gloria quelli, che
ora converte con le sue preghiere personali. Quella invece che ne ha molti
comparirà sterile perché il predicatore, che è fiero di molti figli come se
li avesse generati lui, capirà allora che in essi non c'è niente di suo".
Riguardo poi a quelli che ci
tengono a sentirsi lodare più come retori che come predicatori, e che parlano
con discorsi leccati ma senza animo, non li amava molto. E affermava che fanno
una cattiva spartizione del tempo, perché danno tutto alla predicazione niente
alla devozione. In altre parole, lodava quel predicatore che ogni tanto si
preoccupa di se stesso e si nutre personalmente della sapienza.
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LA CONTEMPLAZIONE DEL CREATORE NELLE CREATURE
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CAPITOLO CXXIV
AMORE DEL SANTO
PER LE CREATURE SENSIBILI
E INSENSIBILI
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750
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165. Desiderando
questo felice viandante uscire presto dal mondo, come da un esilio di passaggio,
trovava non piccolo aiuto nelle cose che sono nel mondo stesso. Infatti
si serviva di esso come di un campo di battaglia contro le potenze delle
tenebre, e nei riguardi di Dio come di uno specchio tersissimo della sua
bontà.
In ogni opera loda l'Artefice;
tutto ciò che trova nelle creature lo riferisce al Creatore. Esulta di gioia
in tutte le opere delle mani del Signore, e attraverso questa visione
letificante intuisce la causa e la ragione che le vivifica. Nelle cose belle
riconosce la Bellezza Somma, e da tutto ciò che per lui è buono sale
un grido: " Chi ci ha creati è infinitamente buono ". Attraverso le
orme impresse nella natura, segue ovunque il Diletto e si fa scala di
ogni cosa per giungere al suo trono.
Abbraccia tutti gli esseri
creati con un amore e una devozione quale non si è mai udita, parlando loro del
Signore ed esortandoli alla sua lode. Ha riguardo per le lucerne, lampade e
candele, e non vuole spegnerne di sua mano lo splendore, simbolo della Luce
eterna. Cammina con riverenza sulle pietre, per riguardo a colui, che è
detto Pietra. E dovendo recitare il versetto, che dice: Sulla pietra
mi hai innalzato, muta così le parole per maggiore rispetto: "Sotto i
piedi della Pietra tu mi hai innalzato".
Quando i frati tagliano legna,
proibisce loro di recidere del tutto l'albero, perché possa gettare nuovi
germogli. E ordina che l'ortolano lasci incolti i confini attorno all'orto,
affinché a suo tempo il verde delle erbe e lo splendore dei fiori cantino
quanto è bello il Padre di tutto il creato. Vuole pure che nell'orto un’aiuola
sia riservata alle erbe odorose e che producono fiori, perché richiamino a chi
li osserva il ricordo della soavità eterna.
Raccoglie perfino dalla strada i
piccoli vermi, perché non siano calpestati, e alle api vuole che si somministri
del miele e ottimo vino, affinché non muoiano di inedia nel rigore
dell'inverno.
Chiama col nome di fratello
tutti gli animali, quantunque in ogni specie prediliga quelli mansueti.
Ma chi potrebbe esporre ogni
cosa? Quella Bontà " fontale ", che un giorno sarà tutto in tutti,
a questo Santo appariva chiaramente fin d'allora come il tutto in tutte le
cose.
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CAPITOLO CXXV
LE CREATURE GLI
RICAMBIANO IL SUO AMORE.
IL FUOCO NON LO
BRUCIA
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751
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166. Tutte le
creature da parte loro si sforzano di contraccambiare l'amore del Santo e di
ripagarlo con la loro gratitudine. Sorridono quando le accarezza, danno segni
di consenso quando le interroga, obbediscono quando comanda. Sia sufficiente
qualche esempio.
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752
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Al tempo della sua
malattia d'occhi, trovandosi costretto a permettere che lo si curasse, viene
chiamato un chirurgo, che giunge portando con sé il ferro per cauterizzare.
Ordina che sia messo nel fuoco, sino a che sia tutto arroventato. Il Padre, per
confortare il corpo già scosso dal terrore, così parla al fuoco: "Frate
mio fuoco, di bellezza invidiabile fra tutte le creature, l'Altissimo ti ha
creato vigoroso, bello e utile. Sii propizio a me in quest'ora, sii cortese!,
perché da gran tempo ti ho amato nel Signore. Prego il Signore grande che ti
ha creato di temperare ora il tuo calore in modo che io possa sopportare,
se mi bruci con dolcezza ".
Terminata la preghiera, traccia
un segno di croce sul fuoco e poi aspetta intrepido. Il medico prende in mano
il ferro incandescente e torrido, mentre i frati fuggono vinti dalla
compassione. Il Santo invece si offre pronto e sorridente al ferro.
Il cautere affonda crepitando
nella carne viva, e la bruciatura si estende a poco a poco dall'orecchio al
sopracciglio. Quanto dolore gli abbia procurato il fuoco, ce lo testimoniano le
parole del Santo, che lo sapeva meglio di tutti. Infatti, quando ritornarono i
frati che erano fuggiti, il Padre disse sorridendo: "Pusillanimi e di poco
coraggio, perché siete fuggiti? In verità vi dico, non ho provato né l'ardore
del fuoco né alcun dolore della carne". E rivolto al medico: "Se la
carne non è bene cauterizzata, brucia di nuovo", gli disse.
Il medico, che conosceva ben
diverse reazioni in casi simili, magnificò il fatto come un miracolo di Dio:
"Vi dico, frati, che oggi ho visto cose mirabili ".
A mio giudizio, il Santo era
ritornato alla innocenza primitiva, e quando lo voleva, diventavano con lui
miti anche gli elementi crudeli.
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CAPITOLO CXXVI
UN UCCELLINO Sl
POSA NELLE SUE MANI
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753
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167. Francesco
stava attraversando su una piccola barca il lago di Rieti, diretto all'eremo di
Greccio e un pescatore gli fece omaggio di un uccellino acquatico, perché se ne
rallegrasse nel Signore.
Il Padre lo prese con piacere e,
aprendo le mani, lo invitò con bontà a volersene andare liberamente. Ma
l'uccellino rifiutò, accovacciandosi nelle sue mani come dentro a un nido. Il
Santo rimase con gli occhi alzati in preghiera e poi, dopo lungo tempo,
ritornato in se stesso come da lontano, gli ordinò di riprendere senza timore
la libertà di prima.
E l'uccellino, avuto il permesso
con la benedizione, se ne volò via, dando col movimento del corpo segni di
gioia.
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CAPITOLO CXXVII
IL FALCO
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754
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168. Mentre
Francesco, rifuggendo come era sua abitudine dalla vista e dalla compagnia
degli uomini, si trovava in un eremo, un falco che aveva lì il suo nido strinse
con lui un solenne patto di amicizia. Ogni notte col canto e col rumore
preannunciava l'ora in cui il Santo era solito svegliarsi per le lodi divine.
Cosa graditissima, perché con la grande premura che dimostrava nei suoi
riguardi, riusciva a scuotere da lui ogni ritardo di pigrizia.
Quando poi il Santo era
indebolito più dei solito da qualche malattia, il falco si mostrava riguardoso
e non dava così presto il segnale del risveglio Ma come fosse istruito da
Dio, solo verso il mattino faceva risuonare con tocco leggero la campana
della sua voce.
Non è meraviglia se le altre
creature veneravano chi più di tutti amava il Signore
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CAPITOLO CXXVIII
LE API
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755
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169. Era stata un
tempo costruita una celletta su un monte, e qui il servo di Dio passò quaranta
giorni in durissima penitenza. Quando, trascorso il periodo di tempo, se ne
partì, la cella rimase vuota senza che altri prendesse il suo posto, essendo il
luogo isolato. E rimase pure lì il vasetto di terra, che gli serviva per bere.
Un giorno vi si recarono alcune
persone per devozione al Santo: il vaso era pieno di api, che con arte mirabile
vi stavano formando le cellette dei favi. Certamente volevano indicare la
dolcezza della contemplazione, di cui si era inebriato in quel luogo il Santo
di Dio.
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CAPITOLO CXXIX
IL FAGIANO
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170. Un nobile
della terra di Siena mandò in regalo a Francesco ammalato un fagiano. Il Santo
lo accettò con piacere, non per desiderio di mangiarlo, ma perché, come
avveniva sempre in questi casi, ne provava gioia per l'amore che aveva al
Creatore. E gli disse: " Sia lodato il nostro Creatore, frate fagiano!
". Poi rivolto ai frati continuò: " Proviamo ora se frate fagiano
vuole rimanere con noi o se preferisce ritornare ai luoghi abituali e più
adatti a lui ".
Un frate, per ordine del Santo,
lo portò lontano in una vigna, ma egli se ne ritornò rapidamente alla .cella
del Padre. Lo fece porre una seconda volta ancora più lontano, ma ritornò con
la più grande celerità alla porta della cella e, quasi facendo violenza si
introdusse sotto le tonache dei frati, che erano lì sulla soglia. Allora il
Santo ordinò che fosse nutrito con cura, mentre lo abbracciava e lo vezzeggiava
con dolci parole.
Vedendo ciò un medico assai
devoto di Francesco lo chiese ai frati, non per mangiarlo ma voleva mantenerlo
per venerazione verso il Santo. In breve, se lo portò a casa. ma il fagiano,
come se fosse rimasto offeso per essere stato separato dal Santo, non volle
assolutamente toccare cibo fino a che rimase lontano. Stupito il medico glielo
riportò subito e gli raccontò tutto l'accaduto. Appena ii fagiano, deposto a
terra, scorse il Padre suo, abbandonò ogni tristezza e comincio a mangiare
gioiosamente.
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CAPITOLO CXXX
LA CICALA
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171. Alla
Porziuncola, su un fico posto accanto alla cella del Santo stava una cicala,
che cantava frequentemente con la soavità consueta. Un giorno il Padre,
allungando verso di lei la mano, la invitò dolcemente: "Sorella mia
cicala, vieni a me! ". Come se comprendesse, subito gli volò sulle mani, e
Francesco le disse: "Canta, sorella mia cicala, e loda con gioia il
Signore tuo creatore! ".
Essa obbedì senza
indugio. Cominciò a cantare e non cessò fino a quando l'uomo di Dio unì la
propria lode al suo canto, e le ordinò di ritornare al suo posto. Qui rimase di
continuo per otto giorni, come se vi fosse legata. Quando il Padre scendeva
dalla cella, l'accarezzava sempre con le mani e le ordinava di cantare. Ed essa
era sempre pronta ad obbedire al suo comando.
" Diamo ormai
licenza alla nostra sorella cicala--disse un giorno Francesco ai suoi
compagni--. Ci ha rallegrati abbastanza fino ad ora con la sua lode: la nostra
carne non deve trovarvi un motivo di vanagloria ". E subito avuta la sua
licenza, si allontanò e non si rivide più in quel luogo.
Davanti a questi fatti, i frati
rimanevano grandemente ammirati..
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LA CARITÀ
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CAPITOLO CXXXI
LA CARITÀ DEL
SANTO. PER LA SALVEZZA DELLE ANIME
SI DIMOSTRA
ESEMPIO DI PERFEZIONE
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172. La forza
dell'amore aveva reso Francesco fratello di tutte le altre creature; non è
quindi meraviglia se la carità di Cristo lo rendeva ancora più fratello
di quanti sono insigniti della immagine del Creatore.
Diceva infatti che niente è più
importante della salvezza delle anime, e lo provava molto spesso col
fatto che l'Unigenito di Dio si è degnato di essere appeso alla croce
per le anime. Da qui derivava il suo impegno nella preghiera, il suo
trasferirsi da un luogo all'altro per predicare, la sua grande preoccupazione
di dare buon esempio.
Non si riteneva amico di
Cristo, se non amava le anime che Egli ha amato. Ed era
appunto questo il principale motivo per cui venerava i dottori di sacra
Teologia, perché come collaboratori di Cristo esercitavano con lui lo
stesso ufficio.
Ma al di sopra di ogni misura,
amava di un amore particolarmente intimo, con tutto l'affetto del cuore, i
frati, come familiari di una fede speciale e uniti dalla partecipazione
alla eredità eterna.
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759
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173. Quando gli
facevano notare il rigore della sua vita, rispondeva di essere stato dato come
modello all'Ordine, per incoraggiare come aquila i suoi piccoli al volo.
Perciò, quantunque la sua carne innocente, che già spontaneamente si
assoggettava allo spirito, non avesse bisogno di castigo per colpe commesse,
tuttavia moltiplicava le sue penitenze per dare l'esempio, e batteva vie
difficili solo per incoraggiare gli altri.
E ben a ragione. Perché si
guarda più ai fatti che alle parole dei superiori. Con i fatti, Padre, tu
convincevi più soavemente, persuadevi con più facilità ed anche presentavi la
prova più convincente.
Se i superiori parlassero anche la lingua degli uomini
e degli angeli, ma non accompagnano le parole con esempi di carità, a me
giovano poco, a se stessi niente. In realtà, quando chi corregge non
è temuto in nessun modo e il capriccio tiene luogo della ragione, bastano forse
i sigilli alla salvezza?
Tuttavia si deve mettere in
pratica ciò che essi dicono autorevolmente, affinché la corrente d'acqua giunga
alle aiuole, anche se i canali rimangono aridi. E di tanto in tanto si raccolga
la rosa dalle spine, in modo che il maggiore serva al minore.
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CAPITOLO CXXXII
LA SUA PREMURA PER
I SUDDITI
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174. E inoltre chi
possiede la stessa premura di Francesco per i sudditi? Egli alzava sempre le
mani al cielo in favore dei veri Israeliti, e a volte, dimentico di sé,
provvedeva prima alla salvezza dei fratelli. Si prostrava ai piedi della Maestà
divina, offriva un sacrificio spirituale per i suoi figli, e pregava Dio
a beneficarli. Vegliava con trepido amore sul piccolo gregge, che si era
condotto dietro, perché non gli capitasse che, dopo aver lasciato questo mondo,
perdesse anche il cielo. Ed era convinto che un giorno sarebbe rimasto senza
gloria, se nello stesso tempo non ne avesse reso meritevoli e partecipi quanti
gli erano stati affidati, e che il suo spirito dava alla luce con dolore
maggiore di quello provato dalle viscere materne.
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CAPITOLO CXXXIII
LA SUA COMPASSIONE
PER GLI INFERMI
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175. Dimostrava
una grande compassione per gli infermi e una tenera sollecitudine per le loro
necessità. Se a volte la bontà dei secolari gli mandava qualche corroborante
per la sua salute, lo regalava agli altri ammalati, mentre ne aveva bisogno più
di tutti. Faceva proprie le loro sofferenze e li consolava con parole di
compassione, quando non poteva recare loro soccorso. Mangiava perfino nei
giorni di digiuno, perché gli infermi non provassero rossore, e non si
vergognava nei luoghi pubblici della città di questuare carne per un frate ammalato
. Tuttavia ammoniva i sofferenti a sopportare pazientemente le privazioni e a
non gridare allo scandalo, se non erano soddisfatti in tutto. Per cui in una
Regola fece scrivere così: " Prego tutti i miei frati infermi, che nelle
loro infermità non si adirino né si turbino contro Dio o contro i fratelli. Non
chiedano con insistenza le medicine, né desiderino troppo di risanare il corpo,
che è nemico dell'anima e destinato a morire presto. Di ogni cosa sappiano
rendere grazie a Dio, in modo da essere quali li vuole il Signore. Perché
quelli che Dio ha preordinati alla vita eterna, li ammaestra col pungolo
dei flagelli e delle malattie. Ha detto infatti:--lo correggo e castigo
quelli che amo--".
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176. Una volta
venne a conoscenza che un frate ammalato aveva desiderio di mangiare un po'
d'uva. Lo accompagnò in una vigna, e sedutosi sotto una vite, per infondergli
coraggio, cominciò egli stesso a mangiarne per primo.
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CAPITOLO CXXXIV
LA SUA COMPASSIONE
PER GLI INFERMI DI SPIRITO.
Dl QUELLI CHE AGISCONO DIVERSAMENTE
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177. Amava con
maggiore bontà e sopportava con pazienza quelli che sapeva turbati da
tentazioni e deboli di spirito, come bambini fluttuanti. Per cui,
evitando le correzioni aspre, dove non vedeva un pericolo, risparmiava la
verga per riguardo alla loro anima. E soleva dire che è dovere del
superiore, padre e non tiranno, prevenire l'occasione della colpa e non
permettere che cada chi poi difficilmente potrebbe rialzarsi, una volta
caduto.
Oh, quanto è degna di
compassione la nostra stoltezza! Non soltanto non rialziamo o sosteniamo i
deboli, ma a volte li spingiamo a cadere. Giudichiamo di nessuna importanza
sottrarre al Sommo Pastore una pecorella, per la quale sulla croce gettò un
forte grido con lacrime. Ma ben diversamente tu, padre santo, preferivi
emendare gli erranti e non perderli !.
Sappiamo tuttavia che i mali
della propria volontà sono in alcuni talmente radicati da richiedere il
cauterio, non l'unguento. Infatti è chiaro che per molti è più utile l'essere
stritolati con verga di ferro, che essere accarezzati con le mani. Ma
l'olio ed il vino, la verga e il bastone, lo zelo e l'indulgenza, la bruciatura
e l'unzione, il carcere ed il grembo materno, ogni cosa ha il suo tempo.
Tutto ciò richiede il Dio delle vendette e il Padre delle misericordie:
però preferisce la misericordia al sacrificio.
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CAPITOLO CXXXV
I FRATI SPAGNUOLI
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178. Questo uomo
santissimo era meravigliosamente rapito in Dio e traboccava di gioia, quando
giungeva sino a lui il buon odore dei suoi figli.
Avvenne che un ecclesiastico
spagnuolo, persona pia, ebbe la fortuna di incontrarsi e di parlare con san
Francesco. Tra le altre cose che riferì riguardo ai frati che si trovavano in
Spagna, rese felice il Santo con questa notizia:
"I tuoi frati
nel nostro paese vivono in un povero eremo, e si sono dati questo regime di
vita: metà attendono ai lavori domestici e metà alla contemplazione. Ogni
settimana, il gruppo degli attivi passa alla contemplazione e quello dei
contemplativi all'esercizio del lavoro.
"Un giorno era già stata
preparata la tavola, e, dato il segnale per chiamare gli assenti, arrivano
tutti, eccetto uno, del gruppo contemplativo. Dopo un po' vanno alla sua cella
per chiamarlo a tavola, ma egli già si nutriva alla mensa ben più lauta del
Signore.
"Era prostrato con la
faccia a terra, le braccia aperte in forma di croce e non dava segno di vita né
col respiro né con altro movimento. Due candelabri accesi, uno al capo e
l'altro ai piedi, illuminavano la cella con una luce sfolgorante, in modo
meraviglioso.
"Lo lasciano in pace per
non turbare l'estasi e non svegliare la diletta, sino a che non voglia.
Però i frati cercano di osservare attraverso le fessure della cella, stando
dietro il muro e spiando per le inferriate. Per essere brevi, mentre
ivi, gli amici sono intenti ad ascoltare colei che se ne stava nel giardino,
all'improvviso scompare tutto quel bagliore ed il frate ritorna in se stesso.
Subito si alza e, recatosi a tavola, si accusa di essere giunto in ritardo.
"Ecco--concluse
l'ecclesiastico spagnuolo--quanto è accaduto nella nostra terra!".
Francesco non stava in sé dalla
gioia, inebriato com'era dal profumo dei suoi figli. Subito si mise a lodare il
Signore e come se il sentire parlare bene dei frati fosse l'unica sua gloria,
esclamò dal più profondo del cuore: "Ti ringrazio, Signore, che
santifichi e guidi i poveri, perché mi hai riempito di gioia con queste
notizie! Benedici, ti prego, con la più ampia benedizione e santifica con una
grazia particolare tutti quelli che rendono odorosa di buoni esempi la loro
professione religiosa! ".
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CAPITOLO CXXXVI
CONTRO QUELLI CHE
VIVONO MALAMENTE NEGLI EREMI.
TUTTO DEVE ESSERE IN COMUNE
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179. Abbiamo conosciuto da questi fatti la
carità del Santo, virtù che porta a godere dei successi delle persone care.
Però siamo convinti che nello stesso tempo siano stati rimproverati assai
quelli che negli eremitori vivono in modo diverso.
Molti infatti trasformano il
luogo della contemplazione in ozio e il modo di vivere eremitico, istituito per
consentire alle anime la perfezione, lo riducono ad un luogo di piacere..
Questa è oggi la norma dei nostri anacoreti: vivere ciascuno secondo il proprio
capriccio.
Certo questo rimprovero non è
per tutti. Sappiamo che vi sono dei santi ancora viventi nella carne, che
nell'eremo seguono ottime leggi. Sappiamo pure che i padri che li hanno
preceduti sono stati fiori di rara bellezza. Voglia il cielo che gli eremiti
del nostro tempo non tralignino da quello splendore primitivo, che per la sua
santità merita una lode eterna!
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180. Inoltre,
quando Francesco esortava tutti alla carità, li invitava a dimostrare
affabilità e cortese dimestichezza. Voglio – diceva - che i miei frati si
dimostrino figli della stessa madre, e che si prestino a vicenda generosamente
la tonaca, la corda o ciò che uno avrà chiesto all'altro. Mettano in comune
libri e tutto ciò che può essere gradito ed anzi, direi di più; li costringano
ad accettarli ".
Ed anche a questo riguardo era
il primo a darne l'esempio, per non dire cosa alcuna che prima non adempisse
in lui il Cristo.
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CAPITOLO CXXXVII
CEDE LA TONACA A
DUE FRATI DELLA FRANCIA
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181. Capitò a due
frati della Francia, uomini di grande santità, di incontrare Francesco; ne
provarono una gioia incredibile, tanto più che da lungo tempo erano tormentati
da questo desiderio. Dopo tenere effusioni di affetto ed uno scambio soave di
parole, furono spinti dalla loro ardente devozione a chiedere a Francesco la
tonaca. Il Santo se ne spogliò subito, rimanendo seminudo e gliela diede
devotissimamente; poi indossò con pio scambio quella più povera di uno di loro.
Era pronto a dare
non soltanto simili cose, ma a dare tutto se stesso, e quando gli veniva
chiesto, lo donava con la massima gioia |
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LA DETRAZIONE
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CAPITOLO CXXXVIII
PUNIZIONE DEI
DETRATTORI
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182. Infine, come
ogni animo ripieno di carità, così anche Francesco detestava chi era odioso
a Dio. Ma fra tutti gli altri viziosi, aborriva con vero orrore i
detrattori e diceva che portano sotto la lingua il veleno, col quale
intaccano il prossimo. Perciò evitava i maldicenti e le pulci mordaci, quando
li sentiva parlare, e rivolgeva altrove l'orecchio, come abbiamo visto noi
stessi, perché non si macchiasse con le loro chiacchiere.
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Un giorno udi un
frate che denigrava il buon nome di un altro, e rivoltosi al suo vicario frate
Pietro di Cattanio, proferì queste terribili parole: "Incombono gravi
pericoli all'Ordine, se non si rimedia ai detrattori. Ben presto il
soavissimo odore di molti si cambierà in puzzo disgustoso, se non si
chiudono le bocche di questi fetidi. Coraggio. muoviti, esamina diligentemente
e, se troverai innocente un frate che sia stato accusato, punisci l'accusatore
con un severo ed esemplare castigo! Consegnalo nelle mani del pugile di
Firenze, se tu personalmente non sei in grado di punirlo! " (chiamava
pugile fr. Giovanni di Firenze, uomo di alta statura e dotato di grande forza).
"Voglio--diceva ancora--che
con la massima diligenza abbia cura, tu e tutti i ministri, che non si diffonda
maggiormente questo morbo pestifero".
A volte, addirittura, riteneva
giusto che si spogliasse della tonaca chi aveva spogliato suo fratello della
gloria del buon nome, e che non dovesse alzare gli occhi a Dio, se prima non
restituiva ciò che aveva portato via.
Da qui ne era derivato che i
frati di quel tempo, quasi rifiutassero in modo particolare questo vizio,
avevano stabilito fra di loro il patto di evitare attentamente tutto ciò
potesse nuocere o suonasse offesa all'onore degli altri.
Cosa giusta e veramente ottima!
Cos'è infatti il detrattore se non il fiele degli uomini, fermento di
malvagità, disonore del mondo? Cos'è l'uomo doppio di lingua, se non lo
scandalo dell'Ordine, il veleno del chiostro religioso, la disgregazione dell'unità?
Ahimè, la terra abbonda di
animali velenosi ed è impossibile che una persona onesta sfugga i morsi degli
invidiosi! Si promettono premi ai delatori e, distrutta l'innocenza, si dà a
volte la palma alla falsità. Ecco, quando uno non riesce a vivere della sua
onestà, guadagna vitto e vesti devastando l'onestà altrui.
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770
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183. A questo
riguardo ripeteva spesso Francesco: "Il detrattore dice così:--Mi manca la
perfezione della vita, non ho il prestigio della scienza, né doni particolari:
perciò non trovo posto né presso Dio né presso gli uomini. So io cosa fare:
getterò fango sugli eletti e mi acquisterò il favore dei grandi. So che il
mio superiore è un uomo e alle volte fa uso del mio stesso metodo, cioè
sradicare i cedri perché nella selva grandeggi unicamente il pruno.
Miserabile!, nutriti pure di carne umana e rodi le viscere dei fratelli,
giacché non puoi vivere diversamente! ".
Costoro si preoccupano di
apparire buoni, non di diventarlo, accusano i vizi altrui ma non depongono i
propri. Sanno soltanto adulare quelli, dalla cui autorità desiderano di essere
protetti, e diventano muti quando pensano che le lodi non raggiungano
l'interessato. Vendono a prezzo di lodi funeste il pallore della loro faccia
emaciata, per sembrare spirituali, in modo da giudicare tutto e non
essere giudicati da nessuno. Godono della fama di essere santi, senza
averne le opere, del nome di angeli ma non ne hanno la virtù.
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RITRATTO DEL MINISTRO GENERALE
E DEGLI ALTRI MINISTRI
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CAPITOLO CXXXIX
COME DEBBA COMPORTARSI CON I COMPAGNI
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184. Quando
Francesco stava per giungere al traguardo della sua chiamata al Signore,
un frate sempre premuroso delle cose divine, mosso da affetto per l'Ordine gli
domandò: "Padre, tu passerai da questa vita, e la famiglia che ti ha seguito
rimane abbandonata in questa valle di lacrime. Indica uno, se conosci
che esista nell'Ordine, che soddisfi il tuo spirito e al quale si possa
addossare con tranquillità il peso di ministro generale ". Francesco,
accompagnando le singole parole con sospiri rispose: "Non conosco alcuno
capace di essere guida di un esercito così vario e pastore di un gregge tanto
numeroso. Ma voglio dipingervi e, come si dice, modellare la figura, nella
quale si veda chiaramente quale deve essere il padre di questa famiglia".
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185. "Deve
essere -- proseguì --un uomo di vita quanto mai austera, di grande discrezione
e lodevole fama. Un uomo che non conosca simpatie particolari, perché, mentre
predilige una parte, non generi scandalo in tutta la comunità. Si applichi con
zelo alla preghiera e sappia distribuire determinate ore alla sua anima e altre
al gregge che gli è affidato. Così, di primo mattino deve premettere il
sacrificio della Messa e raccomandare con lunga preghiera se stesso ed il suo
gregge alla protezione divina. Dopo l'orazione poi, Si metta a disposizione dei
religiosi, disposto a lasciarsi importunare da tutti, pronto a rispondere e a
provvedere a tutti con affabilità. Deve essere una persona, che non presenti
alcun angolo oscuro di turpe favoritismo e che abbia per i piccoli ed i
semplici la stessa premura che ha per i maggiori e i dotti Anche ammettendo che
emerga per cultura, tuttavia ancor più nella sua condotta sia il ritratto della
virtuosa semplicità e coltivi la virtù. Deve avere in orrore il denaro, principale
rovina della nostra vita religiosa e della perfezione e, come capo di un Ordine
povero, presentandosi modello agli altri, non abusi mai di alcuna somma di
denaro".
E continuò: "Gli deve
bastare personalmente l'abito ed un registro, per i frati invece un portapenne
ed il sigillo, Non sia collezionista di libri, né molto dedito alla lettura,
per non sottrarre all'ufficio il tempo che dedica allo studio. Consoli gli
afflitti, essendo l'ultimo rifugio per i tribolati, perché non avvenga
che, non trovando presso di lui rimedi salutari, gli infermi si sentano
sopraffatti dal morbo della disperazione. Umíli se stesso, per piegare i
protervi alla mitezza, e lasci cadere parte del suo diritto, per conquistare
un'anima a Cristo. Quanto ai disertori dell'Ordine, come a pecorelle
smarrite, non chiuda loro le viscere della sua misericordia, ben
sapendo che sono violentissime le tentazioni, che possono spingere a tanto.
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186. "Vorrei
che tutti l'onorassero come rappresentante di Cristo, e si provvedesse a tutte
le sue necessità con ogni benevolenza. Da parte sua non dovrebbe lasciarsi
solleticare dagli onori, né provare più gusto dei favori che delle ingiurie. Se
a volte, perché debole o stanco, avesse bisogno di un cibo più abbondante,
sarebbe opportuno lo prendesse non di nascosto, ma in luogo pubblico per
togliere ad altri il rossore di dovere provvedere alla propria debolezza
fisica.
"È suo compito soprattutto
indagare nel segreto delle coscienze per estrarre la verità dalle vene più
occulte, ma non presti orecchio a chi fa pettegolezzi. Infine, deve essere tale
da non macchiare in nessun modo l'aspetto virile della giustizia per la smania
di mantenere la carica, e che senta più un peso che un onore sì alto ufficio.
Guardi tuttavia che l'eccessiva bontà non generi rilassamento, né la
condiscendenza colpevole il dissolvimento della disciplina, in modo da essere
amato da tutti, ma anche non meno temuto da quanti operano il male.
"Vorrei anche che avesse
come collaboratori persone fornite di onestà e che si presentino, come
lui, esempio di ogni virtù: rigidi contro le attrattive mondane, forti
contro le difficoltà, e tanto convenientemente affabili, da accogliere con
santa affabilità quanti ricorrono a loro.
"Ecco--concluse--come
dovrebbe essere il ministro generale dell'Ordine".
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CAPITOLO CXL
I MINISTRI
PROVINCIALI
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187. Il beato
padre pretendeva tutti questi requisiti anche nei ministri provinciali,
quantunque nel ministro generale le singole qualità debbano eccellere in modo
particolare. Li voleva affabili verso gli inferiori, e tanto benigni e sereni
che i colpevoli non avessero timore di affidarsi al loro affetto. Come pure,
che fossero moderati nei comandi, benevoli nelle mancanze, più facili a
sopportare che a ritorcere le offese, nemici dichiarati dei vizi e medici per i
peccatori. In una parola, esigeva in essi una condotta tale che la loro vita
fosse specchio di disciplina per tutti gli altri. Però voleva anche che fossero
circondati di ogni onore ed affetto, come coloro da portano il peso delle preoccupazioni
e delle fatiche.
E diceva che sono degni di
grandissimi premi davanti a Dio quelli che con tale animo e tale norma
governano le anime loro affidate.
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CAPITOLO CXLI
RISPOSTA DEL SANTO
A UNA DOMANDA
RIGUARDO Al MINISTRI
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188. Fu interrogato
una volta da un frate perché avesse rinunciato alla cura di tutti i frati e li
avesse affidati a mani altrui, come se non gli appartenessero in nessun modo.
"Figlio,-- rispose--io amo i frati come posso. Ma se seguissero le mie
orme, li amerei certamente di più e non mi renderei estraneo a loro. Vi sono
alcuni tra i prelati, che li trascinano per altre strade, proponendo loro gli
esempi degli antichi e facendo poco conto dei miei ammonimenti. Ma si vedrà
alla fine cosa fanno ".
E poco dopo, mentre era molto
ammalato, nella veemenza dello spirito, si drizzò sul lettuccio:
"Chi sono--esclamò--questi che mi hanno strappato dalle mani l'Ordine mio
e dei frati? Se andrò al Capitolo generale, mostrerò loro qual'è la mia volontà
".
Insisté il frate: "Non
cambierai forse anche quei ministri provinciali, che così a lungo hanno abusato
della libertà?". Il Padre gemendo diede questa terribile risposta:
"Vivano pure come a loro piace, perché la perdizione di pochi è di minor
danno che quella di molti!".
Non si riferiva a tutti, ma ad
alcuni che per l'eccessiva lunghezza di superiorato sembravano pretenderlo come
eredità.
A qualunque categoria poi di
superiori regolari, raccomandava questo soprattutto: di non mutare le usanze se
non in meglio, di non mendicare né cattivarsi favori; di non esercitare un
potere, ma compiere un dovere.
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LA SANTA SEMPLICITÀ
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CAPITOLO CXLII
IN CHE CONSISTA LA
VERA SEMPLICITÀ
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189. Il Santo
praticava personalmente con cura particolare e amava negli altri la santa
semplicità, figlia della grazia, vera sorella della sapienza, madre della
giustizia. Non che approvasse ogni tipo di semplicità, ma quella soltanto che,
contenta del suo Dio, disprezza tutto il resto.
E' quella che pone la sua
gloria nel timore del Signore, e che non sa dire né fare il male. La
semplicità che esamina se stessa e non condanna nel suo giudizio nessuno, che
non desidera per sé alcuna carica, ma la ritiene dovuta e la attribuisce al
migliore. Quella che non stimando un gran che le glorie della Grecia,
preferisce l'agire all'imparare o all'insegnare. È la semplicità che in tutte
le leggi divine lascia le tortuosità delle parole, gli ornamenti e gli orpelli,
come pure le ostentazioni e le curiosità a chi vuole perdersi, e cerca non la
scorza ma il midollo, non il guscio ma il nòcciolo, non molte cose ma il molto,
il sommo e stabile Bene.
È questa la semplicità che il
Padre esigeva nei frati letterati e in quelli senza cultura, perché non la
riteneva contraria alla sapienza, ma giustamente sua sorella germana, quantunque
ritenesse che più facilmente possono acquistarla e praticarla coloro che sono
poveri di scienza. Per questo, nelle Lodi che compose riguardo alle
virtù, dice: "Ave, o regina sapienza. Il Signore ti salvi con la tua
sorella, la pura santa semplicità".
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CAPITOLO CXLIII
FRATE GIOVANNI IL
SEMPLICE
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776
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190. Mentre
Francesco passava accanto ad un borgo nelle vicinanze di Assisi, gli andò
incontro un certo Giovanni, uomo semplicissimo che stava arando nel campo, e
gli disse "Voglio che tu mi faccia frate, perché da molto tempo desidero
servire Dio". Il Santo ne provò gioia, considerando la sua semplicità, e
rispose secondo il suo desiderio: "Se vuoi, fratello, diventare nostro
compagno, dà ai poveri ciò che possiedi e ti accoglierò dopo che ti
sarai espropriato di tutto".
Immediatamente scioglie i buoi e
ne offre uno a Francesco. "Questo bue--dice --diamolo ai poveri! Perché
questa è la parte che ho diritto di ricevere dai beni di mio padre". Il
Santo sorrise e approvò la sua grande semplicità.
Appena i genitori e i fratelli
più piccoli seppero la cosa, accorsero in lacrime, addolorati più di rimanere
privi del bue che del congiunto. "Coraggio,--rispose loro il
Santo--ecco, vi restituisco il bue e mi prendo il frate". Lo condusse con
sé, e dopo averlo vestito dell'abito religioso, lo prese come compagno
particolare in grazia della sua semplicità.
Quando Francesco stava in
qualche luogo a meditare, il semplice Giovanni ripeteva in sé e imitava subito
tutti i gesti o i movimenti che egli faceva. Se sputava, sputava; se tossiva,
tossiva; univa i sospiri ai sospiri ed il pianto al pianto. Se il Santo levava
le mani al cielo, le alzava egli pure, fissandolo con diligenza come un
modello e facendo sua ogni mossa.
Il Santo se ne accorse e gli
chiese una volta, perché facesse così. "Ho promesso--rispose--di fare
tutto ciò che fai tu. Sarebbe pericoloso per me trascurare qualche cosa".
Francesco si rallegrò di quella schietta semplicità, ma gli proibì con dolcezza
di fare più così in futuro.
Dopo non molto tempo in questa
purità passò con semplicità al Signore. E quando Francesco proponeva alla
imitazione la sua vita--ciò che avveniva di frequente-, lo chiamava con grande
piacevolezza non frate Giovanni, ma san Giovanni.
Osserva ora che è segno
distintivo della pia semplicità vivere secondo le leggi dei maggiori, seguire
sempre gli esempi e gli insegnamenti dei Santi. Chi concederà ai saggi di
questo mondo di imitare con tanto trasporto Francesco, ora che egli è
glorificato in cielo, quanto ne ebbe questo frate semplice nell'imitarlo mentre
era sulla terra ? E in realtà, dopo aver seguito il Santo da vivo, lo ha
preceduto nella eterna vita.
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CAPITOLO CXLIV
SUA PREMURA PER L'
UNIONE TRA I FIGLI.
UNA PARABOLA A
QUESTO RIGUARDO
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777
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191. Fu suo desiderio costante e vigile premura
mantenere tra i figli il vincolo dell'unità, in modo che vivessero
concordi nel grembo di una sola madre quelli che erano stati attratti dallo
stesso spirito e generati dallo stesso padre. Voleva che si fondessero
maggiori e minori, che i dotti si legassero con affetto fraterno ai semplici,
che i religiosi pur lontani tra loro si sentissero uniti dal cemento
dell'amore.
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778
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Una volta raccontò
loro questa parabola ricca di significato. " Ecco, supponiamo che si
faccia un Capitolo generale di tutti i religiosi che sono nella Chiesa ! Poiché
vi sono dotti e ignoranti, sapienti ed altri che sanno piacere a Dio,
pur essendo senza cultura, viene incaricato a parlare uno dei sapienti e uno
dei semplici".
Il sapiente riflette--non per
niente è dotto!--e pensa tra sé: " Non è questo il luogo di fare
sfoggio di dottrina, perché vi sono qui luminari di scienza, e neppure farmi
notare per ricercatezza nell'esporre cose sottili fra persone di ingegno
sottilissimo. Forse sarà più fruttuoso parlare con semplicità".
Arriva il giorno fissato e si radunano
insieme tutte le comunità dei santi assetate di udire il discorso. Avanza
il sapiente vestito di sacco, la testa cosparsa di cenere e, con
meraviglia di tutti, predicando più con l'atteggiamento, dice brevemente:
" Abbiamo promesso grandi cose, maggiori sono promesse a noi; osserviamo
quelle ed aspiriamo a queste. Il piacere è breve, la pena eterna, piccola la
sofferenza, infinita la gloria. Molti i chiamati, pochi gli eletti, ma tutti
avranno la retribuzione!".
Scoppiano in lacrime gli ascoltatori col cuore compunto e venerano
come santo quel vero sapiente.
"Ecco--esclama in cuor suo
il semplice--questo sapiente mi ha portato via tutto ciò che avevo stabilito di
fare e di dire. Ma so io cosa fare. Conosco alcuni versetti dei salmi.
Farò io la parte del sapiente, giacché lui ha fatto quella del semplice ".
Giunge la sessione del giorno dopo, il frate semplice si alza a parlare e
propone come tema un salmo. E, infervorato dallo Spirito di Dio, parla con tanto
calore, acume e dolcezza, seguendo il dono dell'ispirazione celeste, che tutti
sono pieni di stupore ed esclamano giustamente: "Con i semplici parla
il Signore ".
192. Dopo aver esposto la
parabola, l'uomo di Dio la commentava così: "La grande assemblea è il
nostro Ordine, quasi un sinodo generale che si raccoglie da ogni parte del
mondo sotto una sola norma di vita. In questo i sapienti traggono a loro
vantaggio le qualità proprie dei semplici, perché vedono persone senza cultura
cercare con ardore le cose celesti e, pur senza istruzione umana, raggiungere per
mezzo dello Spirito la conoscenza delle realtà spirituali.
"In questo Ordine anche i
semplici traggono profitto da ciò che è proprio dei sapienti, quando vedono
umiliarsi con loro allo stesso modo uomini illustri, che potrebbero vivere
carichi di onori in questo mondo. Da qui -- concluse -- risalta la bellezza di
questa beata famiglia, che per le sue molteplici qualità forma la gioia del
padre di famiglia".
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CAPITOLO CXLV
COME IL SANTO
VOLEVA LA TONSURA
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779
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193. Quando
Francesco si faceva la tonsura, spesso ripeteva a chi gli tagliava i capelli:
"Bada di non farmi una corona troppo larga! Perché voglio che i miei frati
semplici abbiano parte nel mio capo".
Voleva appunto che l'Ordine
fosse aperto allo stesso modo ai poveri e illetterati, e non soltanto ai ricchi
e sapienti. "Presso Dio--diceva--non vi è preferenza di persone, e
lo Spirito Santo, ministro generale dell'Ordine, si posa egualmente sul povero
ed il semplice".
Avrebbe voluto inserire proprio
questa frase nella Regola, ma non fu possibile perché era già stata confermata
con bolla.
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CAPITOLO CXLVI
QUALE GENERE Dl
ESPROPRIAZIONE RICHIEDEVA
DALLE PERSONE
DOTTE CHE VOLEVANO
ENTRARE NELL' ORDINE
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780
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194. Una volta
disse che un uomo di grande cultura, se vuole entrare nell'Ordine, deve
rinunciare in qualche modo anche alla scienza, per offrirsi nudo alle braccia
del Crocifisso, dopo essersi espropriato di questa forma di possesso.
"La scienza-- spiegò--rende
numerose persone restie alla perfezione, perché dona loro una certa rigidità,
che non si piega agli insegnamenti umili. Per questo vorrei che un uomo
letterato mi facesse prima questa preghiera:" Ecco, fratello, ho
vissuto a lungo nel mondo e non ho conosciuto veramente il mio Dio.
Ti prego, concedimi un luogo lontano dallo strepito degli uomini, dove possa ripensare
nel dolore ai miei anni e dove, raccogliendo le dissipazioni del mio
cuore, possa riformare in meglio lo spirito". Secondo voi--continuò--quale
diverrebbe uno che incominciasse così? Certamente ne uscirebbe come un leone
libero dalle catene, pronto a tutto, e la linfa- spirituale assorbita in
principio aumenterebbe in lui con un progresso continuo. Alla fine, gli si
potrebbe affidare con sicurezza il ministero della parola, certi che
riverserebbe sugli altri il fervore che lo brucia".
Insegnamento veramente santo! Cosa ci può
essere di più necessario per chi proviene da un ambiente così diverso, che
rimuovere e togliere del tutto con la pratica dell'umiltà gli affetti mondani
da lungo tempo consolidati e impressi nell'animo? Ben presto diverrebbe
perfetto chi entrasse nella scuola della perfezione.
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CAPITOLO CXLVII
COME I DOTTI
DEVONO DEDICARSI ALLO STUDIO.
IL SANTO APPARE AD
UN COMPAGNO
CHE Sl DEDICAVA
ALLA PREDICAZIONE
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781
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195. Provava vivo
dolore se uno si dedicava alla scienza trascurando la virtù, soprattutto se non
rimaneva stabile nella vocazione in cui era quando da principio fu
chiamato "I miei frati--diceva--che si lasciano attrarre dalla
curiosità della scienza, si troveranno le mani vuote nel giorno della
retribuzione. Preferirei che si irrobustissero maggiormente con le virtù in
modo da avere con loro il Signore nell'angustia, una volta giunta l'ora
della tribolazione. Perché --continuò--sta per giungere una tribolazione
tale che i libri, buoni a nulla, saranno abbandonati negli armadi e nei
ripostigli ".
Non diceva questo perché gli
dispiacessero gli studi della Scrittura, ma per distogliere tutti da una
premura eccessiva di imparare, e perché preferiva che fossero tutti buoni per
carità piuttosto che saputelli per curiosità.
Presentiva anche che sarebbe
venuto presto il tempo, in cui la scienza sarebbe stata occasione di rovina, e
al contrario sostegno dello spirito l'aver atteso alla vita spirituale.
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782
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Un frate laico desiderava aver un salterio e ne
chiese licenza a Francesco. Ma egli invece del salterio gli presentò della
cenere.
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783
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Ad uno dei suoi compagni che si dedicava un tempo
alla predicazione, apparve in visione dopo morte e glielo proibì, ordinandogli
di seguire la via della semplicità. E Dio è testimone che, dopo questa visione,
il frate provò tanta dolcezza, che per numerosi giorni ebbe l'impressione che
gli risuonassero direttamente all'orecchio le parole stillanti rugiada del
Padre.
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LE DEVOZIONI PARTICOLARI DEL SANTO
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CAPITOLO CXLVIII
SUA COMMOZIONE NEL
SENTIRE NOMINARE L' AMORE Dl DlO
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784
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196. Penso che non
sia inutile né indegno toccare di passaggio e in breve le devozioni particolari
di san Francesco. Questo uomo praticava tutte le devozioni, perché godeva dell'unzione
dello Spirito, tuttavia provava uno speciale affetto verso alcune forme
particolari di pietà.
Fra le altre parole, che
ricorrevano spesso nel parlare, non poteva udire l'espressione " amore di
Dio " senza provare una certa commozione. Subito infatti, al suono di
questa espressione "amore di Dio" si eccitava, si commoveva e si
infiammava, come se venisse toccata col plettro della voce la corda interiore
del cuore.
È una prodigalità da nobili,
ripeteva, offrire questa ricchezza in cambio dell'elemosina e sono quanto mai
stolti quelli che l'apprezzano meno del denaro. Da parte sua, osservò
infallibilmente sino alla morte il proposito, che aveva fatto quando era ancora
nel mondo, di non respingere alcun povero che gli chiedesse per amore di Dio.
Una volta un povero gli chiese
la carità per amore di Dio. Siccome non aveva nulla, il Santo prese di nascosto
le forbici e si preparò a spartire la sua misera tonaca. E l'avrebbe certamente
fatto se non fosse stato scoperto dai frati, ai quali però ordinò di provvedere
con altro compenso al povero.
Diceva: " Dobbiamo amare
molto l'amore di Colui che ci ha amati molto ".
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CAPITOLO CXLIX
LA SUA DEVOZIONE
AGLI ANGELI.
COSA FACEVA PER
AMORE Dl SAN MICHELE
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785
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197. Venerava col
più grande affetto gli angeli, che sono con noi sul campo di battaglia e con
noi camminano in mezzo all'ombra della morte. Dobbiamo venerare, diceva
questi compagni che ci seguono ovunque e allo stesso modo invocarli come
custodi. Insegnava che non si deve offendere il loro sguardo, né osare alla
loro presenza ciò che non si farebbe davanti agli uomini. E proprio
perché in coro si salmeggia davanti agli angeli, voleva che tutti quelli
che potevano si radunassero nell'oratorio e lì salmeggiassero con devozione.
Ripeteva spesso che si deve
onorare in modo più solenne il beato Michele, perché ha il compito di
presentare le anime a Dio. Perciò ad onore di san Michele, tra la festa
dell'Assunzione e la sua, digiunava con la massima devozione per quaranta
giorni. E diceva: "Ciascuno ad onore di così glorioso principe dovrebbe
offrire a Dio un omaggio di lode o qualche altro dono particolare".
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CAPITOLO CL
SUA DEVOZIONE ALLA
NOSTRA SIGNORA
ALLA QUALE AFFIDÒ
IN MODO PARTICOLARE L'ORDINE
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786
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198. Circondava di
un amore indicibile la Madre di Gesù, perché aveva reso nostro fratello il
Signore della maestà. A suo onore cantava lodi particolari, innalzava
preghiere, offriva affetti tanti e tali che lingua umana non potrebbe
esprimere, Ma ciò che maggiormente riempie di gioia, la costituì Avvocata
dell'Ordine e pose sotto le sue ali i figli, che egli stava per lasciare,
perché vi trovassero calore e protezione sino alla fine.
Orsù, Avvocata dei poveri!
Adempi verso di noi il tuo ufficio di Protettrice fino al tempo prestabilito
dal Padre.
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CAPITOLO CLI
LA
SUA DEVOZIONE AL NATALE DEL SIGNORE
E COME VOLEVA CHE
IN TALE GIORNO
Sl PORTASSE
SOCCORSO A TUTTI
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199. Al di sopra
di tutte le altre solennità celebrava con. ineffabile premura il Natale del
Bambino Gesù, e chiamava festa delle feste il giorno in cui Dio, fatto piccolo
infante, aveva succhiato ad un seno umano. Baciava con animo avido le immagini
di quelle membra infantili, e la compassione del Bambino, riversandosi nel
cuore, gli faceva anche balbettare parole di dolcezza alla maniera dei bambini.
Questo nome era per lui dolce come un favo di miele in bocca.
Un giorno i frati
discutevano assieme se rimaneva l'obbligo di non mangiare carne, dato che il
Natale quell'anno cadeva in venerdì. Francesco rispose a frate Morico: "Tu
pecchi, fratello, a chiamare venerdì il giorno in cui è nato per noi il
Bambino. Voglio che in un giorno come questo anche i muri mangino carne, e
se questo non è possibile, almeno ne siano spalmati all'esterno. |
788
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200. Voleva che in
questo giorno i poveri ed i mendicanti fossero saziati dai ricchi, e che
i buoi e gli asini ricevessero una razione di cibo e di fieno più abbondante
del solito. "Se potrò parlare all'imperatore -- diceva -- lo supplicherò
di emanare un editto generale, per cui tutti quelli che ne hanno possibilità,
debbano spargere per le vie frumento e granaglie, affinché in un giorno di
tanta solennità gli uccellini e particolarmente le sorelle allodole ne abbiano
in abbondanza".
Non poteva ripensare senza
piangere in quanta penuria si era trovata in quel giorno la Vergine poverella.
Una volta, mentre era seduto a pranzo, un frate gli ricordò la povertà della
beata Vergine e l'indigenza di Cristo suo Figlio. Subito si alzò da mensa,
scoppiò in singhiozzi di dolore, e col volto bagnato di lacrime mangiò il resto
del pane sulla nuda terra.
Per questo chiamava la povertà
virtù regale, perché rifulse con tanto splendore nel Re e nella Regina.
Infatti ai frati, che adunati a
Capitolo gli avevano chiesto quale virtù rendesse una persona più amica a
Cristo: " Sappiate--rispose, quasi aprendo il segreto del suo cuore--che
la povertà è una via particolare di salvezza. Il suo frutto è molteplice, ma
solo da pochi è ben conosciuto ".
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CAPITOLO CLII
LA SUA DEVOZIONE
AL CORPO DEL SIGNORE
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789
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201. Ardeva di
amore in tutte le fibre del suo essere verso il sacramento del Corpo del
Signore, preso da stupore oltre ogni misura per tanta benevola degnazione e
generosissima carità. Riteneva grave segno di disprezzo non ascoltare ogni
giorno la Messa, anche se unica, se il tempo lo permetteva. Si comunicava
spesso e con tanta devozione da rendere devoti anche gli altri. Infatti,
essendo colmo di reverenza per questo venerando sacramento, offriva il
sacrificio dl tutte le sue membra, e, quando riceveva l'agnello immolato,
immolava lo spirito in quel fuoco, che ardeva sempre sull'altare del suo
cuore.
Per questo amava la Francia,
perché era devota del Corpo del Signore, e desiderava morire in essa per la
venerazione che aveva dei sacri misteri.
Un giorno volle mandare i frati
per il mondo con pissidi preziose, perché riponessero in luogo il più degno
possibile il prezzo della redenzione, ovunque lo vedessero conservato con poco
decoro. ).
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790
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Voleva che si
dimostrasse grande rispetto alle mani del sacerdote, perché ad esse è stato
conferito il divino potere di consacrare questo sacramento. "Se mi
capitasse - diceva spesso - di incontrare insieme un santo che viene dal
cielo ed un sacerdote poverello, saluterei prima il prete e correrei a
baciargli le mani. Direi infatti: Ohi! Aspetta, san Lorenzo, perché le mani di
costui toccano il Verbo di vita e possiedono un potere sovrumano!"
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CAPITOLO CLIII
LA SUA DEVOZIONE
ALLE RELIQUIE DEI SANTI
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202. Zelantissimo
com'era del culto divino, questo uomo non trascurava di onorare debitamente
nulla di ciò che si riferisce a Dio.
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791
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Mentre si trovava
a Monte Casale, in territorio di Massa, comandò ai frati di trasportare con la
massima riverenza le sante reliquie da una chiesa completamente abbandonata
alla loro casa. Sentiva pena che già da troppo tempo fossero rimaste senza
venerazione. Ma, essendo egli partito di lì per urgente motivo, i figli
dimenticarono l'ordine del Padre e non tennero in gran conto il merito
dell'obbedienza.
Un giorno, mentre i frati si
preparavano a celebrare la Messa, tolsero, come d'uso, la coperta dell'altare:
trovarono ossa bellissime, che spandevano un soave profumo, e rimasero assai
stupiti a quello spettacolo mai visto.
Ritornato poco dopo il Santo, si
informò diligentemente se avevano eseguito il suo comando. Ma i frati
confessarono umilmente la loro colpa, di aver trascurata l'obbedienza, e con la
penitenza ottennero anche il perdono. Il Santo esclamò: "Sia benedetto
il Signore mio Dio, che ha compiuto lui stesso ciò che avreste dovuto fare
voi!".
Considera ora attentamente
quanto sia stato devoto Francesco, osserva quale sia la premura di Dio per
la nostra polvere e intona un canto di lode alla santa obbedienza. Perché se
alla voce del Santo non si è piegato l'uomo, alle sue preghiere ha obbedito
Dio.
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CAPITOLO CLIV
LA SUA DEVOZIONE
ALLA CROCE E UN SEGRETO MISTERIOSO
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792
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203. Infine, chi
potrebbe spiegare o chi potrebbe capire come la sua unica gloria sia stata
nella croce del Signore? Solo lo può sapere chi, unico, ha avuto la grazia
di provarlo.
Certo, anche se ne avessimo
qualche leggera esperienza, le nostre parole, insudiciate come sono dall'uso di
cose comuni e senza valore, non sarebbero in grado di esprimere così grandi
meraviglie. E forse, proprio per questo si è dovuto manifestare nella carne,
perché sarebbe stato impossibile esprimerlo a parole.
Parli dunque il silenzio, dove
vien meno la parola, perché dove non soccorre l'espressione, anche la cosa
segnata grida da sé. Solo questo ascolti l'orecchio umano, che non è ancora in
tutto chiaro per qual motivo sia apparso nel Santo questo mistero;
infatti quel tanto che è stato da lui rivelato non si può comprendere che in
funzione del futuro. Sarà veritiero e degno di fede, colui al quale saranno
testimoni natura, legge e grazia.
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LE POVERE DAME
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CAPITOLO CLV
COME VOLEVA CHE I
FRATI SI COMPORTASSERO CON LORO
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793
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204. Non è giusto
tralasciare il ricordo dell'edificio spirituale, molto più nobile di quello
materiale, che il Padre dopo la riparazione della chiesa, innalzò in quel luogo
sotto la guida dello Spirito Santo, per accrescere la città celeste.
E non si può credere che Cristo
gli abbia parlato dal legno della Croce in un modo così stupendo da incutere
timore e dolore in chi ne sente parlare, solo per riparare un'opera cadente,
destinata a perire. Ma, come un tempo aveva predetto lo Spirito Santo,
lì doveva sorgere un Ordine di sante vergini, destinato ad essere trasferito a
suo tempo, come massa scelta di pietre vive, per restaurare la casa celeste.
Veramente, dopo che le
vergini di Cristo cominciarono a raccogliersi in quel luogo provenendo da
varie parti del mondo e vi fecero professione di somma perfezione osservando una
povertà altissima, nello splendore di ogni virtù, il Padre sottrasse loro a
poco a poco la sua presenza fisica. Tuttavia intensificò la sua premura
amandole ancor più nello Spirito Santo.
Infatti, quando il Padre, dalle
numerose prove di altissima perfezione che avevano date, le conobbe pronte a
sostenere per Cristo ogni danno terreno ed ogni sacrificio e decise a non
deviare mai dalle sante norme ricevute, promise fermamente a loro ed alle
altre, che avrebbero professata la povertà nella stessa forma di vita, che
avrebbe dato il suo aiuto e consiglio e quello dei suoi frati in perpetuo.
Finché visse, mantenne sempre scrupolosamente queste promesse e, prossimo a
morire, comandò con premura che si continuasse sempre: perché, diceva, un
solo e medesimo spirito ha fatto uscire i frati e quelle donne poverelle da
questo mondo malvagio.
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794
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205. E poiché i frati un giorno mostravano
meraviglia, perché non visitasse più spesso personalmente quelle ancelle di
Cristo, così sante, rispose: "Non crediate, carissimi, che io non le ami
pienamente. Se infatti fosse una colpa prendersi cura di loro in Cristo, non
sarebbe ancora più grave l'averle sposate a Cristo? Non averle chiamate, certo,
non sarebbe stata colpa, ma non averne cura dopo averle chiamate, sarebbe
enorme crudeltà. Ma vi do l'esempio perché anche voi facciate come io ho
fatto. Non voglio che alcuno si offra spontaneamente a fare loro visita, ma
ordino che siano incaricati del loro servizio quelli che lo fanno contro voglia
e sono maggiormente riluttanti, e soltanto persone di spirito, provati da una
degna e lunga vita religiosa".
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CAPITOLO CLVI
RIPRENDE ALCUNI
CHE ANDAVANO
VOLENTIERI Al MONASTERI
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795
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206. Un frate
aveva in monastero due figlie di perfetta condotta religiosa. Un giorno si
offrì volentieri per portare là un piccolo e povero dono da parte del Santo, ma
questi lo riprese con estrema durezza, con parole che qui non posso riferire. E
così, il dono fu inviato per mezzo di un altro, che non voleva saperne, ma poi
accondiscese.
Un altro frate d'inverno, mosso
da compassione, si recò ad un altro monastero, non tenendo conto della proibizione
del Santo, così tassativa. Quando Francesco lo venne a sapere, lo fece
camminare senza tonaca per parecchie miglia, nel freddo intensissimo della
neve.
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CAPITOLO CLVII
LA PREDICA FATTA
PIÙ CON L' ESEMPIO
CHE CON LA PAROLA
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796
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207. Mentre si
trovava presso San Damiano, il Padre fu supplicato più volte dal suo vicario di
esporre alle sue figlie la parola di Dio e, alla fine, vinto da tanta
insistenza, accettò.
Quando furono riunite come di
consueto per ascoltare la parola del Signore, ma anche per vedere il
Padre, Francesco alzò gli occhi al cielo, dove sempre aveva il cuore e
cominciò a pregare Cristo. Poi ordinò che gli fosse portata della cenere, ne
fece un cerchio sul pavimento tutto attorno alla sua persona, ed il resto se lo
pose sul capo.
Le religiose aspettavano e, al
vedere il Padre immobile e in silenzio dentro al cerchio di cenere, sentivano
l'animo invaso dallo stupore. Quando, ad un tratto, il Santo si alzò e nella
sorpresa generale in luogo del discorso recitò il salmo Miserere. E
appena finito, se ne andò rapidamente fuori.
Per questo comportamento carico
di significato, le serve del Signore provarono tanta contrizione, che
scoppiarono in un profluvio di lacrime e a stento si trattennero dal punirsi
con le loro stesse mani.
Col fatto aveva insegnato loro a
stimarsi cenere, e inoltre che il suo cuore non provava altro sentimento a loro
riguardo che non fosse conforme a questo pensiero.
Questa era la sua condotta con
le religiose, queste le sue visite utilissime, rare però e giustificate da necessità.
Questa la sua volontà per tutti i frati: essi dovevano servirle per amore di Cristo,
di cui sono serve, ma in modo da guardarsi sempre, come uccelli, dai
lacci tesi davanti a loro.
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ELOGIO DELLA REGOLA DEI FRATI
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CAPITOLO CLVIII
PAROLE Dl ELOGIO
PER LA REGOLA
E COME UN FRATE LA
PORTAVA CON SÉ
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797
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208. Francesco era
zelantissimo per la vita comune e la Regola, e lasciò una particolare
benedizione a quanti ne zelavano l'osservanza.
Questa, ripeteva, è il libro
della vita, speranza di salvezza, midollo del Vangelo, via della
perfezione, chiave del Paradiso, patto di eterna alleanza. Voleva che
tutti ne avessero il testo e la conoscessero molto bene, e ne facessero sempre
oggetto di meditazione con l'uomo interiore, come sprone contro
l'indolenza ed a memoria delle promesse giurate. Insegnò ad averla sempre
davanti agli occhi, come richiamo alla propria condotta, e, ciò che più
importa, a morire con essa.
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798
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Si ricordò di
questo insegnamento un frate laico, che a nostro avviso è da venerare nel numero
dei martiri, e conseguì la palma di una gloriosa vittoria. Mentre era
trascinato al martirio dai Saraceni, si inginocchiò e tenendo con la estremità
delle mani la Regola, disse al compagno: "Fratello carissimo, mi accuso
davanti alla Maestà Divina e davanti a te di tutte le colpe che ho commesso
contro questa santa Regola".
Alla breve confessione tenne
dietro la spada e così terminò la vita col martirio. Più tardi si rese celebre con
miracoli e prodigi.
Era entrato nell'Ordine così
giovinetto, che a stento poteva sopportare il digiuno prescritto dalla Regola.
Eppure così fanciullo portava sulla nuda carne il cilizio ! Giovane felice, che
ha cominciato santamente, per concludere ancora più felicemente la sua vita!
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CAPITOLO CLIX
UNA VISIONE CHE
GLORIFICA LA REGOLA
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799
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209. Una volta il
padre santissimo ebbe dal cielo una visione, che si riferisce alla Regola.
Al tempo in cui i frati tenevano
adunanze per discutere la conferma della Regola, il Santo, che era molto
preoccupato della cosa, fece questo sogno. Gli sembrava di aver raccolto da
terra sottilissime briciole di pane e di doverle distribuire a molti frati
affamati, che gli stavano attorno. E siccome esitava temendo che briciole così
fini, come piccoli granelli di polvere, gli sfuggissero dalle mani, si udi una
voce che gli gridava dall'alto: "Francesco, con tutte le briciole forma
una sola ostia e dàlla da mangiare a chi vuole". Egli obbedì e quelli che
non la ricevevano con devozione, o disprezzavano il dono ricevuto, subito
apparivano chiaramente colpiti dalla lebbra.
Al mattino il Santo raccontò
tutto ai compagni, dolente di non capire il significato misterioso della
visione. Ma poco dopo, mentre vegliava in preghiera, gli giunse dal
cielo questa voce: "Francesco, le briciole della notte scorsa sono le
parole del Vangelo, l'ostia è la Regola, la lebbra l'iniquità ".
Per quanto riguarda la fedeltà
che avevano giurata, i frati di quel tempo non la ritenevano dura o gravosa, ma
erano prontissimi a fare in tutto più del dovere. Del resto, è chiaro che non
vi può essere tiepidezza o pigrizia dove lo stimolo dell'amore sprona sempre
più in alto.
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LE MALATTIE Dl SAN FRANCESCO
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CAPITOLO CLX
COLLOQUIO CON UN
FRATE
RIGUARDO AL DOVERE
DI CURARE IL CORPO
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800
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210. Francesco,
araldo di Dio, si incamminò sulle vie di Cristo attraverso numerose pene e
gravi malattie, e non ritrasse il piede sino a quando coronò il buon inizio con
una fine ancora più santa.
Infatti, sebbene privo di forze
e con il corpo tutto rovinato, mai ebbe una pausa nella corsa verso la
perfezione, mai permise che si addolcisse il rigore della disciplina. Tanto è
vero, che anche quando il corpo era sfinito, non si sentiva di usargli qualche
riguardo senza rimorso di coscienza.
Un giorno dovendo lenire, sia
pure contro volontà, le sofferenze del corpo con vari medicinali, perché i
dolori erano superiori alle sue forze, si rivolse con fiducia ad un frate,
perché sapeva che gli avrebbe dato un consiglio saggio.
"Cosa ne pensi, figlio
carissimo, del fatto che la mia coscienza mi rimprovera spesso della cura che
ho per il corpo? Forse teme che io gli sia troppo indulgente perché è ammalato,
e cerchi di soccorrerlo con medicamenti rari. Non già che il corpo provi
diletto in qualche cosa, perché rovinato com'è da lunga malattia ha perduto ogni
gusto".
211. Il figlio rispose al Padre
con grande accortezza, conoscendo che il Signore gli suggeriva le parole:
" Dimmi, Padre, se credi: non è stato pronto il tuo corpo ad obbedire ai
tuoi ordini?".
"Gli rendo
testimonianza, figlio, che fu obbediente in tutto, in nulla si è
risparmiato, ma si precipitava quasi di corsa ad ogni comando. Non ha sfuggito
nessuna fatica, non ha rifiutato nessun sacrificio, purché gli fosse possibile
obbedire. In questo, io e lui, siamo stati perfettamente d'accordo, di servire
senza riserva alcuna Cristo Signore ".
E il frate: " Dov'è dunque,
Padre, la tua generosità, dov'è la pietà e la tua somma discrezione? È questa
la riconoscenza che si dimostra agli amici fedeli, ricevere da loro un
beneficio e non ricambiarlo nel tempo della necessità? Quale servizio a
Cristo tuo Signore hai potuto fare sino ad ora senza l'aiuto del
corpo? Come tu stesso dici, non ha affrontato per questo ogni pericolo?".
"Sì, lo ammetto, figlio --
rispose il Padre --. E verissimo!".
"E allora--proseguì il
frate--è ragionevole che tu venga meno in così grande necessità ad un amico
tanto fedele, che per te ha esposto se stesso e tutti i suoi beni sino alla
morte? Lungi da te, Padre, aiuto e sostegno degli afflitti, lungi da
te questo peccato contro il Signore! ".
"Benedetto anche tu, figlio
mio--concluse il Santo-- perché sei venuto incontro ai miei dubbi con rimedi
così saggi e salutari!".
E rivolgendosi al corpo,
cominciò a dirgli tutto lieto: " Rallegrati, frate corpo, e perdonami:
ecco, ora sono pronto a soddisfare i tuoi desideri, mi accingo volentieri a
dare ascolto ai tuoi lamenti!".
Ma cosa avrebbe potuto recare
conforto a quel povero corpo quasi estinto? Cosa offrirgli a sostegno, essendo
in ogni sua parte in rovina? Francesco era già morto a
questo mondo, ma Cristo viveva in lui. Le delizie del mondo erano per lui
una croce, perché portava radicata nel cuore la Croce di Cristo. E
appunto per questo le stimmate rifulgevano all'esterno nella carne, perché
dentro la sua radice gli si allungava profondissima nell 'animo.
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CAPITOLO CLXI
PROMESSA FATTAGLI
DAL SIGNORE PER LE SUE INFERMITÀ
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212. È incredibile come le sue
forze potessero resistere, essendo tutto il corpo stremato dai dolori. E
tuttavia queste sue tribolazioni, non le chiamava pene ma sorelle.
Certamente molte sono le ragioni
delle sue sofferenze.
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Anzitutto, per
renderlo più glorioso nel trionfo, l'Altissimo gli affidò compiti difficili non
solo al principio del suo servizio, ma continuò a dargli occasione di gloria
anche quando era già veterano.
Poi, in ciò ha lasciato un
esempio ai suoi seguaci, in quanto non ha fatto niente con meno fervore perché
maturo di anni, e niente con meno rigore perché ammalato. E neppure senza
motivo fu la sua perfetta purificazione in questa valle di lacrime: con
essa ha pagato sino all'ultimo spicciolo se vi era rimasto qualcosa da
bruciare, in modo da volare poi, purificatissimo, in cielo
Ma la principale ragione dei
suoi dolori penso sia stata, come egli affermava di altri, la speranza di ricevere
nel sopportarli una grande ricompensa.
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802
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213. Una notte,
essendo sfinito più del solito per le gravi e diverse molestie delle sue
malattie, cominciò nelI'intimo del suo cuore ad avere compassione di se stesso.
Ma, affinché lo spirito sempre pronto non provasse, neppure per
un istante, alcuna debolezza umana per il corpo, invocò Cristo e col suo aiuto
tenne saldo lo scudo della pazienza. Mentre pregava così impegnato in questa
lotta, Signore gli promise la vita eterna con questa similitudine:
"Supponi che
la terra e l'universo intiero sia oro prezioso di valore inestimabile e che,
tolto ogni dolore, ti venga dato per le tue gravi sofferenze un tesoro di tanta
gloria che, a suo confronto, sia un niente l'oro predetto, neppure degno di
essere nominato; non saresti tu contento e non sopporteresti volentieri questi
dolori momentanei? ".
"Certo sarei
contento--rispose il Santo--e sarei contento smisuratamente!".
"Esulta dunque,--conclude
il Signore--perché la tua infermità è caparra del mio regno e per il merito
della pazienza devi aspettarti con sicurezza e certezza di aver parte allo
stesso regno ".
Quanta esultanza pensi che abbia
provato questo uomo, beato per una promessa così felice? Con quanta pazienza,
non solo, ma anche con quanto amore avrà abbracciato le sofferenze fisiche?
Soltanto lui lo sa adesso perfettamente, perché allora non fu in grado di
esprimerlo. Tuttavia ne fece qualche cenno ai compagni, come poté.
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803
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In quella
circostanza compose alcune Lodi delle creature, in cui le invita a lodare come
è loro possibile, il Creatore.
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IL TRANSITO DEL PADRE SANTO
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CAPITOLO CLXII
ESORTAZIONE E
BENEDIZIONE DEI FRATI PRIMA Dl MORIRE
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804
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214. Alla morte
dell'uomo--dice il saggio--sono svelate tutte le sue opere. È
appunto ciò che vediamo gloriosamente compiuto nel Santo. Percorrendo con
animo pronto la via dei comandamenti di Dio, giunse attraverso i gradi
di tutte le virtù alla più alta vetta, e rifinito a regola d'arte, come un
oggetto in metallo duttile, sotto il martello di molteplici tribolazioni, raggiunse
il limite ultimo di ogni perfezione.
Fu allora soprattutto che
brillarono maggiormente le sue mirabili azioni, e rifulse chiaramente alla luce
della verità che tutta la sua vita era stata divina, quando, dopo aver
calpestato le attrattive di questa vita mortale, se ne volò libero al cielo.
Infatti, dimostrò di stimare una infamia vivere, secondo il mondo, amò i
suoi sino alla fine, accolse la morte cantando.
Quando sentì vicini gli ultimi
giorni, nei quali alla luce effimera sarebbe succeduta la luce eterna,
mostrò con l'esempio delle sue virtù che non aveva niente in comune con il
mondo. Sfinito da quella malattia così grave, che mise termine ad ogni sua
sofferenza, si fece deporre nudo sulla terra nuda, per essere preparato in
quell'ora estrema, in cui il nemico avrebbe potuto ancora sfogare la sua ira, a
lottare nudo con un avversario nudo.
In realtà aspettava intrepido il
trionfo e con le mani unite stringeva la corona di giustizia. Posto così
in terra, e spogliato della veste di sacco, alzò, come sempre il
volto al cielo e, tutto fisso con lo sguardo a quella gloria, coprì con la
mano sinistra la ferita del lato destro, perché non si vedesse. Poi disse ai
frati: "Io ho fatto il mio dovere;
quanto spetta a voi, ve lo insegni Cristo! ".
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805
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215. A tale vista,
i figli proruppero in pianto dirotto e, traendo dal cuore profondi sospiri,
quasi vennero meno sopraffatti dalla commozione.
Intanto, calmati in qualche modo i singhiozzi,
il suo guardiano, che aveva compreso per divina ispirazione il desiderio del
Santo, si alzò in fretta, prese una tonaca, i calzoni ed il berretto di sacco:
"Sappi--disse al Padre-- che questa tonaca, i calzoni ed il berretto, io
te li do in prestito, per santa obbedienza! E perché ti sia chiaro che non puoi
vantare su di essi nessun diritto, ti tolgo ogni potere di cederli ad altri
".
Il Santo sentì il cuore
traboccare di gioia, perché capì di aver tenuto fede sino alla fine a madonna
Povertà. Aveva infatti agito in questo modo per amore della povertà, così da non
avere in punto di morte neppure l'abito proprio, ma uno ricevuto in prestito da
altri.
Aveva poi l'abitudine di portare
in testa un berretto di sacco per coprire le cicatrici riportate nella cura
degli occhi, mentre gli sarebbe stato necessario un copricapo di lana
qualsiasi, purché fine e morbidissima.
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806
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216. Poi il Santo alzò
le mani al cielo, glorificando il suo Cristo, perché poteva andare libero a
lui senza impaccio di sorta.
Ma per dimostrare che in tutto
era perfetto imitatore di Cristo suo Dio, amò sino alla fine i suoi
frati e figli, che aveva amato fin da principio.
Fece chiamare tutti i frati
presenti nella casa, e cercando di lenire il dolore che dimostravano per la sua
morte, li esortò con affetto paterno all'amore di Dio. Si intrattenne a lungo
sulla virtù della pazienza e sull'obbligo di osservare la povertà,
raccomandando più di ogni altra norma il santo Vangelo. Poi, mentre tutti i
frati gli erano attorno, stese la sua destra su di essi e la pose sul capo di
ciascuno cominciando dal suo vicario: "Addio--disse--voi tutti figli miei,
vivete nel timore del Signore e conservatevi in esso sempre! E poiché si
avvicina l'ora della prova e della tribolazione, beati quelli che
persevereranno in ciò che hanno intrapreso! Io infatti mi affretto verso
Dio e vi affido tutti alla sua grazia". E benedisse nei presenti anche
tutti i frati, ovunque si trovassero nel mondo, e quanti sarebbero
venuti dopo di loro sino alla fine dei secoli.
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807
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Nessuno si usurpi
questa benedizione, che impartì ai presenti per gli assenti. Come è stata
riportata altrove, ha chiaramente qualche riferimento personale, ma ciò va
piuttosto riferito all'ufficio.
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CAPITOLO CLXIII
ULTIME AZIONI DEL
SANTO E SUA MORTE
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808
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217. Mentre i
frati versavano amarissime lacrime e si lamentavano desolati, si fece portare
del pane, lo benedisse, lo spezzò e ne diede da mangiare un
pezzetto a ciascuno. Volle anche il libro dei Vangeli e chiese che gli
leggessero il Vangelo secondo Giovanni, dal brano che inizia: Prima della
festa di Pasqua ecc. Si ricordava in quel momento della santissima cena,
che il Signore aveva celebrato con i suoi discepoli per l'ultima volta, e fece
tutto questo appunto a veneranda memoria di quella cena e per mostrare quanta
tenerezza di amore portasse ai frati.
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809
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Trascorse i pochi
giorni che gli rimasero in un inno di lode, invitando i suoi compagni
dilettissimi a lodare con lui Cristo. Egli poi, come gli fu possibile, proruppe
in questo salmo: Con la mia voce ho gridato al Signore, con la mia voce ho
chiesto soccorso al Signore. Invitava pure tutte le creature alla lode di
Dio, e con certi versi, che aveva composto un tempo, le esortava all'amore
divino. Perfino la morte, a tutti terribile e odiosa, esortava alla lode, e
andandole incontro lieto, la invitava ad essere suo ospite: " Ben venga,
mia sorella morte!".
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Si rivolse poi al
medico: " Coraggio, frate medico, dimmi pure che la morte è imminente: per
me sarà la porta della vita! " E ai frati: "Quando mi vedrete ridotto
alI'estremo, deponetemi nudo sulla terra come mi avete visto ieri l'altro, e
dopo che sarò morto, lasciatemi giacere così per il tempo necessario a
percorrere comodamente un miglio".
Giunse infine la sua ora, ed essendosi compiuti in lui
tutti i misteri di Cristo, se ne volò felicemente a Dio.
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UN FRATE VEDE L'
ANIMA DEL SANTO NEL SUO TRANSITO
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217a. Un frate suo
discepolo, assai rinomato, vide l'anima del padre santissimo salire
direttamente al cielo. Era come una stella, ma con la grandezza della
luna e lo splendore del sole, e sorvolava la distesa delle acque trasportata
in alto da una nuvoletta candida.
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812
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Si radunò allora
una grande quantità di gente, che lodava e glorificava il nome del Signore.
Accorse in massa tutta la città di Assisi e si affrettarono pure dalla zona
adiacente per vedere le meraviglie, che il Signore aveva manifestato nel
suo servo. I figli intanto effondevano in lacrime e sospiri il pio affetto del
cuore, addolorati per essere rimasti orfani di tanto padre.
Ma la singolarità del miracolo
mutò il pianto in giubilo e il lutto in esplosione di gioia. Vedevano
distintamente il corpo del beato padre ornato delle stimmate di Cristo e
precisamente nel centro delle mani e dei piedi, non i fori dei chiodi, ma i
chiodi stessi formati dalla sua carne, anzi cresciuti con la carne medesima,
che mantenevano il colore oscuro proprio del ferro, e il costato destro
arrossato di sangue. La sua carne, prima oscura di natura, risplendendo di un
intenso candore, preannunziava il premio della beata risurrezione. Infine, le
sue membra divennero flessibili e molli, non rigide come avviene nei morti, ma
rese simili a quelle di un fanciullo.
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CAPITOLO CLXIV
LA VISIONE DI
FRATE AGOSTINO IN PUNTO DI MORTE
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813
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218. Era in quel
tempo ministro dei frati della Terra di Lavoro frate Agostino. Da tempo aveva
perduto l'uso della parola, ma, quando giunse all'ora della morte, gridò tutto
ad un tratto: "Aspettami, Padre, aspetta! Ecco, ora vengo con te ".
Tutti i presenti l'udirono e si
chiedevano sorpresi a chi parlasse a questo modo. " Non vedete -- rispose
con sicurezza--il nostro padre Francesco, che va in cielo? ". E subito la
sua anima santa, libera dalla carne, seguì il padre santissimo.
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CAPITOLO CLXV
DOPO LA SUA MORTE
IL PADRE APPARE AD UN FRATE
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814
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219. In quella
notte e alla stessa ora, il padre glorioso apparve ad un altro frate di vita
lodevole, mentre era intento a pregare. Era vestito di una dalmatica di
porpora, e lo seguiva una folla innumerevole di persone.
Alcuni si staccarono dal gruppo
per chiedere al frate: "Costui non è
forse Cristo, o fratello?".
"Sì, è lui ",
rispondeva.
Ed altri di nuovo lo
interrogavano: " Non è questi san Francesco? ".
E il frate allo stesso modo
rispondeva affermativamente. In realtà sembrava a lui e a tutta quella folla
che Cristo e Francesco fossero una sola persona.
Questa affermazione non può
essere giudicata temeraria da chi sa intendere bene, perché chi aderisce a
Dio diventa un solo spirito con Lui e lo stesso Dio sarà tutto in tutti.
Alla fine, il Padre e quel
corteo meraviglioso giunsero in un luogo quanto mai delizioso, dove scorrevano
acque limpidissime Era tutto uno splendore di erbe, di fiori, di alberi di ogni
specie. Nel mezzo sorgeva un palazzo di straordinaria grandezza e bellissimo.
Il nuovo cittadino del cielo vi entrò festoso, e avendo notato numerosi frati
attorno ad una mensa, preparata splendidamente e traboccante di ogni sorta di
delizie, cominciò con i suoi a banchettare gioiosamente .
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CAPITOLO CLXVI
VISIONE DEL
VESCOVO Dl ASSISI
RIGUARDANTE IL
TRANSITO DEL PADRE
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815
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220. Il vescovo di
Assisi in quel tempo era andato in pellegrinaggio alla chiesa di San Michele.
Mentre nel ritorno si era fermato a Benevento, gli apparve Francesco, nella
notte del suo trapasso, e gli disse: "Ecco, Padre, lascio il mondo e
vado a Cristo".
Al mattino svegliatosi, il
vescovo narrò ai compagni la visione e, chiamato un notaio, fece segnare il
giorno e l'ora del transito. Ne fu molto rattristato e pianse per il dolore di
avere perduto il migliore dei padri.
Ritornato poi alla sua terra, raccontò ogni cosa e ringraziò senza fine il Signore
per i suoi doni.
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CANONIZZAZIONE E
TRASLAZIONE Dl SAN FRANCESCO
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816
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220a. Nel nome
del Signore Gesù. Amen. Nell'anno della sua Incarnazione 1226, il 3
ottobre, nel giorno che aveva predetto, compiuti vent'anni da quando aveva
aderito in modo perfettissimo a Cristo seguendo la vita e le orme degli
Apostoli, l'uomo apostolico Francesco, sciolto dai ceppi di questa vita
mortale, passò felicemente a Cristo. E sepolto presso la città di Assisi,
cominciò a risplendere ovunque per tanti e così vari miracoli, che indusse in
breve tempo gran parte del mondo ad ammirare il secolo rinnovato.
Poiché già in diverse parti, si
era reso famoso per lo splendore di nuovi miracoli, affluivano da ogni luogo
persone gioiose di essere state liberate col suo aiuto dai loro affanni, il
signor papa Gregorio, trovandosi a Perugia con tutti i cardinali ed altri
prelati, cominciò a trattare la sua canonizzazione. Tutti furono concordi e si
dissero favorevoli. Lessero e approvarono i miracoli, che il Signore aveva
operato per mezzo del suo servo, ed esaltarono con le più alte lodi la santità
della sua vita.
Anzitutto vennero convocati a
tanta solennità i principi della terra. Poi, nel giorno fissato, tutto
lo stuolo dei prelati e una infinita moltitudine di popolo accompagnarono il
Papa in Assisi, per celebrarvi, a maggiore onore del Santo, la sua
canonizzazione. Quando
tutti si trovarono nel luogo preparato per una circostanza così solenne, da
principio papa Gregorio parlò al popolo ed annunziò con affetto dolcissimo le
meraviglie del Signore. Poi, con un nobilissimo discorso, tessé le lodi del
padre san Francesco, versando lacrime di commozione mentre esponeva la purezza
della sua vita.
Finito il discorso, papa
Gregorio alzò le mani al cielo e con voce sonora proclamò,...
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PREGHIERA DEI COMPAGNI DEL SANTO
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CAPITOLO CLXVII
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817
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221. Ecco, beato
padre, abbiamo tentato nella nostra semplicità di lodare, come meglio ci è
stato possibile, le tue mirabili azioni e di esporre a tua gloria almeno alcuni
aspetti delle innumerevoli virtù della tua santità.
Siamo convinti che le nostre
parole hanno tolto molto splendore alla tua grandezza, perché non sono in grado
di esprimere i prodigi di tanta perfezione. Chiediamo a te ed ai lettori di
misurare il nostro affetto dall'impegno che ci siamo assunti, lieti che la
penna umana sia superata dall'altezza di così mirabile vita.
Chi infatti, o grande Santo,
potrebbe sentire in sé o imprimere negli altri l'ardore del tuo spirito? Chi
dar vita agli ineffabili slanci d'amore, che da te salivano continuamente a
Dio? Ma abbiamo scritto queste pagine, attratti dal dolce ricordo che abbiamo
di te, nel desiderio di tramandarlo, finché vivremo, anche se solo balbettando,
agli altri.
Tu ormai ti nutri col fiore
di frumento, di cui eri affamato; ora ti disseti al torrente delle
delizie, di cui prima eri assetato. Ma non crediamo che l'abbondanza
della casa di Dio ti abbia così inebriato, da farti dimenticare i
tuoi figli perché anche Colui che ti disseta si ricorda di noi.
Attiraci dunque a te, o Padre santo, perché corriamo nella fragranza dei
tuoi profumi: tu vedi quanto siamo tiepidi e accidiosi, languidi e pigri,
quasi morti per la nostra negligenza! Il piccolo gregge ti segue già con
passo incerto, e gli occhi deboli, abbagliati, non sopporta i raggi della tua
perfezione. Rinnova i nostri giorni, come all'inizio, specchio e modello
dei perfetti, e non permettere che siano dissimili nella vita quelli che ti
sono conformi nella professione!
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222. Ora presentiamo
le nostre umili preghiere alla clemenza della Maestà eterna per il servo
di Cristo, il nostro ministro, erede della tua umiltà e tuo seguace nella vera
povertà. Egli cura le sue pecorelle con sollecitudine e dolce affetto, per
amore del tuo Cristo. Noi ti preghiamo, o Santo, di favorirlo e sostenerlo
in tale modo, che, sempre aderendo alle tue stesse orme, possa entrare in
possesso eterno di quella lode e gloria, che tu hai conseguito.
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223. Ti
supplichiamo anche, con tutto l'affetto del cuore, o benignissimo Padre, per il
tuo figlio, che ora come in passato ha scritto devotamente le tue lodi. Ha
composto questo libretto con pietà filiale secondo le sue capacità, anche se
non è degno dei tuoi meriti, e insieme a noi te lo offre e te lo dedica. Degnati
di conservarlo e liberarlo da ogni male, aumenta in lui i meriti di santità, e
con le tue preghiere rendilo partecipe in eterno della compagnia dei santi.
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224. Ricordati, o
Padre, di tutti i tuoi figli. Tu, o santissimo, conosci perfettamente come,
angustiati da gravi pericoli, solo da lontano seguono le tue orme. Dà loro
forza per resistere, purificali perché risplendano, rendili fecondi perché
portino frutto. Ottieni che sia effuso su di loro lo spirito di grazia e di
preghiera, perché abbiano la vera umiltà che tu hai avuto, osservino la
povertà che tu hai seguito, meritino quella carità con cui tu hai sempre amato Cristo
crocifisso. Egli vive e regna col Padre e lo Spirito Santo nei secoli
dei secoli. Amen.
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